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Asifa, otto anni. Violentata e uccisa in India perché musulmana. E l’ultradestra indù difende gli accusati

Michela
Iaccarino, LEFT, 13 aprile 2018

Città di
Kathua, in Kashmir, India del Nord. È il gennaio 2018. Asifa sta portando in
giro i suoi cavalli al pascolo. Ha un vestito viola e otto anni. Un uomo la
avvicina e lei lo segue tra alberi e cespugli. Poi uno stupro di gruppo. Poi un
omicidio brutale. E Asifa è stata ritrovata morta nella foresta.
 
La
società civile indiana, indignata, è tornata a
riempire le strade
: per chiedere ancora una volta sicurezza contro
la violenza sessuale ai danni di donne e bambini e assicurare gli assassini
alla giustizia. Uno dei tre sospetti dell’omicidio di Asifa è un funzionario
dell’ufficio delle imposte: Sanji Ram
aveva ordinato a suo nipote di rapire la bambina dalla comunità di nomadi
musulmani Bakerwal a cui apparteneva, nel distretto induista di Jammu.
La bambina
è stata avvicinata, drogata e rinchiusa in un tempio induista. Per quattro
giorni è stata ripetutamente violentata più persone. Poi è stata strangolata e
ancora violentata. Il suo cadavere è stato abbandonato poco lontano dal tempio,
tra gli alberi della foresta, con il vestito sempre viola, ma anche rosso del
suo sangue. Era il 17 gennaio scorso.
Le
indagini dal giorno della sua morte sono andate a rilento. Anand Dutta, un
membro delle forze dell’ordine indiane che si occupava del caso, ha accettato una
tangente di seimila dollari per insabbiare tutto. Per eliminare le tracce degli
uomini, ha lavato gli indumenti di Asifa. Tentava di cancellare le prove, ha
riferito la stessa polizia in seguito. Ora è in manette insieme ad altri otto
coinvolti nel crimine. Tutti i sospettati sono induisti. Ma, se una parte
dell’India protesta contro di loro, un’altra parte occupa le strade per il loro
rilascio.
Se a
Delhi donne e uomini chiedono giustizia per la vittima, nel distretto del
Kashmir la richiedono per i carnefici. I gruppi della destra induista e
l’associazione degli avvocati locali, in seguito all’arresto degli accusati, –
tutti membri della loro comunità –, con fuoco e bastoni, non hanno permesso che
la polizia depositasse le accuse contro i sospetti, bloccando il loro ingresso
alla corte.
Il
conflitto nel distretto di Jammu tra induisti e musulmani va avanti da tempo,
soprattutto da quando molte delle tribù musulmane sono diventate stanziali. Il
funzionario Ram era contro “le colonie” dei nomadi Bakerwals a Kathua e con lo
stupro voleva “mandare un messaggio” ai musulmani del territorio. Per Talib
Hussain, della comunità locale islamica, «il crimine è stato pianificato per
diffondere paura tra i musulmani di Kathua e farli andare via dalle loro case,
in una regione prevalentemente induista; la situazione è peggiorata da quando
Narendra Modi, il primo ministro indiano, ha vinto le elezioni nel 2014».
«Immaginate
cosa passa per la testa di una bambina di otto anni, mentre viene drogata,
tenuta prigioniera, violentata da una gang per giorni e poi uccisa. Se non
chiedete giustizia per Asifa, appartenete al niente» ha detto lo scrittore e
cantante Farhan Akhtar, insieme a centinaia che chiedono adesso in tutto il
paese #JusticeforAsifa.
Swati
Maliwal, della Delhi commission for women, è entrata in sciopero della fame per
chiedere che le indagini facciano il loro corso. Rahul Gandhi, a capo
principale partito di opposizione al Congresso, ha partecipato alla marcia di
ieri notte nella capitale indiana, dove si reclamava no more shielding of
rapist, basta protezione agli stupratori. Chi chiede giustizia per la bambina,
vuole giustizia per tutte le donne uccise e violentate in India ogni giorno.
Chi difende gli stupratori, fa sventolare nelle sue marce la bandiera indiana e
il simbolo del partito nazionalista Bharatiya Janata.
«Lo
stupro di Asifa, umanità perduta e ritrovata», titola il quotidiano Greater
Kashmir, descrivendo le due nazioni scese in piazza in queste ore. L’incidente
sembrava un altro «orribile ed isolato episodio di violenza sessuale in India,
perpetuato ai danni di una bambina indifesa da parte di uomini brutali. Ma nei
momenti che si sono susseguiti dall’omicidio di Asifa, il caso è diventato
l’ultimo terreno di battaglia nella guerra di religione indiana», scrive
il New York Times.
«C’è un
solo motivo per cui questi uomini accusati di un crimine così macabro hanno il
supporto pubblico: come la maggior parte delle persone a Kathua, sono induisti,
mentre la ragazza era musulmana» ha scritto
Samar Halarnkar su Scroll.in. «Ci sono, nelle vite di ogni nazione, momenti
definitivi, soglie e Rubiconi attraversati, linee rosse violate, precedenti
stabiliti. Uno di questi momenti avviene oggi in India nel distretto di Kathua
nello stato di Jammu e Kashmir».