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‘Nuove’ rotte migratorie: Italia in allarme

10 Ottobre 2017

A meno di una settimana dalla celebrazione della Giornata della Memoria e dell’Accoglienza, l’effetto di dirottamento dei flussi provocato dalla chiusura della rotta libica sembrerebbe direttamente collegato ai nuovi naufragi. Eppure, nel caso tunisino ci sarebbero elementi di novità.

Intanto ecco il bilancio dell’ultimo incidente, che ha visto avvicendarsi nei soccorsi militari tunisini, motovedette della nostra Guardia Costiera e navi maltesi responsabili del coordinamento: 8 morti, circa 40 superstiti e un numero di dispersi compreso tra i 20 e i 30 individui.

Alle 2 del mattino di ieri, nelle acque al largo delle isole di Kerkennah, nella zona di ricerca e soccorso maltese, una nave della Marina militare tunisina ha speronato un peschereccio non identificato, che procedeva a luci spente trasportando 70 persone di cittadinanza tunisina (secondo i dati del Ministero della Difesa). L’imbarcazione, salpata da Sfax, era diretta verso le coste agrigentine.
Per la sua posizione geografica, la Tunisia -un Paese che ha fatto da ponte con il nostro favorendo una mobilità economica e culturale- si presta oggi a diventare il nuovo canale della mobilità ‘a tutti i costi’, dove sopravvivere è un’eventualità, in fin dei conti, estranea alle logiche subite e dipende dalla combinazione di fattori incalcolabili? Del resto, nessuna delle parti che fanno accordi su come contenere il fenomeno migratorio ignora che, se esistono flussi di persone che attraversano l’Africa diretti verso il Mediterraneo, ‘tappare’ la rotta principale -esito della ‘campagna’ libica condotta dal Ministro Marco Minniti – non significa arrestarli.
Premesso che gli arrivi dalla Libia, benché fortemente ridotti, continuano a verificarsi, il traffico si alimenta attraverso una rete capace di ramificarsi per tutto il Nordafrica, dove si rinnovano le dinamiche del controllo e del transito illegale lungo canali alternativi. Per chi riesce a passarlo, a Ovest del confine libico (cioè in Tunisia, Algeria e Marocco) si incontrano, più che gommoni, imbarcazioni di legno più facili a confondersi e dirette verso la Spagna  -che, secondo l’OIM, tra gennaio e luglio di quest’anno ha visto triplicare gli arrivi sulle sue coste- , la Sicilia e la Sardegna. Peraltro, in fatto di numeri, il divario tra Spagna e Italia resta difficilmente comparabile: al mese di agosto, risultavano rispettivamente 8385 persone contro 96861.

Settembre è stato un mese ‘caldo’ per la Sardegna: gli sbarchi provenienti dall’Algeria (arrivi a più riprese nel Cagliaritano, nel mese di agosto; 160 persone il 26 settembre nel Sulcis) hanno destato le preoccupazioni del Governatore Francesco Pigliaru che, a inizio settembre, ha invitato Minniti a estendere la procedura adottata con la Libia anche all’Algeria, mediante un «forte e costante raccordo» con le autorità di quel Paese. Senza ritardo, Minniti e il suo omologo algerino, Noureddine Bedoui, si sono riuniti ad Algeri per concordare di rafforzare la cooperazione in materia di immigrazione illegale. Finora, a quanto pare, i propositi bilaterali non hanno prodotto esiti significativi. In una seconda lettera, Pigliaru ha richiesto la necessità di «azioni concrete ed urgenti» capaci di «garantire l’immediato rimpatrio e, al contempo, rinforzare la presenza delle forze di polizia nelle aree di approdo».

Con l’autunno, la stretta stipulata con le fazioni libiche non vale a tener lontani i ‘fantasmi’: ricompare l’emergenza, di fronte alla flessibilità del business criminale incistato in un cambiamento storico, sociale e demografico di dimensioni intercontinentali. «Fantasma» sono anche denominati gli sbarchi che avvengono in Sicilia, soprattutto sulle coste intorno ad Agrigento. Anche il peschereccio involontariamente affondato ieri dalla Marina di Tunisi sarebbe probabilmente approdato, senza rumore, sulle spiagge siciliane e i passeggeri si sarebbero dispersi in direzione della stazione ferroviaria o di un luogo dove passare inosservati.

La ‘novità’ di questi sbarchi consisterebbe nella cittadinanza dei passeggeri (tutti o quasi tutti tunisini), e nella condizione socio-economica che, fatti salvi i parametri legati al rispettivo contesto geopolitico, li accomuna a quello di tanti europei: giovani disoccupati, in cerca di opportunità. Giovani che rispondono alla crisi nel proprio Paese cercando il ‘diritto di fuga’, per trovarsi invece a contrattare con gli scafisti, in acque dove oggi tentano di portare soccorso le navi di Ong come Sea Eye o Sos Méditerranée, allontanate dalla Libia. Ricorrendo a un distinguo caro al Presidente francese Emmanuel Macron, che ha finito per incidere, con varie forzature e semplificazioni, sul sistema di accoglienza degli Stati europei, si tratterebbe ‘soltanto’ di «migranti economici». Resta, poi, il fatto che sarebbe difficile, almeno finora, raggiungere le coste tunisine per chi sopravvive alla traversata del Sahara per cadere in forme di sfruttamento lavorativo o finire in un centro di detenzione libico non riconosciuto. Alcuni -pochi- tentano il viaggio sulle coste a Est di Tripoli, lontano dai centri maggiori.

Nel 1998, Rocco Cangelosi, Ambasciatore d’Italia a Tunisi, scrivendo del consolidato rapporto di amicizia tra i due Paesi, ricorreva all’immagine del ponte: Italia e Tunisia costituirebbero una sorta di «ponte sul Mediterraneo». La politica tunisina aveva già dato prova di «apertura e moderazione», ponendosi come una «cerniera tra Europa e Nordafrica» e un valido mediatore nelle crisi continentali, attraverso una «azione propulsiva rispetto a processo di pace in Medio Oriente» o partecipando attivamente, all’interno dell’Organizzazione dell’Unione Africana, ai tentativi di far fronte alla crisi nel Sahara Occidentale o alla migrazione forzata nella regione del Grandi Laghi, durante l’esodo provocato dai massacri compiuti in Ruanda nel 1994 (circa 2 milioni di profughi).
Il legame storico-sociale (prima ancora che governativo) tra le popolazioni italiana e tunisina è testimoniato da una reciproca mobilità: agli inizi del Novecento, gli italiani in Tunisia formavano una comunità di circa 100000 persone. Se, già ai tempi del Protettorato francese (1881-1956), i rapporti con l’Italia erano prerogativa di un Consolato Generale, nel 1956 – appena proclamata l’indipendenza della Repubblica tunisina – fu aperta nella Capitale l‘Ambasciata italiana, che avrebbe mantenuto stretti quei legami capaci di costituire, non solo per ragioni puramente geografiche, un nesso culturale (scambi linguistici, architettonici, artistici) tra due Paesi di comune appartenenza mediterranea (i primi accordi sul commercio e la cooperazione economica risalgono agli anni immediatamente successivi).

A testimonianza della continuità di questa speciale relazione, nel 2003 è stato firmato un Trattato bilaterale di Amicizia e di Buon Vicinato, vigente dall’11 maggio 2004, con particolare attenzione alle 600 imprese italiane o ‘miste’ presenti sul territorio e al settore del turismo. Negli anni successivi, questa cooperazione ha resistito anche alla così detta ‘Rivoluzione dei Gelsomini‘, che l’11 gennaio 2011 avrebbe portato alla fuga in Arabia Saudita del Presidente Ben Alī -al potere dal 1987- e della sua famiglia.

L’intesa bilaterale tra i Paesi ricopre oggi diversi ambiti: cooperazione economica e allo sviluppo, lotta al terrorismo internazionale, all’immigrazione illegale e al traffico di persone. Secondo i dati forniti dalla Farnesina, «I cittadini tunisini in Italia sono circa 140.000 e sono tra le prime comunità straniere per consistenza numerica, i cui membri si trovano generalmente ben inseriti nel nostro tessuto sociale.

Da anni, inoltre, la Tunisia beneficia di quote privilegiate di ingresso in Italia per il lavoro subordinato». In proposito, il Ministero cita il Processo Verbale intergovernativo di collaborazione migratoria del 5 aprile 2011. Durante la «transizione», a conferma del proprio impegno nel sostenere l’accesso della Tunisia a un «partenariato privilegiato» con l’Unione Europea, l’Italia ha sottoscritto una «Dichiarazione Congiunta istitutiva del Partenariato Strategico Rafforzato, che sancisce la realizzazione, a cadenza annuale, di un Vertice bilaterale intergovernativo e la creazione di Tavoli settoriali misti sui principali temi di interesse comune. In tale quadro si inserisce in particolare il rinnovato dialogo avviato con Tunisi in ambito migratorio».

Dal 2011 al 2017, tuttavia, le visite di Stato sono state sospese, fino a quando, l’8 febbraio scorso, il Presidente tunisino Béji Caïd Essebsi, in visita a Roma, ha assistito alla firma di 6 intese di settore (sanità, ambiente, energia, cooperazione, relazioni culturali, turismo) nonché alla sottoscrizione, da parte dei rispettivi Ministri degli Esteri, di una Dichiarazione congiunta finalizzata alla stabilità della regione mediterranea. Si tratta di un documento programmatico sulla gestione concertata del fenomeno migratorio, che prevede l’impegno, da parte tunisina, al rafforzare le proprie frontiere marittime e a contrastare i trafficanti di esseri umani; da parte sua, l’Italia provvede supportando la Guardia Nazionale Tunisina mediante attività di formazione, fornitura e manutenzione di motovedette, e completando il sistema anagrafico digitale AFIS (Automated Fingerprint Identification System). Come affermava un rappresentante di FRONTEX (Agenzia europea che gestisce la cooperazione internazionale alle frontiere esterne dell’Unione) in audizione presso la Commissione parlamentare XX (gennaio 2016): «Il 99 % dei migranti che arriva non è in possesso di documenti di viaggio o documenti di identificazione (…). Le impronte digitali sono l’unico strumento che le forze di polizia hanno per fare controlli incrociati sull’identità della persona e verificare se esistono informazioni su di lei in Europa o anche in un Paese terzo, qualora si sia in grado di contattare Interpol per controllare. Tutte le altre fonti di identificazione sono discutibili». AFIS, un sistema che identifica le impronte confrontandone le minutiae, ossia i singoli tratti, in tempo reale con tutte quelle presenti in banca dati (il Casellario centrale di Identità), permette di verificare se una persona sia mai stata censita in territorio italiano e secondo quali generalità.

Ma come si è trasformata la società tunisina? Chi sono i giovani che tentano il mare? Con la caduta del regime, nel 2011, si è assistito, da un lato, a un ‘esodo’ via mare non controllato (in quanto le coste e le frontiere erano libere) verso l’Europa, dall’altro a una immigrazione proveniente dalla Libia, soprattutto dopo il mese di ottobre. Quanto alla fuoriuscita dei cittadini tunisini, si presentava già allora un dato strutturale: una forte disoccupazione e precarietà diffuse tra i giovani laureati o diplomati.

L’illegalità del fenomeno migratorio esisteva in tutto il Maghreb ed era oggetto di risalenti accordi di riammissione con cui l’UE tentava di controllare la mobilità nella regione euro-mediterranea. Alla luce degli ultimi sviluppi e dell’allarme creato dalla rotta del Mediterraneo Centrale, i tentativi dell’Europa di esternalizzare la crisi legata al transito in ‘Paesi-cuscinetto’ nel Nordafrica secondo un ‘Approccio Globale alla Migrazione e alla Mobilità’ hanno coinvolto la Tunisia con il Partenariato di Mobilità firmato nel marzo 2014. Secondo la nuova strategia affermata, questa intesa avrebbe dovuto andare oltre la ‘semplice’ lotta all’immigrazione illegale, comportando un «approccio integrato, globale e equilibrato, inteso a eliminare le cause profonde dell’immigrazione clandestina», come fu definito, in sede europarlamentare, nel 2003. Tuttavia, almeno fino a questo momento, la crescente militarizzazione delle frontiere esterne da parte dell’UE non ha fatto diminuire il fenomeno dell’immigrazione illegale, al contrario: le persone che emigrano, di fronte all’intensificarsi dei controlli da parte delle varie polizie e alla chiusura dei canali di transito, hanno aumentato il ricorso alle organizzazioni criminali.

Per ciò che riguarda la definizione problematica e semplicistica di migrante economico, automaticamente destinatario di atti di espulsione e rimpatrio, una nuova prospettiva è offerta da quanto ha affermato in occasione del G7 Lavoro Guy Ryder, Direttore generale dell’International Labour Organization (ILO): all’arrivo dei ‘barconi’ di migranti sulle nostre coste, occorre sapere che, oltre alle guerre, ciò che spinge le persone alla fuga è il divario tra i salari delle diverse aree del mondo. Il riferimento è a tutte quelle economie nelle quali esiste il lavoro sottopagato o servile, e lo sfruttamento della persona è ordinaria realtà. E i lavoratori sotto la soglia di povertà, a livello globale, sono ‘solo’ un miliardo.A meno di una settimana dalla celebrazione della Giornata della Memoria e dell’Accoglienza, l’effetto di dirottamento dei flussi provocato dalla chiusura della rotta libica sembrerebbe direttamente collegato ai nuovi naufragi. Eppure, nel caso tunisino ci sarebbero elementi di novità.

Intanto ecco il bilancio dell’ultimo incidente, che ha visto avvicendarsi nei soccorsi militari tunisini, motovedette della nostra Guardia Costiera e navi maltesi responsabili del coordinamento: 8 morti, circa 40 superstiti e un numero di dispersi compreso tra i 20 e i 30 individui.

Alle 2 del mattino di ieri, nelle acque al largo delle isole di Kerkennah, nella zona di ricerca e soccorso maltese, una nave della Marina militare tunisina ha speronato un peschereccio non identificato, che procedeva a luci spente trasportando 70 persone di cittadinanza tunisina (secondo i dati del Ministero della Difesa). L’imbarcazione, salpata da Sfax, era diretta verso le coste agrigentine.
Per la sua posizione geografica, la Tunisia -un Paese che ha fatto da ponte con il nostro favorendo una mobilità economica e culturale- si presta oggi a diventare il nuovo canale della mobilità ‘a tutti i costi’, dove sopravvivere è un’eventualità, in fin dei conti, estranea alle logiche subite e dipende dalla combinazione di fattori incalcolabili? Del resto, nessuna delle parti che fanno accordi su come contenere il fenomeno migratorio ignora che, se esistono flussi di persone che attraversano l’Africa diretti verso il Mediterraneo, ‘tappare’ la rotta principale -esito della ‘campagna’ libica condotta dal Ministro Marco Minniti – non significa arrestarli.
Premesso che gli arrivi dalla Libia, benché fortemente ridotti, continuano a verificarsi, il traffico si alimenta attraverso una rete capace di ramificarsi per tutto il Nordafrica, dove si rinnovano le dinamiche del controllo e del transito illegale lungo canali alternativi. Per chi riesce a passarlo, a Ovest del confine libico (cioè in Tunisia, Algeria e Marocco) si incontrano, più che gommoni, imbarcazioni di legno più facili a confondersi e dirette verso la Spagna  -che, secondo l’OIM, tra gennaio e luglio di quest’anno ha visto triplicare gli arrivi sulle sue coste- , la Sicilia e la Sardegna. Peraltro, in fatto di numeri, il divario tra Spagna e Italia resta difficilmente comparabile: al mese di agosto, risultavano rispettivamente 8385 persone contro 96861.

Settembre è stato un mese ‘caldo’ per la Sardegna: gli sbarchi provenienti dall’Algeria (arrivi a più riprese nel Cagliaritano, nel mese di agosto; 160 persone il 26 settembre nel Sulcis) hanno destato le preoccupazioni del Governatore Francesco Pigliaru che, a inizio settembre, ha invitato Minniti a estendere la procedura adottata con la Libia anche all’Algeria, mediante un «forte e costante raccordo» con le autorità di quel Paese. Senza ritardo, Minniti e il suo omologo algerino, Noureddine Bedoui, si sono riuniti ad Algeri per concordare di rafforzare la cooperazione in materia di immigrazione illegale. Finora, a quanto pare, i propositi bilaterali non hanno prodotto esiti significativi. In una seconda lettera, Pigliaru ha richiesto la necessità di «azioni concrete ed urgenti» capaci di «garantire l’immediato rimpatrio e, al contempo, rinforzare la presenza delle forze di polizia nelle aree di approdo».

Con l’autunno, la stretta stipulata con le fazioni libiche non vale a tener lontani i ‘fantasmi’: ricompare l’emergenza, di fronte alla flessibilità del business criminale incistato in un cambiamento storico, sociale e demografico di dimensioni intercontinentali. «Fantasma» sono anche denominati gli sbarchi che avvengono in Sicilia, soprattutto sulle coste intorno ad Agrigento. Anche il peschereccio involontariamente affondato ieri dalla Marina di Tunisi sarebbe probabilmente approdato, senza rumore, sulle spiagge siciliane e i passeggeri si sarebbero dispersi in direzione della stazione ferroviaria o di un luogo dove passare inosservati.

La ‘novità’ di questi sbarchi consisterebbe nella cittadinanza dei passeggeri (tutti o quasi tutti tunisini), e nella condizione socio-economica che, fatti salvi i parametri legati al rispettivo contesto geopolitico, li accomuna a quello di tanti europei: giovani disoccupati, in cerca di opportunità. Giovani che rispondono alla crisi nel proprio Paese cercando il ‘diritto di fuga’, per trovarsi invece a contrattare con gli scafisti, in acque dove oggi tentano di portare soccorso le navi di Ong come Sea Eye o Sos Méditerranée, allontanate dalla Libia. Ricorrendo a un distinguo caro al Presidente francese Emmanuel Macron, che ha finito per incidere, con varie forzature e semplificazioni, sul sistema di accoglienza degli Stati europei, si tratterebbe ‘soltanto’ di «migranti economici». Resta, poi, il fatto che sarebbe difficile, almeno finora, raggiungere le coste tunisine per chi sopravvive alla traversata del Sahara per cadere in forme di sfruttamento lavorativo o finire in un centro di detenzione libico non riconosciuto. Alcuni -pochi- tentano il viaggio sulle coste a Est di Tripoli, lontano dai centri maggiori.

Nel 1998, Rocco Cangelosi, Ambasciatore d’Italia a Tunisi, scrivendo del consolidato rapporto di amicizia tra i due Paesi, ricorreva all’immagine del ponte: Italia e Tunisia costituirebbero una sorta di «ponte sul Mediterraneo». La politica tunisina aveva già dato prova di «apertura e moderazione», ponendosi come una «cerniera tra Europa e Nordafrica» e un valido mediatore nelle crisi continentali, attraverso una «azione propulsiva rispetto a processo di pace in Medio Oriente» o partecipando attivamente, all’interno dell’Organizzazione dell’Unione Africana, ai tentativi di far fronte alla crisi nel Sahara Occidentale o alla migrazione forzata nella regione del Grandi Laghi, durante l’esodo provocato dai massacri compiuti in Ruanda nel 1994 (circa 2 milioni di profughi).
Il legame storico-sociale (prima ancora che governativo) tra le popolazioni italiana e tunisina è testimoniato da una reciproca mobilità: agli inizi del Novecento, gli italiani in Tunisia formavano una comunità di circa 100000 persone. Se, già ai tempi del Protettorato francese (1881-1956), i rapporti con l’Italia erano prerogativa di un Consolato Generale, nel 1956 – appena proclamata l’indipendenza della Repubblica tunisina – fu aperta nella Capitale l‘Ambasciata italiana, che avrebbe mantenuto stretti quei legami capaci di costituire, non solo per ragioni puramente geografiche, un nesso culturale (scambi linguistici, architettonici, artistici) tra due Paesi di comune appartenenza mediterranea (i primi accordi sul commercio e la cooperazione economica risalgono agli anni immediatamente successivi).

A testimonianza della continuità di questa speciale relazione, nel 2003 è stato firmato un Trattato bilaterale di Amicizia e di Buon Vicinato, vigente dall’11 maggio 2004, con particolare attenzione alle 600 imprese italiane o ‘miste’ presenti sul territorio e al settore del turismo. Negli anni successivi, questa cooperazione ha resistito anche alla così detta ‘Rivoluzione dei Gelsomini‘, che l’11 gennaio 2011 avrebbe portato alla fuga in Arabia Saudita del Presidente Ben Alī -al potere dal 1987- e della sua famiglia.

L’intesa bilaterale tra i Paesi ricopre oggi diversi ambiti: cooperazione economica e allo sviluppo, lotta al terrorismo internazionale, all’immigrazione illegale e al traffico di persone. Secondo i dati forniti dalla Farnesina, «I cittadini tunisini in Italia sono circa 140.000 e sono tra le prime comunità straniere per consistenza numerica, i cui membri si trovano generalmente ben inseriti nel nostro tessuto sociale.

Da anni, inoltre, la Tunisia beneficia di quote privilegiate di ingresso in Italia per il lavoro subordinato». In proposito, il Ministero cita il Processo Verbale intergovernativo di collaborazione migratoria del 5 aprile 2011. Durante la «transizione», a conferma del proprio impegno nel sostenere l’accesso della Tunisia a un «partenariato privilegiato» con l’Unione Europea, l’Italia ha sottoscritto una «Dichiarazione Congiunta istitutiva del Partenariato Strategico Rafforzato, che sancisce la realizzazione, a cadenza annuale, di un Vertice bilaterale intergovernativo e la creazione di Tavoli settoriali misti sui principali temi di interesse comune. In tale quadro si inserisce in particolare il rinnovato dialogo avviato con Tunisi in ambito migratorio».

Dal 2011 al 2017, tuttavia, le visite di Stato sono state sospese, fino a quando, l’8 febbraio scorso, il Presidente tunisino Béji Caïd Essebsi, in visita a Roma, ha assistito alla firma di 6 intese di settore (sanità, ambiente, energia, cooperazione, relazioni culturali, turismo) nonché alla sottoscrizione, da parte dei rispettivi Ministri degli Esteri, di una Dichiarazione congiunta finalizzata alla stabilità della regione mediterranea. Si tratta di un documento programmatico sulla gestione concertata del fenomeno migratorio, che prevede l’impegno, da parte tunisina, al rafforzare le proprie frontiere marittime e a contrastare i trafficanti di esseri umani; da parte sua, l’Italia provvede supportando la Guardia Nazionale Tunisina mediante attività di formazione, fornitura e manutenzione di motovedette, e completando il sistema anagrafico digitale AFIS (Automated Fingerprint Identification System). Come affermava un rappresentante di FRONTEX (Agenzia europea che gestisce la cooperazione internazionale alle frontiere esterne dell’Unione) in audizione presso la Commissione parlamentare XX (gennaio 2016): «Il 99 % dei migranti che arriva non è in possesso di documenti di viaggio o documenti di identificazione (…). Le impronte digitali sono l’unico strumento che le forze di polizia hanno per fare controlli incrociati sull’identità della persona e verificare se esistono informazioni su di lei in Europa o anche in un Paese terzo, qualora si sia in grado di contattare Interpol per controllare. Tutte le altre fonti di identificazione sono discutibili». AFIS, un sistema che identifica le impronte confrontandone le minutiae, ossia i singoli tratti, in tempo reale con tutte quelle presenti in banca dati (il Casellario centrale di Identità), permette di verificare se una persona sia mai stata censita in territorio italiano e secondo quali generalità.

Ma come si è trasformata la società tunisina? Chi sono i giovani che tentano il mare? Con la caduta del regime, nel 2011, si è assistito, da un lato, a un ‘esodo’ via mare non controllato (in quanto le coste e le frontiere erano libere) verso l’Europa, dall’altro a una immigrazione proveniente dalla Libia, soprattutto dopo il mese di ottobre. Quanto alla fuoriuscita dei cittadini tunisini, si presentava già allora un dato strutturale: una forte disoccupazione e precarietà diffuse tra i giovani laureati o diplomati.

L’illegalità del fenomeno migratorio esisteva in tutto il Maghreb ed era oggetto di risalenti accordi di riammissione con cui l’UE tentava di controllare la mobilità nella regione euro-mediterranea. Alla luce degli ultimi sviluppi e dell’allarme creato dalla rotta del Mediterraneo Centrale, i tentativi dell’Europa di esternalizzare la crisi legata al transito in ‘Paesi-cuscinetto’ nel Nordafrica secondo un ‘Approccio Globale alla Migrazione e alla Mobilità’ hanno coinvolto la Tunisia con il Partenariato di Mobilità firmato nel marzo 2014. Secondo la nuova strategia affermata, questa intesa avrebbe dovuto andare oltre la ‘semplice’ lotta all’immigrazione illegale, comportando un «approccio integrato, globale e equilibrato, inteso a eliminare le cause profonde dell’immigrazione clandestina», come fu definito, in sede europarlamentare, nel 2003. Tuttavia, almeno fino a questo momento, la crescente militarizzazione delle frontiere esterne da parte dell’UE non ha fatto diminuire il fenomeno dell’immigrazione illegale, al contrario: le persone che emigrano, di fronte all’intensificarsi dei controlli da parte delle varie polizie e alla chiusura dei canali di transito, hanno aumentato il ricorso alle organizzazioni criminali.

Per ciò che riguarda la definizione problematica e semplicistica di migrante economico, automaticamente destinatario di atti di espulsione e rimpatrio, una nuova prospettiva è offerta da quanto ha affermato in occasione del G7 Lavoro Guy Ryder, Direttore generale dell’International Labour Organization (ILO): all’arrivo dei ‘barconi’ di migranti sulle nostre coste, occorre sapere che, oltre alle guerre, ciò che spinge le persone alla fuga è il divario tra i salari delle diverse aree del mondo. Il riferimento è a tutte quelle economie nelle quali esiste il lavoro sottopagato o servile, e lo sfruttamento della persona è ordinaria realtà. E i lavoratori sotto la soglia di povertà, a livello globale, sono ‘solo’ un miliardo.