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Tra le Favelas di Rio: un labirinto di una violenza senza fine

5 Settembre 2017

Rio de Janeiro: la città è ormai in guerra? Gli omicidi registrati arrivano a 3.755: un aumento del 14%

Ad inizio Agosto circa 5.000 uomini tra militari e poliziotti sono stati spediti nelle favelas intorno Rio de Janeiro; un’operazione ideata dal Brasile in risposta all’ondata di furti, rapine e omicidi che sta convolgendo l’intera città.

Tra gli angoli delle cinque favelas cittadine, 3.600 soldati e 1.300 poliziotti, precisamente un anno dopo l’inaugurazione dei Giochi Olimpici. Le Olimpiadi, insieme ai mondiali di calcio del 2014, avevano incentivato la visione ottimistica dei molti brasiliani che hanno creduto in un’impennata dell’economia. Ma le cose non sono andate come speravano. La spinta si è affievolita e, ad un anno dai Giochi, l’immagine di un Brasile in crescita è sbiadita e la positività ha lasciato spazio ad una violenza in crescita. Nonostante i dati dimostrino livelli comunque inferiori alla violenza degli anni ’90, ormai, nella prima metà del 2017, gli omicidi registrati a Rio arrivano a 3.755; un aumento del 14% rispetto all’anno precedente. Perfino i media locali ormai parlano di «guerra» a Rio; lo fa, ad esempio, il quotidiano locale ‘Extra’.

Gruppi di narcotrafficanti e gang locali controllano diverse parti della città e gli scontri con le forze di polizia causano vittime ogni giorno. «Abbiamo contato 197 giorni di spari a Luglio; così tante vite spezzate, sia residenti che poliziotti», ha dichiarato ai media locali Thaina de Medeiros, una donna residente nella favelas di Alemao. Anche i passanti sono spesso colpiti da qualche proiettile, 632 dall’inizio dell’anno fino al mese di Luglio. Un terzo delle 1.500 scuole pubbliche della città si trovano in aree considerate ad altissimo rischio; solo 7 dei primi 120 giorni dell’anno scolastico sono trascorsi senza che venisse chiusa per precauzione almeno una delle scuole. Durante gli ultimi mesi del 2016, sono state ben 68.000 le rapine armate in città, circa 340 al giorno.

Probabilmente è l’economia in netta difficoltà a creare insicurezza e malcontento ma a fare la sua parte, anche ciò che accade a causa del passaggio incontrollato di armi nel Paese. Secondo un rappresentante federale del partito DEM, il fallito controllo del flusso di armi che passano i confini sarebbe la causa di questa escalation. Le importazioni intercettate sono diverse e tutte portano a Rio. Un carico di fucili d’assalto da Miami è stato recentemente fermato all’aereoporto internazionale della città. Le armi attraggono i criminali più ambiziosi e questo ha prodotto un picco di rapine in furgoni, treni ed imbarcazioni, ormai salite oltre il 150% negli ultimi tre anni.

Ma non sono solo le armi ad attirare le gang: è la droga l’altro fattore che garantisce loro, in un colpo solo, potere e risorse economiche. La polizia, dal canto suo, non riesce a rispondere adeguatamente a questa emergenza per una cronica mancanza di fondi, di addestramento e di armi. Nonostante questo, si rileva che, nel 2015, le forze armate di Rio hanno effettuato arresti per droga tre volte superiori a quelli del 2008 e sequestrato 22 tonnellate di marijuana, quattro volte di più rispetto al 2010. Quest’anno, però, le cose stanno andando decisamente peggio.

La violenza cresce sempre più e i morti, anche tra le forze armate, stanno aumentando vertiginosamente. Se ne contano 153 solo nel 2006. Lo scorso 26 Agosto, un ufficiale di polizia è stato ucciso brutalmente in un quartiere di Rio ed ha fatto salire a 100 il numero dei morti di quest’anno, che ormai rischia di diventare uno dei più sanguinosi di sempre. Militari e poliziotti vengono uccisi anche fuori servizio. Uno studio della polizia di Stato ha evidenziato che un ufficiale di polizia a Rio ha molte più probabilità di venire ucciso di quante ne avesse un soldato americano nella Seconda Guerra Mondiale o nella guerra in Vietnam. «I criminali sanno dove vivono i poliziotti e se ne uccidono uno, la loro reputazione nella favela sale», ha detto Sergio Luiz da Silva, ex ufficiale e amico del poliziotto ucciso il 26 Agosto.

I problemi non finiscono qui. Le operazioni di polizia non possono essere di facile riuscita in un Paese in cui la corruzione è dilagante. Ben 185 mandati di arresto sono stati emessi per alcuni appartenenti alle stesse forze di polizia, accusati di collaborare con le gang e con i narcotrafficanti. La drammaticità nella storia della polizia di Rio non è, però, cosa nuova; circa 8000 le persone uccise in varie operazioni nello scorso decennio. La causa? Forse l’uso di una forza repressiva considerata eccessiva. Nel 2015 i morti negli scontri con la polizia sono stati 920, più del doppio rispetto al 2013. Molte delle vittime sono giovani o marginalizzati. Dall’inizio dell’anno, il numero di persone uccise dalla polizia di Rio è aumentato più del 45%: 581 le vittime.

Secondo i dati registrati dalla polizia quest’anno, i proiettili vaganti producono morti incidentali soprattutto nelle aree nord ed ovest di Rio dove sorgono alcune delle più note favelas. Nel 2017, i morti e i feriti sono arrivati a 632. Nelle aree più povere ed emarginate, la maggior parte delle vittime sono donne, bambini ed anziani. Questo profilo demografico riflette dei trend molto simili, sia neglia Stati Uniti che in Colombia. Similitudini anche riguardo ai criminali che sono per lo più nella fascia di età che va dai 15 ai 29 anni. Il punto è che le persone coinvolte in questo vortice inarrestabile, non hanno nulla a che fare con gli eventi che causano le loro stesse morti. Non sono altro che innocenti spettatori.

Secondo uno studio dello scorso anno che classifica gli incidenti causati dai proiettili volanti in America Latina, il Brasile si posiziona al primo posto, con 98 morti e 115 feriti tra il 2014 ed il 2015. Seguono il Messico con 116 casi e la Colombia con 101. Per arginare il problema della carenza informativa, alcuni attivisti di Rio de Janeiro hanno finanche sviluppato un’app, che ha monitorato e contato più di 2.000 sparatorie negli ultimi 120 giorni, una media di 16 al giorno.

Tutto questo non suona come una novità a Rio. I tassi di criminalità sono alti da due decadi fa e tante persone perdono la vita ogni giorno. A metà degli anni ’90, un ex militare descriveva la sua città come una «Bosnia tropicale» e parlava della prossimità di una guerra taciuta. Da allora è prassi comune tra i cittadini rinforzare porte e finestre come meglio si può. Dopo un abbassamento dei livelli di violenza dal 2009 al 2012, probabilmente anche grazie all’azione delle Unità della Polizia di Pacificazione (UPP), gli omicidi sono diminuiti del 65%. Ma qualcosa è andato storto e le favelas sono tornate ad essere il principale teatro del crimine di Rio.

Per limitare questo preoccupante fenomeno in espansione, occorrerebbe una maggiore attenzione, soprattutto nelle aree più calde della città, affinché siano evitate liti lì dove la densità urbana è altissima e il pericolo di morti accidentali lo è proporzionalmente. La politica dovrebbe ancorare qui la propria azione, ma anche sulle alcune necessarie riforme tra cui quella in merito alle forze armate, che, stressate e senza fondi, necessitano di un migliore addestramento e di un maggior controllo interno. Si dovrebbe anche pensare a rafforzare la legislazione in materia di armi e ad interrompere efficacemente il traffico illegale.

Senza un impegno in queste direzioni, è facile prospettare ciò che accadrà per i cunicoli angusti delle favelas. I residenti continueranno a vivere cercando di schivare le pallottole volanti, mentre il resto della popolazione resterà spaventata a guardare.