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Noi rom, scampati all’attentato al nostro camper

Enrico Mugnai, lettera43, 11 maggio 2018 
Una molotov ha distrutto la loro casa su quattro ruote. Nell'indifferenza del quartiere. Maria racconta la fuga con i piccoli, la solitudine. E la paura che la famiglia si porta dentro. 
Sono tutti salvi, ma la paura è stata ed è ancora tanta. Maria e i suoi 3 bambini, Sara di cinque anni, Claudia di tre e Roberto di uno, che vivevano nel camper davanti alla chiesa di via Negarville a Torino, quartiere Mirafiori sud, insieme con Mirko, Irma e Antoine, di soli 4 mesi, sono scampati a quella che probabilmente era una bomba molotov, lanciata da qualcuno, intorno alle 23 della notte di lunedì 7 maggio, sulla loro casa con le ruote, rendendola un ammasso di ferraglia fumante.
«HO AFFERRATO I BAMBINI E SONO FUGGITA». «Stavo cambiando il pannolino a mio figlio», racconta Maria a L43, «ho sentito una frenata e subito dopo un botto. Ho pensato a un incidente e così mi sono affacciata, è stato allora che ho visto le fiamme. Ho afferrato i bambini e sono corsa fuori». Mentre parla le tremano le mani, guarda i bambini che giocano, per loro sembra non essere successo niente, ma ovviamente non è così. Gli sgomberi forzati la vita di privazioni e umiliazioni ha fatto sviluppare in loro una resilienza straordinaria, ma sotto quella scorza qualcosa si è rotto.
Il camper bruciato (foto di Simonetta Perrone).
Irma dormiva sul letto sopraelevato. «Ho dovuto lanciarmi con Antoine in braccio e scappare mentre le fiamme e il fumo entravano già dentro al camper». Se l’attentato fosse stato fatto un’ora più tardi, quando tutti dormivano, le mamme non avrebbero avuto la prontezza di uscire e sarebbe stata una tragedia «Saremmo tutti morti, oggi ci sarebbero quattro bambini morti», Maria guarda nel vuoto ed è sul punto di piangere, le fiamme e quello che potevano fare alla sua famiglia sono ancora davanti ai suoi occhi.
L'INDIFFERENZA DEL QUARTIERE. Intorno al camper che bruciava si erano raccolti una trentina di abitanti del quartiere, chi scattava foto, chi faceva un filmato, alcuni ridevano, nessuno ha dato loro aiuto o conforto. «Sembravano tutti felici», dice Maria con la rabbia che gli incrina la voce. Un suo cugino che abita in un palazzo lì vicino è sceso di corsa, è stato il solo a dare una mano. «Mi diceva di non prestare attenzione a quella gente senza cuore, ma quando ci ripenso non mi do pace», sussurra. Quella ennesima umiliazione le brucia dentro e fa male esattamente come l'attentato.
LA CAMPAGNA D'ODIO SU FB. Dopo lo sgombero del 4 marzo dell'area di sosta autorizzata di Borgaretto, nel Comune di Beinasco, dove avevano vissuto per anni, le due famiglie vittime dell’attacco incendiario si erano spostate in quella via di Mirafiori sud. Da tempo, su una pagina Facebook, sotto gli hashtag «Basta degrado, Basta feccia», che richiamano i manifesti con cui CasaPound nel 2017 ha tappezzato mezza Torino, alcuni residenti discutevano su quanto fosse degradante per il quartiere avere un camper parcheggiato davanti alla chiesa. Nei post c'è chi paragona i rom ai ratti, uno esorta la popolazione a fare «quello che non fanno le istituzioni»; un altro post, proprio sotto la foto delle famiglie vicino al camper, suggerisce: «Tanica di benzina è la risposta». Parole che evidentemente qualcuno ha trasformato in azione. Certi quotidiani cittadini, però, il giorno dopo l'attentato, non avevano dubbi che si trattasse di una faida tra famiglie rom. Gli stessi giornali che agli inizi di maggio si stupivano che Maria e Irma coi bambini facessero dei pic-nic nel parco vicino al camper.
Quello che resta del camper (foto Simonetta Perrone).
L'avvocato Gianluca Vitale, assieme alla collega Nadia Buso, è il legale delle famiglie. Ha raccolto e trasmesso alle autorità competenti la loro denuncia che al momento è contro ignoti. «Abbiamo presentato un esposto per incendio doloso e tentato omicidio. Tirare una molotov su un camper dove dormono delle persone non ha solo l'intento di distruggere il mezzo», spiega. Vitale ha seguito anche lo sgombero del 4 marzo: «Le famiglie vivevano in una comunità, una volta cacciate senza alternative hanno trovato sistemazioni di fortuna, spesso ai bordi delle strade. L'odio verso i rom li mette in costante pericolo, se isolati è più facile che siano vittime di atti di violenza».
UNA VITA IN FUMO. Maria scappando dal fuoco è riuscita a portare fuori la borsa coi documenti, il resto è andato in fumo. Non hanno più niente. Hanno trovato ospitalità a Borgaretto, presso alcuni parenti che vivono in un terreno di loro proprietà vicino al campo rom abbattuto. Dormono in 16 in una casa, 5 adulti e 11 bambini. «Vorrei chiedere qualche coperta e cuscino ai servizi sociali», dice Maria, anche se teme che le loro disavventure le si ritorcano contro e i servizi sociali decidano di toglierle i bambini. Mirko, Irma e il piccolo Antoine invece non possono chiedere niente. Per lo Stato italiano sono inesistenti. Si erano trasferiti in Francia, dopo due anni l'iscrizione anagrafica in quel Comune gli era stata cancellata. Erano tornati proprio nei giorni dello sgombero, poi il camper e il fuoco.
IL VERO OBIETTIVO È L'ALLONTANAMENTO. Quasi nessuno dei volontari e degli operatori che conoscono quelle famiglie da tempo hanno portato solidarietà e l'isolamento, anche se c'è abituata, è la cosa che più ferisce Maria. Il giorno dopo l’attentato il sindaco di Beinasco, Maurizio Piazza, si è recato con il comandante dei carabinieri al terreno a chiedere quanto intendessero fermarsi. Lo sgombero del campo rom di Borgaretto non aveva solo lo scopo di abbattere le casette abusive. L’intento era di allontanare i rom, definitivamente.
UNA FERITA PER SEMPRE. I figli di Maria sono ancora iscritti alla scuola di Beinasco, ma dallo sgombero e conseguente trasferimento a Torino, vista la distanza, non avevano più potuto frequentare. Maria li ha riportati a scuola, per vivere una giornata di normalità dopo la paura. Nella classe di Sara la maestra ha dato il compito di fare un disegno, lei ha raffigurato un camper avvolto dalle fiamme. Anche se sono illesi, adulti e bambini, si porteranno le ferite di quell'abominio addosso per sempre.