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Catalogna al referendum, chi lo vuole e chi lo osteggia

25 Settembre 2017

Intervista esclusiva con Victor Solé, Responsabile delle Relazioni Internazionali per il Col-legi del Politòlegs i Sociòlegs de Catalunya

La Catalogna rimane con il fiato sospeso, e aspetta l’appuntamento, forse più importante di tutta la sua storia, del prossimo 1° ottobre, data in cui i catalani saranno chiamati a votare per la loro tanto attesa indipendenza.

Sembra che i catalani pro-indipendenza credano fermamente in un esito positivo, tant’è vero che in molti hanno richiesto un giorno di ferie dal lavoro per il 2 ottobre, così da poter festeggiare la tanto attesa indipendenza.

Le tensioni interne non vengono però a mancare, e la Spagna sembra attraversare una fase politica interna instabile,  da un lato del tutto nuova, dall’altro forse decisiva per il futuro del Paese.

Si terrà proprio oggi, infatti, la riunione chiave nella delegazione del Governo di Barcellona per stabilire in che modo ‘los Mossos’ agiranno contro il referendum di domenica. Si tratta di un momento del tutto innovativo per il Paese, in quanto i catalani percepiscono la vittoria al referendum come un obiettivo fattibile e, soprattutto, vicino. Una Catalogna indipendente è un traguardo rincorso dai catalani da più di decenni. Il movimento indipendentista catalano è andato crescendo nel corso della storia e, forse, domenica potrà vedere coronata la sua più grande aspirazione.

Oltre ciò, il 1° ottobre è una data decisiva per l’intero Paese iberico, in quanto l’esito del referendum rischia forse di influenzare le altre realtà spagnole che, da tempo, richiedono anch’esse l’indipendenza dal Governo centrale.

A tal proposito, diviene interessante ricostruire un quadro generale che aiuti a comprendere quali sono oggi le dinamiche politiche interne e quali sono le diverse tappe storico-recenti che hanno portato la Spagna e il movimento catalano allo stadio e contesto attuale.

Abbiamo intervistato Victor Solé, responsabile delle Relazioni Internazionali presso il Col·legi de Politòlegs i Sociòlegs de Catalunya (COLPIS), Collegio di studi Politici e Sociali della Catalogna. Gli abbiamo chiesto di descriverci gli attuali equilibri politici interni e di ricostruire un nesso storico-politico del movimento indipendentista catalano, in modo da poter comprendere come si è andato trasformando il contesto socio-politico spagnolo e catalano.

Catalogna come Nazione e Catalogna come popolazione, ci può spiegare quali sono le differenze in termini tecnici, ovvero secondo un aspetto politico, economico e sociale?

La maggioranza dei catalani pensa che la Catalogna sia una Nazione. Il concetto ‘Nazione’ appartiene sia alla filosofia che alle scienze sociali, e nell’Ottocento apparve anche come concetto romantico. La scienza politica propone due concetti di Nazione, la Nazione ‘politica’, e la Nazione ‘culturale’. La prima indica un’entità in grado di garantire la propria sovranità su un territorio, detenendo, quindi, il monopolio della forza- violenza su di esso. Si tratta, dunque, di un’entità che possiede un apparato statale che organizza la Nazione e la società che ivi abita. La Nazione culturale, d’altro canto, è un concetto decisamente più polemico. Indica, infatti, una comunità dalla coscienza politica differente, in quanto possiede delle tradizioni e delle caratteristiche culturali e linguistiche che la rendono diversa dalle altre comunità. Da un lato la ‘Nazione politica’ è in grado di garantire, quindi, la sua sovranità su di un determinato territorio, mentre la ‘Nazione culturale’ no. Prendendo questi due concetti come cardini per collocare l’indipendentismo catalano, possiamo asserire che, oggi, la Catalogna chiede di essere rispettata come Nazione – politica- aldilà delle sue caratteristiche culturali, al fine di percepire una sua maggiore sovranità.

Inoltre, per popolazione si intende quella società, diversa o omogenea che sia, che vive in una Nazione, e la Catalogna possiede una popolazione eterogenea, ma che, nonostante ciò,  sente di appartenere ad una società catalana.

In Spagna, chi (quale partito e che fascia di popolazione) sostiene la Catalogna come una Nazione indipendente?

Nella Catalogna i partiti che sostengono l’indipendenza sono, per lo più, riuniti nella coalizione ‘Insieme per il Sí’ (Junts pel Sí). Mi riferisco al Partito Democratico Europeo Catalano (Partit Demòcrata Europeu Català, PDECat) – di centro destra e liberale -, fondato nel 2016 a seguito dell’implosione dell’antica Convergenza Democratica Catalana, ed è il partito del Presidente Carles Puigdemont. Nel Junts pel Sì vi rientra anche la Sinistra Repubblicana della Catalogna (Esquerra Republicana de Catalunya, ERC) – centro sinistra, socialdemocrata – ovvero il partito del vicepresidente Oriol Junqueras, insieme ai Democratici della Catalogna (Demòcrates de Catalunya) – piccolo partito democristiano nato nel 2014 -, i quali si sono allontanati dal principale partito democristiano catalano,  Unione Democratica (Unió Democràtica),in quanto non volle accettare le tesi indipendentiste (oggi l’Unione Democratica non esiste più, si è dovuta sciogliere per problemi con il fisco). E, infine, anche Candidatura d’Unità Popolare (Candidatura d’Unitat Popular, CUP) – coalizione di partitini anarchici indipendentisti – sostiene l’indipendenza. Nei Paesi Baschi, invece, i partiti che sostengono l’indipendenza catalana sono il Partito Nazionalista Basco (Partido Nacionalista Vasco, PNV) – conservatore basco e nazionalista -, e l’Euskal Herria Bildu, partito di sinistra, cui leader, Arnaldo Otegi, fu membro della sezione politica della ETA, e per questo incarcerato dal 2013 al 2016. Vi è, inoltre, un partito in Galizia che sostiene l’indipendenza della Catalogna, ed è il Bloque Nacionalista Galego – partito di sinistra.

Tutti questi partiti sostengono che la Catalogna sia una Nazione, e che abbia il diritto all’autodeterminazione, come pure Euskadi (il nome in basco del Paese Basco) e la Galizia. La loro difesa della possibilità indipendentista catalana dipende, naturalmente, dal loro carattere politico nazionalista.

Sono solo i partiti a sostenere una Catalogna indipendente?

No, in Catalogna, oltre ai partiti, ci sono numerose organizzazioni della società civile, molto grandi, che difendono una Repubblica Catalana. Ad esempio, vi è l’Assemblea Nazionale Catalana (Assemblea Nacional Catalana, ANC), nata nel 2012, e organizzatrice delle grandi manifestazioni. Il suo primo Presidente, Carme Forcadell, è adesso Presidente del Parlamento catalano. Un’ulteriore organizzazione socio-civile è l’Òmnim Cultural, un’organizzazione culturale catalana che lottò contro la dittatura del generale Franco e che ha sempre difeso la lingua e la cultura catalana. Difende l’indipendenza anche il Súmate, un’organizzazione di emigranti spagnoli e ispano-parlanti favorevoli all’indipendenza. Uno dei suoi fondatori, Gabriel Rufrián, è l’attuale capo della Sinistra Repubblicana di Catalogna (Esquerra Republicana de Catalunya, ERC) nel parlamento spagnolo. Anche Diritti (Drets), associazione di avvocati e giudici, è favorevole all’indipendenza che difende gratis i detenuti politici pro-indy ( pro-indipendenza).

Chi invece si oppone a una Catalogna indipendente, non soltanto in termini di partiti e società civile, ma anche a livello internazionale?

In Catalogna, e Spagna, uno dei partiti che si oppone all’indipendenza  è Cittadini (Ciudadanos, C’s), partito nato nel 2006 con un’agenda socialdemocratica e nazionalista spagnola, la cui  volontà era quella  di riformare il sistema educativo catalano (che secondo loro deve insegnare meno catalano e più spagnolo). E’ importante, a tal proposito, sottolineare che in Catalogna il sistema educativo, come quello spagnolo, insegna le materie tanto in catalano come in spagnolo, ma favorisce il catalano, in quanto  viene considerato ‘lingua propria’ della Catalogna dallo Statuto regionale. Dal 2014 il C’s ha intrapreso un cambiamento ideologico verso il liberalismo economico, senza dimenticare il nazionalismo spagnolo. Anche il Partito dei Socialisti della Catalogna (Partit dels Socialistes de Catalunya, PSC) – socialdemocratico catalano, sezione catalana del PSOE, Partito Socialista Operaio Spagnolo (Partido Socialista Obrero Español, PSOE), ovvero il partito più antico del sistema spagnolo, si oppone all’autodeterminazione della Catalogna, come anche il Partito Popolare (Partido Popular) – ovvero un partito conservatore dal forte nazionalismo spagnolo. Anche se ha un fondo ideologico socialmente più moderato rispetto a quanto molta gente crede, l’agenda nazionalista del PP ha ‘penalizzato’ il partito in tutta la Catalogna, in quanto le dichiarazioni anti-migranti e quasi xenofobe dei suoi leader lo hanno fatto sembrare di estrema destra. Il PP è, in realtà, il partito spagnolo più potente, conservatore socialmente e liberale economicamente. Fu fondato da un ex-ministro di Franco, Manuel Fraga nel 1979, ed è un partito che non ha mai condannato il franchismo.

Anche Catalogna Comune (Catalunya En Comú) – partito di sinistra ecologista, cui fanno parte anche ex- comunisti – si oppone all’autodeterminazionedella Catalogna (anche se tanti dei suoi leader preferirebbero l’indipendenza). La sindaca di Barcellona, Ada Colau, è la guru di questo partito.

Dello stesso parere è anche Podem (Possiamo), la sezione catalana di Podemos – orientamento di sinistra -, anche se, ad oggi, si trova in conflitto con la leadership di Podemos (ad esempio con Pablo Igleasias). Quest’ultimo è l’unico partito spagnolo che difende apertamente la necessità di riformare la Costituzione, di organizzare un referendum per la Catalogna, e che quest’ultima è una Nazione dentro la Spagna (considerando quest’ultima una Nazione di nazioni).  Chi si oppone, infine, è la Sinistra Unita (Izquierda Unida, IU), partito cardine degli antichi comunisti spagnoli, che oggi si trovano in coalizione con Podemos e difendono, quindi, le stesse cose.

L’unica associazione unionista spagnola è la Società Civile Catalana (Societat Civil Catalana, SCC), anche se non ha le stesse dimensioni dell’ANC.

A livello internazionale, praticamente tutti gli Stati della Comunità Internazionale si oppongono alla secessione di una regione/Nazione che fa parte di uno Stato come la Spagna, e quindi all’indipendenza catalana. Mentre, tutte le entità nazionali senza Stato, le stateless nations, tendono a simpatizzare con la Catalogna, ad esempio il Kurdistan, le Fiandre, le Corsica, il Quebec, la Scozia, ecc.

Può descriverci il trascorso storico recente di questo movimento indipendentista?

Il movimento indipendentista catalano è sempre stato minoritario in Catalogna. Sebbene la maggioranza della popolazione ha sempre difeso che la Catalogna fosse una Nazione, quest’ultima lo poteva essere dentro la Spagna – sempre che essa fosse democratica. La relazione tra Catalogna e Spagna non è mai stata perfetta, nemmeno durante l’epoca degli Asburgo (secoli XVI e XVII), e ancor meno con i Borboni (dal Settecento in poi). In realtà, la storia spagnola,  dalla Guerra di Successione – quando i Borboni conquistarono il trono spagnolo, 1700—1714 -, è piena di capitoli in cui la tensione tra Spagna e Catalogna si risvegliava di volta in volta. Alcuni di questi possono, ad esempio, essere le guerre civili carliste nell’Ottocento, la rivoluzione industriale e il conseguente risorgimento culturale catalano di fine Ottocento e inizi Novecento,  la Seconda Repubblica spagnola (1931–1939), la dittatura franchista e, infine,  il sistema democratico della Costituzione del 1978.

Il movimento indipendentista catalano, quindi, è stato sottoposto alla periodica reazione nazionalista della società catalana, la quale si è sempre ribellata alle inaccettabili politiche nazionaliste imposte dal Governo spagnolo, come ad esempio la proibizione della lingua catalana, della cultura catalana, ecc.. Il movimento è rimasto una corrente minoritaria fino al 2004, anno in cui il Governo catalano, presieduto dal socialdemocratico Pasqual Maragall – in coalizione con ERC e gli ecologisti (tutti loro difensori della Nazione catalana) – promosse una riforma dello statuto regionale, dando più competenze alla Catalogna in termini culturali, economici e fiscali. Il Primo Ministro spagnolo dell’epoca, José Luis Rodríguez Zapatero,  accettò questa riforma, insieme ai conservatori catalani, nonostante scatenasse un’importante ondata di polemiche e rimproveri da parte dei socialisti spagnoli contrari (soprattutto nel sud del Paese). Il PP, cui leader era Mariano Rajoy,  si oppose categoricamente a questa riforma e organizzò una raccolta firme d’opposizione.

Vennero raccolte più di 4 milioni di firme. Non fu una raccolta anti-catalana o catalanofoba  ( anche se in tante occasioni, per raccogliere queste firme, i leader del PP la descrivevano come ‘una raccolta contro i catalani’), ma era una strumentalizzazione della questione catalana da parte del PP per perseguire una strategia politica ben chiara. Mi spiego. Il realtà, all’epoca il PP seguiva la sua strategia politica di opposizione totale alle politiche di Zapatero, se il Premier proponeva una legge favorevole ai diritti LGBT – derechos lesbianas, gays, bisexuales y transgènero, diritti per le lesbiche, gay, bisessuali e transessuali -,  il PP si opponeva; se i socialisti facevano una legge educativa, il PP si opponeva; se il PSOE accettava la riforma dello statuto catalano, il PP si opponeva. La Catalogna non era dunque una regione odiata, ma una regione usata dal PP.

Sotto questa strategia, il PP presentò lo statuto alla corte costituzionale, la quale lo riformò unilateralmente, togliendo le competenze che il parlamento catalano aveva stabilito, e la società catalana accettato, in un referendum. Nel luglio del 2010, lo statuto catalano fu rinviato alla Catalogna e quello stesso mese Barcellona accolse una grande manifestazione col motto ‘Siamo una Nazione, abbiamo il diritto di decidere’. Dal 2006 al 2010 le relazioni Catalogna–Spagna vissero un periodo decisamente complesso è stressante che le vide, da allora, allontanarsi definitivamente.

Nel 2009, cominciarono ad organizzarsi delle consultazioni simboliche in paesi e città catalane, ovvero le consultes per la independència. La loro organizzazione spettava alle piccole associazioni locali – tutte pro-indipendenza – , le quali si unirono poi nel 2012 nell’Assemblea Nazionale Catalana (ANC). Nel 2010, Artur Mas (leader dei conservatori catalani) vinse le elezioni legislative catalane, mentre l’anno dopo, nel 2011, il PP vinse le elezioni legislative spagnole con maggioranza assoluta, adottando così un programma austero cui obiettivo era la ri- centralizzazione.

Dal 2012 in poi, il movimento indipendentista catalano non ha fatto altro che crescere. Mentre il PP imponeva il suo programma (togliendo competenze alle regioni per ridarle allo Stato), il movimento rispondeva coinvolgendo sempre più catalani. La prima grande manifestazione ‘indy’ – pro indipendenza catalana – risale al 2012, e il suo motto era ‘Catalogna, nuovo Stato europeo’. Nel 2013, la manifestazione fu una catena umana dal sud al nord della Catalogna (la ‘Via Catalana’), seguita da altre numerose manifestazioni negli anni successivi, fino ad arrivare al corrente 2017. Mentre il nazionalismo catalano, di sinistra e di destra, si ricompattava, i vecchi partiti sparivano lasciando spazio ai nuovi. Il processo indipendentista riceveva risposte incongrue dal Governo di Rajoy, passando dall’incomprensione alla negazione. Nel 2012, il Presidente catalano Mas chiese a Rajoy di riformare il sistema fiscale catalano, ma Rajoy si oppose senza presentare opzioni, né alternative. Le risposte del Governo Rajoy, sempre più categoriche, negative e dure, resero ancora più tese le relazioni fra Spagna e Catalogna. Tant’è che, nel 2014, Mas chiese di organizzare un referendum di autodeterminazione, ma Rajoy si oppose e alla fine si celebrò una consultazione non vincolante che non fu accettata neanche  dagli indipendentisti più radicali.

Il 27 settembre del 2015, ci furono nuove elezioni legislative catalane. Una coalizione pro-indy, ’Insieme per il Si’- con liberali, socialdemocratici, democristiani e indipendentisti – , vinse le elezioni, e Puigdemont divenne presidente. A tal proposito, bisogna però sottolineare che all’interno dello stesso movimento indipendentista (MIC) le relazioni non sono eccellenti, bensì alquanto tese e difficili, con tanti interessi personali e di partito. Ma, tutti loro hanno un obiettivo che, per adesso, li accomuna: l’indipendenza della Catalogna.

Quali sono, secondo lei, gli ultimi risvolti politici fondamentali per comprendere la questione ‘Catalogna indipendente’?

Secondo me, per comprendere al meglio la questione indipendentista catalana, bisogna tenere in considerazione, innanzitutto, la raccolta di firme del PP del 2006. Inoltre, bisogna tenere in mente la cultura politica estremamente conservatrice e irremovibile del Governo Rajoy, insieme all’unione del MIC sotto la leadership della società civile pro-indy, e non dei partiti. Un ulteriore evento, forse, cardine è l’elezione di Puigdemont come presidente catalano e le leggi catalane votate dal parlamento catalano il 6 e 7 settembre 2017, con le quali la Catalogna è diventata ufficialmente una regione ribelle alla Spagna, perché non accetta parte del sistema costituzionale attuale spagnolo. Mi riferisco alla Legge del Referendum di Autodeterminazione e la Legge della Transizione Giurisprudenziale e Fondatrice della Repubblica. Si deve, inevitabilmente, considerare poi la risposta dello Stato, ovvero negazione e opposizione, anziché accettazione e/o negoziazione.

Qual è il significato politico e sociale del referendum del 1° Ottobre?

In un primo momento, il significato difeso dal MIC era il diritto all’autodeterminazione. Dopo le azioni della polizia militare spagnola (la Guardia Civile) e della polizia spagnola, e dopo la sospensione parziale dell’autonomia regionale da parte del Governo di Rajoy, il MIC difende il referendum del 1° Ottobre, riconoscendolo come il simbolo della democrazia, visto che il Governo Rajoy farà tutto il possibile (e fa tutto il possibile) per frenare questa votazione.

Perché proprio adesso? E quali sono le differenze con il referendum precedente?

Il governo catalano ha sperato e cercato di convincere il Governo Rajoy – e Ciudadanos, PSOE, le grandi aziende spagnole e i principali media spagnoli –  ad organizzare un referendum legale ma, nonostante alcuni leader delle aziende e dei media lo hanno riconosciuto come unica via di uscita all’attuale tensione, il Governo Rajoy – con un nucleo di votanti fortemente nazionalisti spagnoli provenienti soprattutto dalle regioni interne  della Spagna – si è sempre opposto. Lo fece nel 2014 e lo fa tutt’oggi, nel 2017. Ora, però, il governo catalano spera di poter celebrare un referendum vincolante, e se il Si all’indy vincerà, martedì 3 ottobre la Catalogna dichiarerà la sua indipendenza unilateralmente. Non ha posto un minimo di partecipazione.

La Catalogna come Nazione: cosa comporterebbe a livello politico, economico e sociale per la Spagna?

L’indipendenza della Catalogna comporterebbe una sua accettazione come ente, o entità, distinta fuori dalla Spagna, con la sua conseguente possibilità di poter gestire le proprie competenze fiscali, economiche, finanziarie e culturali, senza alcuna ingerenza da parte dell’amministrazione statale. Comporterebbe, inoltre, per la Spagna una profonda, storica e fondamentale riforma nazionale e costituzionale.

Secondo i pro-indy, la Catalogna diventerebbe una repubblica parlamentare (come l’Italia, la Germania,  Israele o il Portogallo), unicamerale, il cui ‘capo’ verrebbe eletto direttamente col suffragio universale e rimarrebbe scevro dai poteri esecutivi. Socialmente, le tre lingue ufficiali sarebbero il catalano, lo spagnolo e la lingua d’oc (parlata nel Valle di Aran, nord ovest). Economicamente, non è stato ancora raggiunto un consenso all’interno del MIC, alcuni sostengono che l’indipendenza renderebbe la Catalogna uno Stato migliore, altri invece no.

Cosa comporterebbe, invece, una sua indipendenza a livello internazionale in termini politici, economici e sociali?

Una Catalogna indipendente dovrebbe cercare e trovare il consenso della Comunità Internazionale, diventando poi membro dell’ONU, della NATO e dell’UE. Ed è questo quello che vuole la maggioranza dei pro-indy. Il problema rimane, però, il rapporto con la Spagna. Non sarà, secondo me, una relazione di certo facile. Non lo è adesso, perché dovrebbe migliorare a breve?

Catalogna indipendente e Unione Europea, quale sarà il futuro politico ed economico di questi due insoliti partner?

L’euro sarebbe ancora la moneta usata, e l’acquis communautaire europeo proseguirebbe, ma le relazioni con l’UE sarebbero condizionate dalla Spagna. Molti catalani manterrebbero la cittadinanza spagnola, e l’UE dovrà trovare delle risposte adeguate tanto per il suo stato membro (la Spagna), come per una regione che ha raggiunto l’indipendenza. Si tratterebbe, comunque, di un evento accaduto per la prima volta nella storia dell’Unione Europea.