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Israele, l’asse di ferro con il principe saudita bin Salman

13 Settembre 2017

Il futuro re dell’Arabia per la prima volta a Tel Aviv. Per incontri non smentiti da Netanyahu. Sul tavolo, l’apertura agli investimenti dello Stato ebraico e altre collaborazioni. Per affossare il Qatar e la nascita dello Stato palestinese.

Quando più fonti che non si conoscono tra loro riportano la stessa notizia, per il giornalismo anglosassone è probabile che sia vera. Lo è ancora di più se non viene smentita e Israele non lo ha fatto sulle soffiate che si sono accavallate nel weekend su una storica e segreta visita a Tel Aviv di un’importante delegazione saudita, forse capeggiata addirittura dal principe ed erede al trono Mohammad bin Salman, per un incontro ai massimi livelli indicativamente tra il 3 e il 5 settembre. Le grancasse che le hanno diffuse sono poi troppe e di Paesi di schieramenti troppo diversi perché sotto non ci sia niente di vero. Un evento di per sé eccezionale, perché l’Arabia saudita non riconosce lo Stato ebraico come la gran parte dei Paesi arabi musulmani dei quali è capofila.

PIÙ INCONTRI SEGRETI. Tra i governi israeliani e la monarchia wahhabita (il ramo più estremista dell’Islam sunnita, quello degenerato in al Qaeda e Isis) di Riad che controlla la Mecca e Medina non ci sono neanche mai state relazioni diplomatiche. Per quanto da mesi si susseguissero sui media arabi le indiscrezioni di incontri riservati, in corso addirittura da un paio di anni, dopo la salita al trono saudita del nuovo re Salman, per allacciare rapporti economici tra i due Stati. Prima dell’investitura a re, Salman figlio si sarebbe recato a Eilat, lo sbocco sul Mar Rosso di Israele, già nel 2015, per discutere verosimilmente di affari e geopolitica. Altri bilaterali ufficiosi si sarebbero tenuti al summit della Lega Araba ad Amman, nella Giordania che come l’Egitto ha riconosciuto Israele, nel marzo 2017.

Tra ufficiali israeliani e sauditi ci sarebbero poi anche «regolari riunioni» nell’ambito del coordinamento delle operazioni belliche congiunte (in Yemen e nei teatri mediorientali) tra Giordania, Arabia e Stati Uniti: uno scambio di informazioni tra intelligence indirettamente in atto da sempre, con gli americani testa di ponte tra i suoi due principali alleati. L’ultimo incontro di settembre però sarebbe il primo nella città cuore economico e anche diplomatico ormai (sede della maggioranza delle ambasciate dopo il ritiro anche degli Usa dalla capitale contesa Gerusalemme) di Israele: «A Tel Aviv tra personalità arabe di massimo livello» ha twittato il corrispondente radiofonico per il mondo arabo dell’emittente israeliana Ibc, Simon Aran, scatenando un turbinio di speculazioni.

LA DICHIARAZIONE DI NETANYAHU. La medesima radio pubblica ha poi precisato nelle trasmissioni, citando il network internazionale russo Sputnik, che trattavasi di un «principe della corte saudita» venuto a discutere di «processi di pace nella regione» con massimi rappresentati israeliani. L’ufficio del premier Benyamin Netanyahu ha rifiutato dichiarazioni, no comment anche dal Ministero degli Esteri israeliano. La breaking news è arrivata comunque all’indomani del commento di Netanyahu (alle prese con le indagini su di lui per corruzione e, con la moglie Sara, frode su fondi pubblici) sulle «relazioni con il mondo arabo migliori nella storia d’Israele». Mentre intanto, nei media arabi, il principe in incognito della prolifera dinastia al Saud diventava «l’erede al trono bin Salman».

Un tam tam alimentato soprattutto dai canali d’informazione sunniti finanziati dal Qatar come The New Arab (ex al Araby al Jadeed), ma anche la galassia sciita dei media libanesi filoiraniani di Hezbollah ha abbondantemente propagato la notizia. Il sito saudita online Elaph basato a Londra, che intervista spesso ufficiali israeliani di alto grado, ha invece presto diramato un comunicato sull’effettiva «visita di un alto rappresentate istituzionale arabo, ma del Qatar non saudita»: una smentita ufficiosa di Riad, che rinfocola la guerra diplomatica, economica e ormai indirettamente anche militare tra il regno degli al Saud e l’emirato eretico confinante degli al Thani. Sfociata dalla primavera del 2017 nel blocco aereo e commerciale del Qatar.

L’ISOLAMENTO DEL QATAR. Ma l’accelerata dei sauditi sul riavvicinamento con Israele è causa, prima ancora che effetto, della grave crisi con il Qatar, strumentalmente accusato di essere l’unico supporter dei jihadisti delle Primavere arabe. La designazione, nel giugno scorso, da parte del vecchio e malato re Salman del figlio (già ministro alla Difesa e con varie deleghe all’economia e agli interni) a erede è subito stata vista con grande favore dal governo di ultradestra israeliano: il 32enne Bin Salman piaceva perché ancora più anti-iraniano del padre. Sua non a caso è la scelta di bombardare indiscriminatamente lo Yemen dopo la presa della capitale Sanaa da parte dei ribelli sciiti houthi: allora armati dall’Iran, prima minaccia regionale per Israele. Raid che hanno ucciso quasi 1.200 bambini tra le oltre 5 mila vittime civili, favorendo il dilagare della più grave epidemia di colera del 2017.

Al Qatar Riad imputa anche la collaborazione nella gestione dei giacimenti comuni di gas con l’Iran, diventata, dopo il blocco aereo su Doha, un’esplicita alleanza diplomatica e commerciale. La vittoria strategica in Siria del blocco sciita filoiraniano al quale si stanno allineando anche i qatarini, e che si sta concretizzando con la ritirata dell’Isis dalle zone tra il confine con l’Iraq e Raqqa – e con la tenuta di fatto del governo di Bashar al Assad – è poi un ulteriore catalizzatore della convergenza tra Arabia saudita e Israele. Sul piano economico il principe bin Salman, mente anche del piano di rilancio del Paese Visione 2030, punta ad aprire le porte al turismo (Riad rilascia visti turistici) e a maggiori investimenti stranieri, inclusi degli israeliani.

«TENTATIVI DI GOLPE». Da fonti dei media anglosassoni, si sarebbe pronti a concedere alla compagnia aerea israeliana El Al l’attraversamento spazio aereo saudita, mentre la Qatar Airways sta intensificando le tratte verso l’Iran. In questi mesi, bin Salman ha anche ricevuto, in una storica visita in Arabia saudita, il religioso e capo delle omonime milizie irachene Moqtada al Sadr in rotta con il governo di Baghdad, allo scopo di spaccare l’asse sciita. Suoi emissari avrebbero poi contattato un ramo della dinastia qatarina degli al Thani fuggita dal colpo di Stato del 1995 del padre del giovane emiro del Qatar Thamin bin Hamad al Thani. E indiscrezioni sono circolate, su blog di sauditi, su un «complotto» ordito da bin Salman e dagli Emirati arabi alleati, per inviare mercenari a Doha e riportare al potere gli al Thani estromessi.

Per il golpe starebbero pressando sottobanco soprattutto gli americani, che in Qatar hanno la loro maggiore base militare del Medio Oriente e non possono disfarsi direttamente dell’emiro, anche se Donald Trump è vicinissimo all’Arabia saudita e, attraverso il genero Jared Kushner amico dei Netanyahu, a Israele: i raid in Yemen sono scattati proprio all’indomani della visita del presidente degli Usa a Riad. Adesso a tremare di più per una triangolazione di ferro tra Stati Uniti, Israele e Arabia saudita sono i palestinesi: la riapertura ventilata da Trump del cosiddetto processo di pace per la Terra santa, attraverso Riad, significherebbe la fine della soluzione dei due Stati per due popoli. Una resa totale – imposta senza possibilità di mediazioni – a Israele.