General

SERBIA: Seselj, il criminale di guerra che calpesta le bandiere

Giorgio
Fruscione, East Journal, 27 Aprile 2018

Lo scorso
11 aprile il leader dei radicali serbi Vojislav Seselj è stato condannato in
appello per crimini di guerra a dieci anni di prigione dal Meccanismo per i
Tribunali Penali Internazionali, istituzione che ha sostituito il tribunale
speciale dell’Aja.

Da
BELGRADO –  La condanna, che ha ribaltato
il verdetto di assoluzione
del 2016 e che non verrà scontata poiché Seselj ha già trascorso undici anni in
carcere, riguarda i discorsi di incitamento all’odio compiuti dal leader
radicale in Vojvodina nel 1992, che invitavano a espellere la popolazione
croata della regione.
“Il
discorso di Seselj incitò alla violenza e violò e compromise il diritto alla
sicurezza della popolazione croata del villaggio di Hrtkovci, commettendo
quindi il crimine di persecuzione […] ovvero un crimine contro l’umanità” ha detto
il giudice Theodor Meron.
Quello
che ha stupito, però, non è tanto la sentenza – arrivata in contumacia – che ha
come sempre lasciato qualcuno insoddisfatto, a partire dalle associzioni delle
vittime in Bosnia e Croazia, ma quel che è accaduto nelle settimane successive.

La condizione di criminale di guerra acquisita ora da Seselj, ha posto il
quesito sulla sua legittimità a continuare a sedere nel parlamento di Belgrado
in qualità di rappresentante del popolo.
Se da un
lato la legge serba vieta che chiunque sia stato condannato ad almeno sei mesi
di carcere possa rappresentare il popolo, dall’altro lato nulla è stato fatto
nei confronti del leader radicale, a partire dal suo ex discepolo e attuale
presidente della repubblica Aleksandar Vucic, che non si è pronunciato sulla
questione.

La gestione della faccenda è rimasta quindi ad esclusiva gestione dei radicali
stessi, che si ritagliano qualche mezzo punto percentuale nei consensi ad ogni
episodio della telenovela Seselj vs tribunale dell’Aja. Ospite in una
trasmissione televisiva ha dichiarato di non vergognarsi di aver fatto tutto
quello che ha fatto in passato e che non si pente dei crimini che gli vengono
attribuiti. Inoltre, in un’aula del parlamento, Seselj ha tuonato
contro tutti
, giornalisti inclusi: “spaccherò il muso a chiunque
abbia il coraggio di definirmi criminale di guerra”.
Le
reazioni non si sono fatte attendere. “Noi del Partito Democratico diciamo che
Vojislav Seselj è un criminale di guerra condannato in via definitiva, quindi
può iniziare a spaccare nasi, a partire da me” ha dichiarato
in parlamento la deputata dei Democratici Aleksandra Jerkov. Ne è seguita una
serie di minacce e attacchi contro la deputata, che è stata accerchiata sia da
deputati radicali che da alcuni deputati del partito progressista, come ha denunciato
la stessa Jerkov.
“I
radicali – continua la Jerkov – sono coraggiosi solo quando sono in branco”.
Dal canto loro, il partito di Seselj ha emesso un comunicato in cui sostenie
che si trattasse solo di insulti verbali e di non aver aggredito la donna, in
quanto “i radicali non picchiano le donne”.
All’indomani
della sentenza di condanna, l’episodio lascia ulteriori perplessità sulla
legittimità della presenza di Seselj in parlamento. Ma soprattutto, ricorda, in
scala minore, la stessa dinamica dei discorsi d’odio per cui è stato
condannato: un palco da cui incita o minaccia e una conseguente violenza – sia
esso un atto di espulsione o un attacco verbale.
Ma non è
finita qui. A pochi giorni da questo triste episodio, ne è seguito un altro,
che ha per protagonista una bandiera croata, un grande classico del
repertorio di Seselj. Mercoledì scorso, una delegazione di parlamentari di
Zagabria si era recata a Belgrado per una visita istituzionale di due giorni,
ma è durata solo poche ore.
A quanto riportano
i testimoni, Vojislav Seselj si sarebbe scagliato contro la bandiera croata
apositamente allestita per l’occasione, staccandola dall’asta di supporto e
calpestandola; succesivamente, si è introdotto nell’aula in cui si svolgeva
l’incontro con la delegaziona croata, a cui ha rivolto volgarità e insulti a
carattere nazionale, apostrofando come “ustaša” (fascisti croati) i presenti.
Immediata la decisione dela delegazione di interrompere la visita e far
immediatamente ritorno a Zagabria.
Questa
volta, le scuse e le dichiarazioni di condanna si sono fatte sentire da tutte
le istituzioni, compresi il presidente della repubblica e la primo ministro Ana
Brnabic. Quest’ultima ha tuttavia aggiunto
che oltre a condannare l’accaduto non sa come punire Seselj.
Di
punizioni a Seselj non ne mancano. Quel che manca è che vengano rese effettive.
Nell’attesa che arrivino, in Serbia si è rivissuto un classico dei revival
nazionalisti degli anni ’90, ricco di tutti gli elementi: sentenze
internazionali, minacce di spaccare musi, sessismo, bandiere calpestate e
croati che vengono cacciati.
Tuttavia,
Seselj e i suoi radicali sono una fenomeno politico insignificante e nella
speranza che qualcuno si accorga di loro, rispolverano il vecchio repertorio da
formazione intransigente. In altre parole, entrambi tirano a campare: il primo per
un tumore che nel 2014 gli permise di lasciare il carcere dell’Aja ma che non
sembra impedirgli di svolgere le sue normali attività di estremista
nazionalista; il secondo per via degli scadenti risultati politici, non da
ultimo le elezioni di Belgrado dello scorso 4 marzo, con un misero 2% delle
preferenze.