Noi rom, scampati all’attentato al nostro camper
Una
molotov ha distrutto la loro casa su quattro ruote. Nell'indifferenza del
quartiere. Maria racconta la fuga con i piccoli, la solitudine. E la paura che
la famiglia si porta dentro.
Sono
tutti salvi, ma la paura è stata ed è ancora tanta. Maria e i suoi 3 bambini,
Sara di cinque anni, Claudia di tre e Roberto di uno, che vivevano nel camper
davanti alla chiesa di via Negarville a Torino, quartiere Mirafiori sud,
insieme con Mirko, Irma e Antoine, di soli 4 mesi, sono scampati a quella che
probabilmente era una bomba molotov, lanciata da qualcuno, intorno alle 23
della notte di lunedì 7 maggio, sulla loro casa con le ruote, rendendola un
ammasso di ferraglia fumante.
«HO
AFFERRATO I BAMBINI E SONO FUGGITA». «Stavo cambiando il pannolino a mio
figlio», racconta Maria a L43, «ho sentito una frenata e subito dopo un botto.
Ho pensato a un incidente e così mi sono affacciata, è stato allora che ho
visto le fiamme. Ho afferrato i bambini e sono corsa fuori». Mentre parla le
tremano le mani, guarda i bambini che giocano, per loro sembra non essere
successo niente, ma ovviamente non è così. Gli sgomberi forzati la vita di
privazioni e umiliazioni ha fatto sviluppare in loro una resilienza
straordinaria, ma sotto quella scorza qualcosa si è rotto.
Il camper
bruciato (foto di Simonetta Perrone).
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Irma
dormiva sul letto sopraelevato. «Ho dovuto lanciarmi con Antoine in braccio e
scappare mentre le fiamme e il fumo entravano già dentro al camper». Se
l’attentato fosse stato fatto un’ora più tardi, quando tutti dormivano, le
mamme non avrebbero avuto la prontezza di uscire e sarebbe stata una tragedia
«Saremmo tutti morti, oggi ci sarebbero quattro bambini morti», Maria guarda
nel vuoto ed è sul punto di piangere, le fiamme e quello che potevano fare alla
sua famiglia sono ancora davanti ai suoi occhi.
L'INDIFFERENZA
DEL QUARTIERE. Intorno al camper che bruciava si erano raccolti una trentina di
abitanti del quartiere, chi scattava foto, chi faceva un filmato, alcuni
ridevano, nessuno ha dato loro aiuto o conforto. «Sembravano tutti felici»,
dice Maria con la rabbia che gli incrina la voce. Un suo cugino che abita in un
palazzo lì vicino è sceso di corsa, è stato il solo a dare una mano. «Mi diceva
di non prestare attenzione a quella gente senza cuore, ma quando ci ripenso non
mi do pace», sussurra. Quella ennesima umiliazione le brucia dentro e fa male
esattamente come l'attentato.
LA
CAMPAGNA D'ODIO SU FB. Dopo lo sgombero del 4 marzo dell'area di sosta
autorizzata di Borgaretto, nel Comune di Beinasco, dove avevano vissuto per anni,
le due famiglie vittime dell’attacco incendiario si erano spostate in quella
via di Mirafiori sud. Da tempo, su una pagina Facebook, sotto gli hashtag
«Basta degrado, Basta feccia», che richiamano i manifesti con cui CasaPound nel
2017 ha tappezzato mezza Torino, alcuni residenti discutevano su quanto fosse
degradante per il quartiere avere un camper parcheggiato davanti alla chiesa.
Nei post c'è chi paragona i rom ai ratti, uno esorta la popolazione a fare
«quello che non fanno le istituzioni»; un altro post, proprio sotto la foto
delle famiglie vicino al camper, suggerisce: «Tanica di benzina è la risposta».
Parole che evidentemente qualcuno ha trasformato in azione. Certi quotidiani
cittadini, però, il giorno dopo l'attentato, non avevano dubbi che si trattasse
di una faida tra famiglie rom. Gli stessi giornali che agli inizi di maggio si
stupivano che Maria e Irma coi bambini facessero dei pic-nic nel parco vicino
al camper.
Quello
che resta del camper (foto Simonetta Perrone).
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L'avvocato
Gianluca Vitale, assieme alla collega Nadia Buso, è il legale delle famiglie.
Ha raccolto e trasmesso alle autorità competenti la loro denuncia che al
momento è contro ignoti. «Abbiamo presentato un esposto per incendio doloso e
tentato omicidio. Tirare una molotov su un camper dove dormono delle persone
non ha solo l'intento di distruggere il mezzo», spiega. Vitale ha seguito anche
lo sgombero del 4 marzo: «Le famiglie vivevano in una comunità, una volta
cacciate senza alternative hanno trovato sistemazioni di fortuna, spesso ai
bordi delle strade. L'odio verso i rom li mette in costante pericolo, se
isolati è più facile che siano vittime di atti di violenza».
UNA VITA
IN FUMO. Maria scappando dal fuoco è riuscita a portare fuori la borsa coi
documenti, il resto è andato in fumo. Non hanno più niente. Hanno trovato
ospitalità a Borgaretto, presso alcuni parenti che vivono in un terreno di loro
proprietà vicino al campo rom abbattuto. Dormono in 16 in una casa, 5 adulti e
11 bambini. «Vorrei chiedere qualche coperta e cuscino ai servizi sociali»,
dice Maria, anche se teme che le loro disavventure le si ritorcano contro e i
servizi sociali decidano di toglierle i bambini. Mirko, Irma e il piccolo
Antoine invece non possono chiedere niente. Per lo Stato italiano sono
inesistenti. Si erano trasferiti in Francia, dopo due anni l'iscrizione
anagrafica in quel Comune gli era stata cancellata. Erano tornati proprio nei
giorni dello sgombero, poi il camper e il fuoco.
IL VERO
OBIETTIVO È L'ALLONTANAMENTO. Quasi nessuno dei volontari e degli operatori che
conoscono quelle famiglie da tempo hanno portato solidarietà e l'isolamento,
anche se c'è abituata, è la cosa che più ferisce Maria. Il giorno dopo
l’attentato il sindaco di Beinasco, Maurizio Piazza, si è recato con il
comandante dei carabinieri al terreno a chiedere quanto intendessero fermarsi.
Lo sgombero del campo rom di Borgaretto non aveva solo lo scopo di abbattere le
casette abusive. L’intento era di allontanare i rom, definitivamente.
UNA
FERITA PER SEMPRE. I figli di Maria sono ancora iscritti alla scuola di
Beinasco, ma dallo sgombero e conseguente trasferimento a Torino, vista la
distanza, non avevano più potuto frequentare. Maria li ha riportati a scuola,
per vivere una giornata di normalità dopo la paura. Nella classe di Sara la
maestra ha dato il compito di fare un disegno, lei ha raffigurato un camper
avvolto dalle fiamme. Anche se sono illesi, adulti e bambini, si porteranno le
ferite di quell'abominio addosso per sempre.