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Siria, quello che (non) ci raccontano

Di Monica
Mistretta, L’Indro, 5 giugno 2018

Nel sud
della Siria si gioca una delle partite più importanti per l’unità del futuro
Stato siriano 

Poche ore
fa un quotidiano saudita, “Asharq Al Awsat”, con sede a Londra, ha annunciato
che l’assistente del segretario di Stato americano David Satterfield starebbe
negoziando con le controparti russe, giordane e turche, la chiusura della base
militare statunitense di Al Tanf nel sud est della Siria. L’accordo dovrebbe
prevedere il dispiegamento di una forza di polizia russa a sud di Damasco,
nelle zone di confine con Israele e Giordania, in cambio della chiusura della
base statunitense, situata in uno dei passaggi chiave tra Siria e Iraq. Tra le
clausole, ci sarebbe la promessa di Mosca che l’esercito siriano e le milizie
iraniane non metteranno piede in questa zona.
L’area
nel sud della Siria è ormai una delle poche rimaste fuori dal controllo delle
milizie alleate del presidente siriano Bashar Al Assad. Qui si gioca una delle
partite più importanti per l’unità del futuro stato siriano: gli accordi che
verranno presi al confine con Israele e Giordania saranno la base per futuri
patti sulla zona dell’Eufrate, controllata dai curdi, e sul nord del paese,
sotto lo scacco dell’intervento militare turco contro i curdi. Un accordo
siglato in novembre tra Russia, Giordania e Stati Uniti fino a oggi ha protetto
le milizie ribelli delle principali città al confine con Giordania e le Alture
del Golan: Daraa e Quneitra. Ma quando il 25 maggio l’esercito siriano ha
lanciato volantini su Daraa invitando i ribelli alla resa, le carte in tavola
sono cambiate.
Per i
russi questa zona è quasi di casa: tornarci a pieno titolo non sarebbe certo
una novità. Quando agli inizi della guerra civile siriana i ribelli occuparono
le zone al confine con Israele, trovarono una sorpresa nel bel mezzo del Golan:
una base militare di ascolto russa ancora perfettamente equipaggiata. Sono
passati solo quindi giorni da quando il presidente Putin ha promesso ad Assad
che tutte le forze armate straniere avrebbero presto lasciato il paese. Resta
da capire quali forze armate siano ormai straniere in Siria, un campo di
battaglia dove gli eserciti utilizzano contractor e milizie di comodo. Dove gli
Hezbollah vestono le divise dell’esercito siriano, i ceceni combattono come
contractor per i russi, i curdi per gli americani e gli sciiti afghani sono al
soldo di Teheran.
Adesso
tutti gli occhi sono puntati sul presidente israeliano Benjamin Netanyahu in
visita in Europa con un solo tema in agenda: l’Iran. Di accordi annunciati e
smentiti in questi giorni ce ne sono parecchi e tutti hanno al centro Israele.
Anche perché l’altra parte in causa per il sud della Siria, la Giordania, è
alle prese con una rivolta popolare senza precedenti scatenata da nuove
disposizioni in materia di tasse.
Non è
chiaro se il ministro degli esteri israeliano Avigdor Lieberman nel suo
incontro a Mosca con la controparte russa, Sergei Shoigu, abbia raggiunto
un’intesa. Fonti diplomatiche israeliane hanno smentito di aver preso accordi
con i russi per l’allontanamento delle milizie iraniane a 70 chilometri dal
confine del Golan. Nelle sue prese di posizione ufficiali Netanyahu ha
continuato a difendere la linea stabilita dal capo della Cia, Mike Pompeo:
l’Iran deve abbandonare l’intera Siria. Ma la notizia sulla possibile chiusura
della base americana di Al Tanf non può essere venuta dal nulla.
I canali
di dialogo tra Israele e Russia ci sono e funzionano bene. Nelle decine di raid
compiuti dall’aviazione israeliana in Siria, i sistemi di difesa missilistici
russi dispiegati su tutto il territorio non sono mai entrati in azione. Non
possono dire lo stesso gli Stati Uniti: lo scorso febbraio in uno scontro tra
le milizie di Assad e l’esercito americano sul fiume Eufrate sono morti diversi
contractor russi.  E che Israele, quando si parla di Mosca, non sia
disposto ad ascoltare nessuno, lo dimostra il caso recentissimo del magnate
russo, Roman Abramovi
č, uomo della cerchia Putin: nel
giro di pochi giorni il Regno Unito gli ha negato il visto e Israele gli ha
offerto la cittadinanza.
Ma la
staffetta degli accordi non detti deve essere molto più complessa e scivolosa. È
ancora una volta un sito saudita con sede a Londra a rivelare i retroscena di
un canale di dialogo indiretto tra Israele e Iran. Protagonista sarebbe proprio
la Giordania. Secondo il quotidiano online “Elaph” i colloqui indiretti si
sarebbero svolti dieci giorni fa attraverso un mediatore giordano che avrebbe
fatto la spola tra l’ambasciata iraniana ad Amman e la camera di un hotel
adiacente che ospitava alcuni diplomatici israeliani. Gli iraniani avrebbero
ceduto subito: parlando anche a nome di Hezbollah, avrebbero assicurato di
essere disposti a non prendere parte all’avanzata dell’esercito di Assad nel
sud della Siria in cambio della luce verde di Israele all’operazione.
Domenica
un ufficiale iraniano ha fatto sapere che Teheran non ha nessuna intenzione di
abbandonare il sud della Siria Siria. Masoud Jazayeri, vicecomandante delle
forze armate iraniane, ha dichiarato che i legami tra Iran e Siria non si «faranno
influenzare dalla propaganda di nessuno».
 Ma intanto le voci si
rincorrono.
I
quotidiani che stanno svelando i controversi retroscena siriani hanno almeno
due cose in comune: sono sauditi e hanno sede a Londra. La questione della
cittadinanza concessa da Israele a uno degli uomini più vicini a Putin, Roman
Abramovi
č, deve bruciare parecchio a Downing Street. E i
sauditi evidentemente non sono d’accordo con i patti che si stanno elaborando
in Siria. Meno che mai con un dialogo, seppur indiretto, tra Israele e Iran,
che li taglierebbe del tutto fuori dalla politica mediorientale che conta. Nei
prossimi giorni sarà bene leggere i quotidiani sauditi per saperne di più sulla
Siria.