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Norvegia al voto con in testa il petrolio dell’Artico

11 Settembre 2017

Quasi testata a testa conservatori e laburisti: il petrolio dell’Artico potrebbe segnare il prossimo Governo

Norvegia alle urne oggi per le elezioni politiche il cui esito appare tutt’altro che scontato: solo una manciata di voti, stando ai sondaggi, separerebbero i conservatori del premier uscente Erna Solberg dai laburisti dello sfidante Jonas Gahr Store.

Nel corso dei suoi quattro anni di legislatura il Governo -formato da una coalizione fra i conservatori e il centrista (ma anti-immigrazione) Partito del Progresso- si è trovato a dover fare i conti contemporaneamente con due pressanti problemi: la crisi dei migranti e il crollo dei prezzi del petrolio. Tra il 2014 e il 2016 la crisi dei prezzi del petrolio ha avuto conseguenze drammatiche per l’economia della Norvegia; 50.000 persone -un quinto della forza lavoro del settore- hanno perso i loro posti di lavoro e le entrate statali del settore sono diminuite del 40%. Nel 2015, la crisi migratoria d’Europa ha visto un record di 31.000 persone in cerca di asilo in Norvegia, infiammando il dibattito nazionale e provocando da una parte una crescita dei movimenti di destra anti-immigrati, dall’altra una stretta sui controlli sull’immigrazione.

Ora la Norvegia è in ripresa, il flusso dei migranti è diminuito -per quanto il clima anti-immigrati sia ancora significativo nell’area– e in si sta riducendo anche la disoccupazione.

E dunque, nonostante nel marzo scorso l’Unesco abbia nominato la Norvegia il Paese più ‘felice’ al mondo, Store ha accusato l’Esecutivo uscente di aver voluto favorire i ricchi, promettendo di voler abolire i tagli fiscali e rafforzare il welfare: «Abbiamo un forte sistema immunitario contro la macelleria sociale che abbiamo visto in altri Paesi, ma non siamo immuni e ciò significa che anche qui esistono disuguaglianze crescenti».

L’esito delle elezioni dipenderà non solo dai risultati dei due principali partiti, ma anche dalla performance di quelli minori: né i conservatori né i laburisti, infatti, hanno una forza elettorale tale da poter governare da soli, ma dovranno ricorrere ad una coalizione. Un’elezione che, per la prima volta in Europa, vedrà sottoposta al giudizio di 5.2 milioni di cittadini l’esperienza governativa di un partito populista di destra -etichetta che Premier uscente Erna Solberg respinge, affermando che il suo partito è più moderato, meno nazionalista e meno autoritario degli altri populisti europei.

Solberg, leader del partito Conservatore, già dal 2013 guida un Governo di minoranza insieme all’altro partito di centrodestra del Parlamento norvegese, il partito del Progresso, e grazie al sostegno di due formazioni centriste, una di ispirazione cristiana e l’altra liberale, che però avevano deciso di non entrare nella coalizione per le differenze con la forza guidata dell’attuale Ministro alle Finanze, Siv Jensen, principalmente sulle politiche di immigrazione.

Secondo un sondaggio di Kantar TNS commissionato dall’emittente ‘TV2‘, a una settimana dalle elezioni ai quattro partiti di centro-destra vengono assegnati 87 seggi su 169, nove in meno rispetto al 2013, ma sufficienti per ottenere la maggioranza (per la quale ne bastano 85).

A mettere in forse una nuova vittoria di Solberg potrebbe però essere il risultato dei liberali, che alcuni sondaggi danno sotto la soglia del 4 per cento necessario per entrare nel Parlamento. «È importante riconoscere che tutti e quattro i partiti possono influenzare gli sviluppi in Norvegia e sono dipendenti l’uno dall’altro», ha detto la Premier uscente all’emittente ‘Nrk’, auspicando che tutti e quattro facciano parte del prossimo Governo.
Secondo un altro sondaggio pubblicato martedì dal quotidiano ‘VG’ ad essere il favorito per tornare a presiedere il Governo di Oslo è invece l’opposizione di sinistra, guidata dal Partito laburista di Jonas Gahr Store, alla quale andrebbero 86 seggi.

Tra gli altri partiti in lizza, merita attenzione il partito dei Verdi che più di ogni altro ha guadagnato consensi prima delle elezioni e potrebbe risultare determinante per governare. Nonostante Store lo abbia escluso come possibile partner di coalizione, il leader Rasmus Hansson ha affermato che il suo partito potrebbe sostenere una manovra di bilancio considerata ‘meno dannosa per il clima’, concedendo di fatto il sostegno a un’eventuale maggioranza laburista.

Ministro degli Esteri nell’ultimo Esecutivo di centrosinistra presieduto dall’attuale Segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, se eletto Store proporrà un programma di incremento delle tasse e di maggiori limitazioni all’inquinamento prodotto dalle industrie, in particolari quelle che estraggono petrolio. «Il Governo ha introdotto tagli fiscali che favoriscono i più ricchi e aumentano la divisione tra i diversi gruppi del Paese», ha detto il politico norvegese che sostiene l’aumento delle tasse a sostegno del sistema welfare e scolastico. Alcuni osservatori fanno notare come il clima sia cambiato favorevolmente per i partiti di sinistra. La crisi del petrolio ha dimostrato quanto la sinistra già a fine anni ‘80 sosteneva, ovvero che il petrolio non poteva essere il ‘futuro’ del Paese. Oggi pare che una fetta crescente di norvegesi si ponga il problema di ridurre la dipendenza dal petrolio e guardi alla crisi migratoria come un monito a porsi il problema di un mondo nel contesto del quale la migrazione dovrà far parte di un costruttivo programma politico ed economico.

Alla ricerca di un secondo mandato, la 56enne Solberg ha promesso maggiore impegno nella creazione di posti di lavoro, nel miglioramento del sistema sanitario e maggiori investimenti per la difesa e la polizia. Quanto all’economia norvegese, Solberg ha sottolineato che, dopo aver subito un forte calo dovuto al taglio dei prezzi del petrolio, è in ripresa anche grazie ai tagli fiscali e al rendimento del fondo sovrano. La politica economica dei conservatori tutta incentrata sul petrolio, secondo alcuni recenti studi, sta mettendo in pericolo il raggiungimento degli obiettivi di Parigi da parte europea.

In occasione della conferenza delle Nazioni Unite tenutasi a Parigi nel dicembre 2015, le parti di tutto il mondo hanno concordato di limitare il riscaldamento globale ben al di sotto di 2°C rispetto ai livelli preindustriali., con l’obiettivo di mantenere fino al 20150 l’aumento della temperatura del pianeta tra 1.5C e 2C. L’UE si è impegnata a ridurre entro il 2030 le emissioni di gas a effetto serra di almeno il 40 % al di sotto dei livelli del 1990, migliorando nel contempo l’efficienza energetica. del 27 % ed aumentando la quota di consumo di energia proveniente da fonti rinnovabili del 27 %.

Il piano della Norvegia -che è già il più grande esportatore europeo di combustibili fossili– prevede di aumentare la produzione di petrolio e gas nell’Artico, il che minaccia gli sforzi globali per affrontare il cambiamento climatico, secondo un nuovo studio diffuso lo scorso agosto. Secondo questa ricerca, nei prossimi 50 anni, se questo piano avesse seguito, si aggiungerebbero, da parte norvegese, 12 gigatonnellate di carbonio, un aggravio di 1,5 volte rispetto ai ‘campi’ di estrazione norvegesi attuali. Mentre i conservatori sono sostenitori dell’implementazione delle estrazioni e relative nuove esplorazioni nell’Artico, i partiti minori suoi alleati dimostrano qualche perplessità, elemento del quale la destra dovrà tener conto, specialmente se la vittoria sulle forze di sinistra fosse di misura, considerando che verdi e laburisti hanno fatto della riduzione delle estrazioni un loro cavallo di battaglia e considerando che in generale la sensibilità dell’opinione pubblica sul tema sta allineandosi sempre più verso l’attenzione per l’economia verde.