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LETTONIA: Le scuole in lingua russa a rischio chiusura?

Laura
Luciani, East Journal, 9 maggio 2018

Da
qualche mese in Lettonia la riforma dell’istruzione è di nuovo al centro delle
polemiche. Lo scorso 22 marzo, il Parlamento lettone ha infatti approvato
una serie di emendamenti alla legge sull’istruzione; questi sanciscono una
nuova fase della transizione verso un rafforzamento dell’uso del lettone nelle
scuole delle minoranze linguistiche.

Secondo
il presidente V
ējonis, che l’ha promulgata lo scorso 2 aprile, la
riforma “darà a tutti i giovani l’opportunità di ottenere un’istruzione di
qualità, per studiare e lavorare in Lettonia”; essa formerà inoltre “una
società più unita e uno stato più forte”. Eppure, già da febbraio
le scuole russe protestano contro la riforma, considerata
“assimilazionista” e definita
“un gravissimo errore” dal sindaco di Riga Nils Ušakov.
Analizziamo
le origini della questione, e sfatiamo qualche falso mito riguardante la “liquidazione”
delle “scuole russe” in Lettonia.
All’origine
delle polemiche
Retaggio
dell’epoca sovietica, quando le strutture scolastiche iniziarono ad essere
separate a seconda della lingua di insegnamento, ancora oggi il sistema
scolastico lettone presenta una spaccatura tra le scuole cosiddette
“lettoni” e “delle minoranze”.
Dopo aver
ritrovato l’indipendenza e riaffermato il lettone come unica lingua ufficiale,
nel 1998 la Lettonia adottò una nuova Legge sull’istruzione. In un paese in cui
il 44% della popolazione parlava
una lingua diversa da quella nazionale, la lingua lettone fu presentata
come principale vettore d’integrazione delle minoranze.
Ebbero così inizio le polemiche sulle modalità (e la necessità) del passaggio
al lettone come lingua di insegnamento per tutti.
Quello
delle “scuole russe”, i cui alunni sarebbero destinati all’esclusione dalla
vita sociale e pubblica del paese poiché non padroneggiano la lingua nazionale,
è però oggi un mito da sfatare: in Lettonia, l’istruzione completamente in
lingua russa non esiste. Già dal 1998 infatti, si è introdotto un sistema
basato sul bilinguismo, in cui parte dell’insegnamento si svolge nella lingua
nazionale. Concretamente, le scuole delle minoranze possono scegliere tra 4
programmi, che si differenziano per la percentuale di materie insegnate
nell’una o nell’altra lingua durante il ciclo di studi.
Fin
dall’inizio, era stato reso esplicito il carattere “transitorio” della
legge sull’istruzione: dopo un periodo di adattamento, si sarebbe passati al
pieno insegnamento in lingua lettone nelle scuole medie superiori. Il
cambiamento, inizialmente previsto per il primo settembre 2004, fu contrastato
da una serie di proteste organizzate dalle scuole russe. Le manifestazioni del
2004, tra le più importanti nella storia recente del paese, e la pericolosa
polarizzazione del dibattito pubblico sul tema dell’istruzione convinsero il
governo a fare marcia indietro. Venne così adottato un compromesso, vigente
ancora oggi, secondo il quale il 60% delle materie sono insegnate in lettone, e
il 40% in russo.
Le novità
della riforma
I nuovi emendamenti,
che verranno attuati in maniera graduale tra il primo settembre 2019 e il primo
settembre 2021, introdurranno cambiamenti significativi.
Già nelle
scuole materne (a partire dai 5 anni di età), il lettone assumerà un ruolo
predominante a partire dall’anno scolastico 2019/20. Nelle scuole primarie e
medie inferiori (dai 7 ai 12 anni), la metà delle materie saranno insegnate in
lettone, e anche l’esame finale (equivalente in Italia all’esame di terza
media) si dovrà sostenere in lettone.
Per le
classi medie superiori, il lettone diventerà la lingua d’insegnamento per l’80%
delle materie fino al 1 settembre 2021. A partire dall’anno scolastico 2021/22,
la fase di transizione si concluderà e si effettuerà il passaggio al pieno
insegnamento in lettone. Le scuole (superiori) delle minoranze si
distingueranno quindi da quelle “lettoni” solo per la possibilità di studiare
(nella propria madrelingua) la lingua, la letteratura e altre discipline
storico-culturali legate alla comunità di appartenenza.
Di
discriminazione e altri problemi
All’inizio
dell’anno scolastico 2015/16, su 811 strutture
scolastiche
esistenti in Lettonia, erano 104 le scuole delle
minoranze a ricevere sussidi statali; di queste, 94 avevano come lingua
principale d’insegnamento il russo. Le cifre fanno capire come mai siano
principalmente i russofoni a sentirsi “minacciati” dalla riforma, e perché la
legge sull’istruzione lettone faccia scandalo anche a Mosca.
Varie
testate russe hanno descritto la riforma come “l’abolizione dell’istruzione in
lingua russa” (Ria Novosti)
o addirittura “un genocidio linguistico” (Russia Today).
La Duma di stato russa ha inoltre proposto
di intraprendere delle “misure economiche” contro la Lettonia, tra cui delle sanzioni
contro i politici lettoni favorevoli alla riforma “discriminatoria”.
Ma quello
della discriminazione, tanto evocato, è un altro mito da sfatare: lo stato
lettone, garantendo l’insegnamento in lingua russa e finanziamenti alle scuole
non-lettoni, non discrimina le minoranze sul piano dell’istruzione secondo
gli standard europei. A ben guardare, i problemi legati alla riforma
dell’istruzione in Lettonia sono altri.
In primo
luogo, già dal 2004, gli insegnanti lamentano un calo nella qualità
dell’insegnamento nelle scuole delle minoranze, dovuto alla carenza di
personale qualificato che possa insegnare in lettone e in russo, nonché alla
bassa qualità dei libri di testo forniti per l’insegnamento bilingue. Inoltre,
se da un lato c’è stato un notevole
miglioramento nel livello di padronanza della lingua ufficiale tra gli alunni,
dall’altro si è osservato
un peggioramento dei risultati agli esami di stato negli anni successivi
alla riforma.
In
secondo luogo, in un paese molto diviso dal punto di vista linguistico e politico, l’istruzione
è un pomo della discordia che racchiude e amplifica tutte le controversie
legate ai diritti delle minoranze e alla loro integrazione, polarizzando
l’opinione pubblica. E un problema che la legge sull’istruzione, nonostante le
riforme, non è mai riuscita (e non pensa nemmeno) a risolvere è quello della segregazione
del sistema scolastico, che rimane come ai tempi sovietici diviso tra le
diverse comunità linguistiche, e non riesce a sfruttare il potenziale
bilinguismo (o plurilinguismo) dei suoi giovani per creare una società più
coesa.
Campagna
elettorale
Lo status
quo fa anche comodo a diversi partiti politici che strumentalizzano la
questione per assicurarsi i voti del rispettivo elettorato. Non ci sono dubbi
quindi che la riforma dell’istruzione sia un tema scottante in vista delle elezioni
parlamentari del prossimo ottobre.
Per
alcuni partiti, la campagna elettorale è già cominciata: Tatiana
Ždanok,
leader dell’Unione Russa di Lettonia, ha già rinunciato al proprio mandato da
eurodeputata per poter tornare in Lettonia a difendere le scuole russe. Insieme
all’associazione Per la difesa delle scuole russe (Štab zaš
čity russkih škol), il partito ha promesso di portare avanti le
proteste. Tuttavia, come sottolinea Novaja
Gazeta, la figura di
Ždanok, nota per le sue opinioni filorusse, potrebbe essere
divisiva e spingere molti russofoni, che pur sarebbero contrari alla riforma, a
dissociarsi dal movimento – in un contesto internazionale che, tra le ingerenze
di Mosca in difesa dei “compatrioti” all’estero e la guerra in Ucraina, è
radicalmente cambiato rispetto al 2004.
Nel
frattempo, Igor Melnikov, ex membro di Armonia e oggi leader dell’euroscettico Partito
d’Azione (R
īcības partijas), ha presentato un
ricorso riguardante la riforma dell’istruzione presso la Corte
Costituzionale, che dovrà valutarlo
entro il 20 maggio. Anche il partito Armonia, che si trova all’opposizione in parlamento
ma che è al potere a Riga, starebbe considerando di ricorrere alla
Corte Costituzionale, nonché di sopperire alla riforma attraverso un programma
di corsi supplementari in lingua russa offerti ai residenti della capitale.