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Madre Coraggio[1] – Madri bianche e bambini neri

Di Sami Omar, 25 febbraio 2018, traduzione italiana di
Milena Rampoldi, ProMosaik. Quando mi sono preso il primo sputo, ero ancora
alle elementari. Una signora anziana mi aveva sgridato, dandomi del “diavoletto
nero”, lasciando un po’ di saliva sul mio collo. Poco dopo una cosa simile mi
successe durante un viaggio in Germania Orientale.

Adoravo andare in Germania Orientale per andare a
trovare mia zia Christa, che mi offriva sempre la torta tradizionale di
Salzwedel. La mia passione per quei dolcetti ha sopravvissuto la fine della
Repubblica Democratica tedesca. E l’amore di mia madre ha reso gli sputi più
sopportabili.
Mia
madre è una donna tedesca bianca. E questo fatto mi rende un bambino dalle
competenze del tutto particolari. Noi bambini neri con i genitori bianchi siamo
cresciuti nel contesto delle regole cromatiche della nostra società. Conosciamo
ogni stereotipo, ogni interpretazione e ogni attribuzione che gli esseri umani
si sono inventati. A volte la società ci accarezza. Rimane comunque cieca nei
confronti della nostra difesa interna e del nostro dolore nel contatto. Un
complimento per i nostri capelli mossi come un contatto fisico può
rappresentare un avvicinamento. Una violenza soffice. Una parola “N” assomiglia
poi ad una percossa molto forte. Rifiutiamo con gioia quello che ormai siamo
abituati ad aggiungere a queste accuse, negli spazi intermedi delle
attribuzioni etniche: le prove!
Le
persone che dovrebbero piuttosto chiedere scusa, invece continuano a richiedere
delle prove: “In che cosa consiste la tua sofferenza e discriminazione? Fammi
vedere dove ho sbagliato!”, grida una coscienza bianca e caparbia che sta
lottando per l’autorità interpretativa nel campo del razzismo. Noi tipici
bambini neri lottiamo contro il dubbio di una società che molto spesso nega il
dolore che essa stessa causa. Ma per capire questo dolore basta mettersi nei panni
dell’altro per comprendere che cosa significa essere spogliati della propria
dignità. Non si deve fare questa esperienza personalmente. In questo consiste l’empatia.
Le mamme bianche dei bambini neri vengono colpite da parole e azioni che
finiscono in un sistema di risonanza, tessuto d’amore. Per questo non si deve
essere neri -basta essere onesti. Mia madre non sa nulla di tutti i dibattiti
sul concetto “critical whiteness” e sull’eredità coloniale tedesca. Si è occupata
troppo bene di me e dunque non vorrei disturbarla con tematiche come queste.
Ma
le madri dei nostri giorni sono donne nella luce del nuovo illuminismo. Non
conoscono la vergogna della razza. Guai a chi le chiama puttane N* come
succedeva alle mie prime ragazze. Queste donne fanno valere il rispetto e la
dignità che spetta alle loro famiglie. Se necessario rompono con i loro vecchi
amici e litigano con i nonni. Dicono quello che va bene e quello che invece non
va, parlano della sofferenza e ne indicano le cause – a scuola, alla scuola
dell’infanzia e nell’associazione sportiva. Spesso devono difendere l’unità
della loro famiglia contro le divisioni a seconda del colore della pelle. Sanno
che la parola madre (in tedesco “Mutter”) in verità è una forma verbale, visto
che alcune di loro non hanno partorito loro stesse i loro figli ed ad altre non
vengono attribuiti i loro figli almeno ché non li prendano per mano.
Sono
secoli ormai che persone di colore vivono in Germania. E non è una novità che
queste persone lasciano un’impronta e contribuiscono a modellare il paese. E
non è una novità che madri e padri non devono per forza avere lo stesso colore
della pelle. Cosa è nuovo invece è che queste famiglie creano normalità, invece
di farla valere. Puntano sul riconoscimento della realtà come realtà al plurale
e sul riconoscimento del passato coloniale. Educano i loro figli a non
stancarsi di agire in questo senso e di parlarne. 
Quando
mi beccai quello sputo, le mie gambe non mi obbedirono più per la rabbia e i
miei occhi si bagnarono di lacrime dalla disperazione. Allora dissi alla
vecchia: “Morirai presto”. Arrivato a casa, mia madre – una donna devota –
ascoltò tutta la mia storia e alla fine mi lodò con un gesto delle sue guance
che sembravano dirmi:                   
Ben
fatto, bravo!



[1]
Riferimento all’opera di Bertold Brecht Madre Coraggio.