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Morti bianche, cosa c’è dietro l’aumento delle vittime sul lavoro

10 Ottobre 2017

In otto mesi del 2017 registrati 682 incidenti fatali, +4,7% sul 2016. Può dipendere dalla crescita delle denunce e dell’occupazione. Ma c’entrano la poca sicurezza, le troppe ore e la scarsa preparazione. I dati.

A volte è sufficiente un attimo di distrazione per finire nella lista, sempre più lunga, delle “morti bianche”. Altre volte, a essere fatale, è la fretta di un capocantiere che teme di non rispettare la tabella di marcia. Quasi sempre, la mancata attuazione delle norme di sicurezza, persino di quelle più basilari. Tutti motivi che concorrono a far sì che nel 2017 il numero di vittime sul posto di lavoro sia tornato a crescere rispetto all’anno precedente. Eppure occorre far chiarezza sui dati riportati dalle statistiche e sfatare alcuni miti negativi che ci riguardano.

INTERVIENE MATTARELLA. ll presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in occasione della 67esima giornata nazionale dei caduti sul lavoro, ha scritto in una nota: «Prevenzione e attenzione alle vittime sono i cardini di una riflessione necessaria in materia di sicurezza. Troppo numerosi sono i casi di aziende che risultano non in linea con gli standard di sicurezza, ed è inconcepibile che tra le vittime vi siano ragazzi giovanissimi».

1. Dati peggiori del 2016: 682 morti e quasi 422 mila infortuni nel 2017
I dati divulgati dall’Associazione nazionale per le vittime degli infortuni sul lavoro (Anmil) contribuiscono a dipingere un quadro fosco: nei primi otto mesi del 2017 si sono registrati 682 incidenti mortali, in crescita del 4,7% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Gli infortuni sono stati 421.969, vale a dire l’1,2% in più rispetto al 2016.

NUMERO SOTTOSTIMATO. E il numero probabilmente è sottostimato, in quanto non tiene conto dei casi non denunciati, dei lavoratori in nero, delle morti “in itinere” (avvenute cioè mentre il dipendente stava andando sul posto di lavoro) e di chi più semplicemente non è assicurato all’Inail. Sembra incredibile, ma non esiste un ente pubblico deputato alla raccolta di tutti gli infortuni. Per avere dati più completi bisogna dunque guardare ai singoli Osservatori, anche se spesso riportano cifre discordanti.

TRE DECESSI AL GIORNO. Il 2017 non è ancora concluso, ma è già diventato l’annus horribilis delle morti bianche. Una media di tre decessi al giorno, senza festività o periodo feriale a interrompere la mattanza. Che ha avuto inizio già il 2 gennaio 2017, con la morte, in provincia di Arezzo, di una commessa di un supermercato deceduta in un incidente stradale mentre andava al lavoro.

ULTIMI CASI IN TOSCANA. Lei la prima vittima dell’anno. La seconda il giorno dopo, nel Milanese, causata da diverse bobine che hanno travolto un magazziniere alla guida del muletto. Incidente analogo alcuni giorni dopo, il 9 gennaio, poco distante, nel Lodigiano, dove un uomo è stato infilzato. Gli ultimi, in ordine di tempo, a inizio ottobre. In un caso un meccanico è rimasto schiacciato dal bus che stava riparando, nel Lecchese, mentre in Toscana si sono verificate due cadute mortali.

2. Distribuzione geografica: Sud in vetta per disoccupazione e incidenti fatali
Scartabellando i dati messi a disposizione da Vega Engineering si scopre per esempio che i settori occupazionali con il maggior numero di decessi risultano essere, in un triste pari merito, quello delle costruzioni e delle attività manifatturiere. Tallonati da quello dei trasporti e del magazzinaggio.

DATI ALTI AL NORD. Quanto alla distribuzione geografica delle vittime, nel Nord Est e Nord Ovest si muore di più (circa il 37% dei decessi avvengono in queste due aree), ma ci sono due dati da tenere in considerazione: il maggior numero degli occupati sul resto d’Italia e, soprattutto, una più alta percentuale di lavoratori regolari.

TANTI CASI IN NERO. Campania, Puglia, Basilicata e Calabria si posizionano invece in cima alla classifica nel rapporto tra incidenti mortali e incidenza sul totale degli occupati: 32,2%. E, anche in questo caso, occorre tenere in considerazione che fenomeni come caporalato e lavoratori in nero determinano una considerevole percentuale di casi che sfuggono tanto ai report relativi ai decessi quanto a quelli riguardanti gli infortuni gravi.

3. Motivi dell’aumento: più denunce e scarsa attenzione alla sicurezza
In base a quanto appena scritto, bisogna dunque fare una considerazione: l’incremento delle morti bianche nel 2017 potrebbe anche dipendere da un relativo aumento delle denunce. Naturalmente, alla base di questi numeri così rilevanti continua a esserci la scarsa attenzione al rispetto delle più elementari norme di sicurezza e, specialmente nei settori in cui abbonda la manodopera straniera, la poca preparazione fornita agli operai.

DUE EPISODI DECISIVI. Incidono anche la stanchezza per turni massacranti e la necessità di completare il lavoro il più velocemente possibile. Inoltre la Cgia di Mestre fa notare come ad aver influito negativamente sulla casistica del 2017 siano stati due eventi eccezionali: il crollo dell’albergo di Rigopiano nel Pescarese e lo schianto dell’elicottero del 118 avvenuto a Campo Felice, nell’Aquilano.

4. Aspetti da considerare: crescita degli occupati e delle ore di lavoro
La comparazione dei numeri dei morti sul lavoro suddivisi per anno rischia di essere fallace, non tenendo per esempio in considerazione l’aumento delle ore di lavoro o dell’occupazione. Quindi, per correttezza statistica, bisognerebbe raffrontare unicamente l’incidenza dei decessi rispetto all’occupazione e la frequenza con cui accadono gli infortuni mortali.

DAL 2011 CIFRE IN CALO. Comparando questi dati si scopre per esempio che tra il 2011 e il 2016 l’indice di frequenza degli infortuni risulta in costante diminuzione e, nel corso del 2016, è sceso addirittura dell’1,3%.

LENTO MIGLIORAMENTO. Allargando la forbice dal 1970 al 2016, è possibile osservare come, negli ultimi 45 anni, il numero dei decessi e degli infortuni nei cantieri e nelle fabbriche sia crollato. Per quanto riguarda gli incidenti non mortali, si è passati da 1,6 milioni registrati all’inizio degli Anni 70 ai 630 mila del 2016. Con riferimento alle morti bianche, invece, si è scesi da poco più di 3.650 nel 1970 a un migliaio nel 2016. Cifre indicative del fatto che la situazione sia in lento ma costante miglioramento.

5. Morti bianche in Europa: statistiche difficilmente comparabili
Migliora anche la nostra posizione in Europa: rispetto al 2008, quando Eurostat ci collocava tra i Paesi con il maggior numero di incidenti mortali, siamo riusciti ad avanzare a circa metà classifica nel 2014, anche se manteniamo un tasso di mortalità per 100 mila lavoratori doppio rispetto a Germania, Svezia, Grecia e Regno Unito.

LEGISLAZIONI DIVERSE. Ma, anche in questo caso, occorrerebbe far riferimento ad altri dati per una comparazione statistica davvero precisa, relativa non solo al numero degli occupati, ma soprattutto ricordando la troppa eterogeneità nei parametri con cui vengono raccolti i casi nei singoli Paesi. Infatti le legislazioni sul punto differiscono, quindi alcuni morti sul lavoro in diverse zone d’Europa non vengono classificati come tali in altre: in Germania, per esempio, se un lavoratore muore passati i 30 giorni dall’evento il decesso non è riconosciuto come collegato all’infortunio.

TABELLE INCOMPLETE. In Italia per far cessare il rapporto di causalità occorrono più di 180 giorni. Inoltre nazioni come Danimarca, Irlanda, Paesi Bassi, Regno Unito e Svezia non disponendo di un sistema assicurativo specifico non sono in grado di fornire dati completi. Anche l’Italia comunque presenta cifre parziali, risultando incomplete quelle di Inail.

6. Rimedi possibili: meno burocrazia, più controlli
Nonostante le classifiche possano spesso essere alterate da diversi fattori, è innegabile che il numero di morti e di infortuni gravi resti alto per un Paese che si consideri civile e moderno. Come fare per ridurlo? Secondo la Cgia di Mestre «basterebbe, da parte del legislatore, incentivare maggiormente gli interventi di sostanza e limitare al minimo, invece, le pure formalità burocratiche che ancora adesso sono numerosissime».

VALANGA DI DOCUMENTI. E l’esempio riportato è indicativo: un falegname che apre un’attività nei primi 5 anni dovrà compilare: valutazione dei rischi, valutazione polveri di legno, valutazione rischio chimico, valutazione rumore e vibrazioni, valutazione stress, valutazione rischio incendio, valutazione scariche in atmosfera, valutazione rischio campi elettromagnetici, valutazione rischio esplosione e movimentazione manuale dei carichi.

SERVONO PENE SEVERE. Inoltre dovrà partecipare ai corsi: per Responsabile del servizio di prevenzione e protezione (Rspp), di primo soccorso, antincendio, formazione generale e relativi aggiornamenti. Se a queste aggiungiamo la documentazione richiesta in ambito ambientale, con tenuta registro rifiuti e Mud, la valutazione di impatto acustico, l’autorizzazione per emissioni in atmosfera, eccetera… la Cgia di Mestre fa notare come non basta una parete attrezzata per contenere tutti i fascicoli prodotti. Insomma, meno scartoffie più controlli e pene più severe per chi non rispetta le norme basilari di prevenzione.