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In Cina blogger condannato a 8 anni di carcere per aver difeso diritti umani su internet

Vito Nicola Lacerenza 28 dicembre 2017
Il blogger cinese, il 45enne Wu Gan, meglio noto come “il volgare macellaio”, per la distruzione morale che faceva di ogni norma legislativa in vigore in Cina, è stato condannato ad 8 anni di reclusione, con la perdita dei diritti politici.

Una corte di giustizia lo ha dichiarato colpevole di “utilizzare internet per sovvertire il potere costituito”. E già. Perché Wu non è un semplice blogger, bensì un attivista per i diritti umani in uno dei paesi più militarizzati del mondo. La rete per WU è stata la cassa di risonanza per diffondere e rendere pubbliche le numerose distorsioni esistenti nel sistema giudiziario cinese. O almeno lo è stato fino al momento del suo arresto avvenuto nel 2015. Da quell’anno “il macellaio” è agli arresti con l’accusa di sovversione, per aver interferito, attraverso un assembramento organizzato davanti ad un tribunale, con la decisione di un giudice. Quest’ultimo ha impedito agli avvocati di accedere alla documentazione relativa al caso di una donna uccisa dopo essere stata violentata.

Con il suo blog, Wu Gan aveva trasformato una semplice protesta, avvenuta del sud est della Cina, in uno scandalo internazionale di cui ne hanno parlato i media di tutto il mondo, gettando luce sulle stridenti contraddizioni legislative in un paese che ambisce, sempre più, ad assumere un ruolo guida nella politica internazionale. «Internet non deve diventare un’arma a doppio taglio- ha detto in una conferenza stampa il presidente cinese Xi jinping- covando energie negative che recano danno alla governabilità e pregiudicano la stabilità sociale». “Energie negative”. Il presidente cinese Xi Jinping, l’uomo forte del gigante asiatico, definisce “energie negative” queste forme di dissenso popolare espresse sul web. Attualmente Wu Gan è agli arresti domiciliari in un luogo segreto e sul suo caso c’è la massima riservatezza da parte delle autorità cinesi. Nell’attesa che si aprano spiragli di verità su questa vicenda, viene da chiedersi se la società “ricca” accompagnata “dalla vittoria del socialismo”, auspicata da Xi jinping nell’ultimo congresso del partito comunista cinese, non sia altro che la descrizione della Cina di oggi: un paese in cui la libertà d’espressione è considerata come un tributo ad un capitalismo sfrenato, cresciuto nell’ombra di un potere assoluto.