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A Gaza i cecchini israeliani sparano anche contro i giornalisti

Catherine
Cornet
, Internazionale,  10 aprile
2018

“Nove
palestinesi uccisi”. “Diciassette palestinesi uccisi”. La stampa internazionale
non cita mai i nomi dei giovani assassinati durante la Marcia del ritorno a Gaza – organizzata
il 30 marzo per reclamare il diritto al ritorno nelle terre perdute nel 1948,
al momento della nascita dello stato d’Israele.
Giornalisti
palestinesi manifestano dopo l’uccisione di Yaser Murtaja nella Striscia di
Gaza, il 9 aprile 2018 (Sanad Latefa, Zuma/Ansa)

Quest’articolo
della Cnn è
emblematico
: si parla della morte di “un giornalista” senza mai
nominarlo. “Il giornalista” si chiamava
Yaser Murtaja
, un punto di riferimento a Gaza perché aveva fondato
la casa di produzione Ain Media, che lavora con Bbc e Al Jazeera.

La tv del
Qatar lo ricorda come un uomo “con il sorriso contagioso”, che aveva
partecipato, tra le altre cose, al documentario Gaza: surviving Shujayea.
Era stato anche il cameraman del documentario Journey of Laziz dell’artista Ai
Weiwei. Il 24 marzo su Facebook, dopo avere realizzato un video con il drone
sulla spiaggia di Gaza, scriveva: “Spero che prima o poi potrò scattare questa
foto mentre io sono in cielo invece che sulla terra. Il mio nome è Yaser
Murtaja, ho trent’anni, vivo a Gaza e non ho mai viaggiato in vita mia”. Due
settimane dopo, il 6 aprile, è stato ucciso dai cecchini israeliani.
Un
disegno di un artista palestinese lo raffigura in cielo con le ali sulla
schiena mentre riprende Gaza dall’alto. Aveva provato molte volte a uscire
dall’enclave, senza riuscirci. Yaser Murtaja non è stato l’unico reporter preso
di mira dai cecchini: altri sono stati uccisi venerdì scorso. Il sindacato dei
giornalisti palestinesi sottolinea “che c’è una chiara intenzione dell’esercito
israeliano di sparare contro” di loro.
Crimini
di guerra

Un tweet mostra Khalil Abu Azara, ferito a una gamba mentre scatta una foto.
Durante i funerali, sulla bara di Yaser Mortaja sono stati appoggiati la bandiera
palestinese e il suo giubbotto con la scritta “press”. Per la stampa
araba
l’uccisione di Mortaja è il simbolo dei crimini di guerra
perpetrati da Israele dall’inizio della marcia pacifica.
Il
giubbotto con la scritta “press” distingue i giornalisti durante i
combattimenti e segnala che si tratta di civili disarmati. Sparare contro di
loro è un crimine
di guerra
, come lo è farlo contro qualsiasi persona che non
partecipi direttamente al conflitto. L’aumento di vittime tra i civili
preoccupa le organizzazioni dei diritti umani: B’Tselem ha
lanciato
un appello rivolto ai cecchini israeliani affinché si
rifiutino di sparare contro di loro, anche se hanno ricevuto l’ordine di farlo.

Un
palestinese colpito da un cecchino israeliano. Il video di Haaretz.
Breaking
the silence, un’organizzazione di ex militari israeliani, ha pubblicato una
lettera di Shai, un ex sergente che aveva prestato servizio a Gaza e che, sei
anni fa, chiedeva ai suoi superiori: “Com’è possibile che sparare su una
manifestazione sia legale o morale?”. Shai non ha mai ricevuto una risposta.
Allora lo ha
richiesto
. L’organizzazione per la difesa dei diritti umani Human
Rights Watch è andata oltre e in un
rapporto
ha accusato Israele di aver premeditato gli omicidi.
L’inchiesta svela che gli ufficiali israeliani hanno dato il via libera ai
soldati di sparare contro i manifestanti disarmati.
Il
silenzio dell’opinione pubblica internazionale – in primis di quella
statunitense – comincia a essere imbarazzante, scrive Ali
Abunimah su Electronic Intifada
. Abunimah ha analizzato gli account
Twitter di deputati e senatori democratici americani. “Nessuno appoggia la
lotta pacifica dei palestinesi”, ha scritto. La buona notizia è che “nessuno di
loro ha twittato in sostegno a Israele”.
Una presa
di posizione chiara arriva invece
della procuratrice
della Corte penale internazionale, Fatou
Bensouda, che in un comunicato sul “peggioramento della situazione a Gaza” dice
che “la violenza deve finire”. L’Autorità Nazionale Palestinese ha aderito nel
2015 al Trattato di Roma che riconosce la Corte penale internazionale.
La corte
ha giurisdizione solo nel caso in cui “il governo di un paese è incapace o si
oppone a perseguire crimini di guerra e crimini contro l’umanità”. Il 31 marzo,
il giorno dopo l’uccisione dei 17 giovani palestinesi, il primo ministro
israeliano Benjamin Netanyahu si è congratulato con le truppe per avere
“salvaguardato le frontiere del paese”. In un comunicato ha scritto: “Bravi i
nostri soldati”.
Il 1
aprile il ministro della difesa Avigdor Lieberman ha rifiutato
la possibilità che sui fatti si svolgesse un’inchiesta indipendente: “Non
coopereremo”, ha dichiarato alla radio pubblica israeliana. Vista la chiara
“incapacità o contrarietà a mettere sotto inchiesta” l’esercito israeliano, la
procuratrice Fatou Bensouda ricorda che il suo ufficio “sta monitorando la
situazione in Palestina”. Non è ancora una vera e propria indagine, ma nuovi
reati potrebbero “essere soggetti a un’inchiesta del mio ufficio”, ha detto
Bensouda.