General

La voce degli ebrei contro Israele su Gaza e Gerusalemme

Barbara
Ciolli, Lettera43, 20 maggio 2018

Migliaia
di persone che condannano l’uso della forza e la colonizzazione. Ma anche
rabbini che criticano lo spostamento dell’ambasciata americana. Le parole di
chi si dissocia dalle politiche di Netanyahu.

L’attrice
di Gerusalemme Natalie Portman ha rispedito al mittente, «a causa dei recenti
avvenimenti», il premio da 1 milione di dollari che quest’anno le sarebbe stato
insignito da Israele come paladina dei valori ebraici. La star israeliana,
naturalizzata americana, non si sentiva a posto con la coscienza a ritirare
pubblicamente il premio Genesis, considerato il Nobel ebraico, nel Paese
d’origine, mentre lungo il confine con Gaza si contavano già decine di morti
palestinesi, uccisi dagli spari degli agenti o intossicati dai gas. Non erano
ancora gli oltre 60 manifestanti morti e gli oltre 2 mila feriti della strage
del 14 maggio 2018, in concomitanza con l’inaugurazione
dell’ambasciata Usa a Gerusalemme
, ma le violenze ininterrotte dal
30 marzo bastavano a dire no.
GLI EBREI
CONTRO. Con Portman, che con la sua eco ha lanciato un segnale forte e
simbolico, altre decine di migliaia di ebrei sono schierate contro la
colonizzazione del governo di destra radicale di Benjamin Netanyahu,
un’occupazione sdoganata dal presidente americano amico Donald Trump. In
Israele, gli attivisti di sinistra sfilano per le strade di Tel Aviv, ma gli
oppositori non sono la maggioranza: negli ultimi sondaggi, l’ambasciata degli
Usa a Gerusalemme e il suo riconoscimento come unica capitale di Israele ha tra
il 66% e il 73% dei consensi degli abitanti ebrei (tra gli arabi israeliani il
6%). Nel mondo, gli ebrei filo-palestinesi come Portman sono invece molti di
più e forte, soprattutto tra i giovani ebrei americani, è la disaffezione verso
lo Stato e le politiche di Israele.
Una terra
per due popoli e due Stati. Getty

In
un’indagine di febbraio 2018 sulla – vasta – comunità ebraica della Baia di San
Francisco, in California, appena l’11% tra i ragazzi tra i 18 e i 34 anni si è
detto davvero attaccato a Israele e il 34% considera davvero importante
l’esistenza di uno Stato ebraico. Un approccio critico già emerso da uno studio
approfondito del 2013 del Pew Research Center sugli ebrei americani, secondo il
quale, pur restando forti per la maggioranza le radici ebraiche, solo per il
38% degli interpellati (di varie generazioni e più o meno religiosi) Israele
sta facendo uno «sforzo sincero nel cercare la pace con i palestinesi». Appena
il 17% reputava utile continuare a costruire insediamenti nella West Bank e
anzi per il 44% si scontrava con l’interesse della sicurezza nazionale.

IL NO
DAGLI USA. Oltreoceano gli ebrei scettici sono aumentati di pari passo con i
governi sempre più radicali e sionisti di Netanyahu e con l’elezione, nel 2016,
di Trump. «Oltraggiato anche dal ritiro degli Stati Uniti dall’accordo nucleare
con l’Iran», avvenuto in «stretta coordinazione con il primo ministro
israeliano Netanyahu», il grande gruppo Jewish voice for peace (Jvp), promotore
dagli Usa di diverse petizioni filo-palestinesi, ha iniziato a organizzare
marce e mobilitazioni internazionali sin dai primi morti alla frontiera con
Gaza. Il contemporaneo trasferimento dell’ambasciata americana a Gerusalemme
equivale alla «celebrazione dell’annessione», ha chiosato il direttore di Jvp
Rebecca Vilkomerson, «una nakba continua,
la catastrofe imposta da Israele ai palestinesi
».
  

Non
possiamo restare in silenzio di fronte all’uccisione continua, da parte dei
militari israeliani, di uomini, donne e bambini disarmati
I rabbini
di Jewish voice for peace

Manifestanti
israeliani contro gli insediamenti in Palestina. Getty

Diversi
rabbini membri dell’organizzazione denunciano la «profanazione di Gerusalemme
con l’irresponsabile e immorale mossa di Trump», dichiarando di «non poter
restare in silenzio di fronte all’uccisione continua, da parte dei militari
israeliani, di uomini, donne e bambini disarmati, impegnati in una protesta non
violenta». Dall’inizio della Grande marcia del ritorno dei confinati di Gaza,
Jvp ha preso parte a oltre 45 dimostrazioni negli Usa. Anche il movimento
giovanile di ebrei americani di IfNotNow, appoggiati dal senatore Bernie
Sanders, ebreo socialista e leader della sinistra dei democratici, si sta
mobilitando contro «l’incubo dell’occupazione dei palestinesi» e le «spaventose
violenze di Gaza».

GLI
ATTIVISTI DI TEL AVIV. La chiamata ai membri a decidere e attuare forti mosse,
«contro il massacro commesso in nostro nome» ha accusato il portavoce di
IfNotNow Ethan Miller, è per il 17 maggio. Anche nella Tel Aviv liberal e
progressista – piuttosto che nella Gerusalemme ripopolata di sionisti e
ortodossi – l’attivismo di sinistra non fa sconti al duo Netanyahu-Trump.
Scritte «in memoria e in solidarietà» delle vittime palestinesi sono apparse
nelle strade. E all’indomani della strage di Gaza – e nel 70esimo anniversario
della fondazione dello Stato di Israele – centinaia di oppositori hanno
manifestato per «non essere associati al massacro in corso». Tra loro, Alon-Lee
Green del movimento Standing Together, era turbato dalle «surreali e
indigeribili immagini della cerimonia di Ivanka Trump a bere champagne
all’inaugurazione dell’ambasciata».