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Italia – Libia: il fattore Minniti

7 Luglio 2017

La stabilizzazione libica e le esigenze di sicurezza italiana secondo l’analisi di Denise Serangelo dell’Alpha Institute of Geopolitics and Intelligence

Ieri il vertice a Tallin dove si sono riuniti i ministri dell’Interno dell’Ue per discutere di migrazione e di misure di sostegno per l’Italia. Vittorie su alcuni fronti: la costituzione in Libia di un centro di coordinamento marittimo, l’approvazione di un codice di comportamento delle ONG che operano salvataggi, l’aumento del fondo di garanzia Ue-Africa, il coordinamento per il rilascio di visti per la lotta all’immigrazione clandestina, l’incremento delle quote di ricollocamento nei Paesi dell’Unione per i rifugiati sbarcati in Italia.

A proposito delle ONG, il codice di comportamento, secondo l’Italia, dovrebbe contenere i divieti di accesso alla acque territoriali libiche, di spegnere i transponder, di segnalazione notturna con luci e razzi, di trasbordare i naufraghi su altri natanti e gli obblighi di fornire l’elenco con i nomi dell’equipaggio e di rendere noti i finanziamenti delle organizzazioni.

Ma non sono state affatto tutte rose e fiori. L’Europa decide di sbarrare i porti. La proposta italiana di cambiare il mandato per la missione Frontex ‘Triton’ che prevede, infatti, di condurre i profughi salvati nei porti italiani, è stata rifiutata. L’Italia aveva chiesto a gran voce di ripartire gli sbarchi anche su porti di altri Paesi. Unanime il disaccordo. Dalla Germania subito il no cui è seguito a catena quello di Belgio, Spagna, Olanda e Francia. Il commissario Ue per l’immigrazione, Dimitris Avramopoulos già prima della riunione era stato chiaro, lasciando intendere la posizione europea: «la missione ha già un mandato ben definito, si tratta di migliorare l’attuazione di quanto già deciso». «La questione dei porti non è all’ordine del giorno, se ne discuterà in altra sede», dice pronto il nostro Ministro degli Interni, Marco Minniti riferendosi al meeting con Frontex in programma l’11 Luglio a Varsavia.

«Per non far partire i migranti non bisogna farli entrare in Libia». Di questo si è parlato sempre ieri in una riunione alla Farnesina, in cui si sono riuniti il Ministro degli Esteri Angelino Alfano, l’Alto Rappresentante Federica Mogherini, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), il vice alto commissario per i rifugiati, il Rappresentante Speciale del Segretario Generale ONU per le migrazioni e altri ministri dei Paesi Ue. Importante la presenza dei ministri degli Esteri dei principali Paesi Africani di transito dei migranti tra cui Algeria, Ciad, Egitto, Etiopia, Libia, Niger, Sudan, Tunisia. «La crisi migratoria non può essere fermata solo nelle acque del Mediterraneo, per questo abbiamo coinvolto i Paesi africani di transito», ha detto Alfano. «Lo spostamento della nostra azione è sempre più a Sud».

Si punta alla diminuzione del flusso di migranti in Libia, alla stabilizzazione della situazione di Paesi in difficoltà e allo sviluppo dei Paesi d’origine dei migranti. L’Italia ha dato il suo con 31 milioni per il Fondo Africa: 10 milioni al fondo dell’Ue per rafforzare le frontiere libiche, 18 milioni per i rimpatri volontari assistiti dalla Libia ai Paesi d‘origine e 3 milioni volti alla lotta contro i trafficanti. I ministri presenti hanno così firmato una dichiarazione congiunta in cui ci si impegna sostenere le comunità locali con investimenti nelle aree di partenza dei migranti, a supportare i Paesi di transito nella lotta al traffico di esseri umani, ad aumentare l’intervento internazionale, ad incrementare la presenza dell’UNHCR per assistere i migranti nel transito e lavorare sui possibili ritorni, nonché, ad aumentare le campagne di comunicazione per rafforzare la consapevolezza dei rischi di una migrazione irregolare. Intanto il prossimo 8 Luglio Alfano incontrerà il Vice primo ministro libico Ahmed Maiteeq ad Agrigento.

Per comprendere bene il punto di vista dell’Italia, è, però, necessario partire dalla causa delle sue preoccupazioni: l’instabile situazione della Libia. Il report di Denise Serangelo per Alpha Institute of Geopolitics and Intelligence, ‘Come opera il ‘Fattore Minniti’ in Libia per la stabilizzazione d’area e la sicurezza nazionale italiana’ ci aiuta a far luce proprio su questo. L’incertezza libica pervade sia il piano della sicurezza interna al Paese che la politica, dove diverse forze lottano per il potere ed il Governo di Al Fayez Serraj, in carica dallo scorso anno, fatica a gestire adeguatamente la situazione. In diverse occasioni si sono verificati dei tentativi di presa del controllo di Tripoli da parte di milizie ribelli, tra la fine dello scorso anno e la metà di quello corrente. La reazione dell’amministrazione centrale non è mancata; sono seguiti scontri tra le milizie del Governo di accordo nazionale (Gna) e quelle antagoniste, diversi morti e moltissimi feriti.

Nessun passo in avanti nemmeno da parte del Governo di Tobruk e di Khalifa Haftar, disinteressato ad un ampio controllo territoriale e al sud del Paese, area che necessiterebbe, invece, di un’attenzione quanto mai maggiore visto il nesso con i vari traffici. Altro punto di debolezza sono le forze armate libiche che sono ancora in formazione e che volontariamente evitano gli ‘sgraditi’ aiuti esterni di ONU e NATO. L’equilibrio alquanto precario, nonché la pressoché totale incapacità nel porre un freno a queste instabilità, rendono la Libia poco attraente anche per gli altri Paesi e, quindi, poco probabile un miglioramento della situazione. Ma rivestono un grosso problema anche per l’Italia stessa, poiché, l’assenza di controllo non fa che riflettersi sulla sicurezza del Mediterraneo.

Il traffico di esseri umani dalla Libia verso il nostro Paese, monopolizzato dagli interessi speculativi dei trafficanti, influisce negativamente sulla sicurezza italiana. Per questo, l’Italia è diventata protagonista di una campagna strategica con il fine di divenire interlocutore nella crisi libica. Il nostro Governo, insieme a quello libico, sta lavorando per un miglioramento della situazione generale; al centro, il concetto dell’integrazione delle minoranze rilevanti nel Paese per ottenere un più ampio consenso politico. L’Italia ha supportato entrambi i Governi presenti in Libia, anche quello di Tobruk, peraltro non riconosciuto dalla comunità internazionale. Stessi aiuti umanitari e sanitari, stesso modo di operare, un importante fine: annacquare le tensioni tra le due parti scongiurando pericolosi favoritismi.

L’impegno è volto a stabilizzare la situazione libica e, quindi, porre un freno anche ai traffici illegali di migranti; a questo interesse corrisponde quello di Serraj che deve mostrare di riuscire a gestire autonomamente i propri problemi facendo buon uso delle risorse a disposizione. Un’enorme lotta per il premier che finora si è dimostrato incapace di gestire adeguatamente il territorio e a garantire i servizi minimi essenziali senza l’appoggio delle milizie e dei diversi capi tribù. E’ chiara la frammentazione politica e territoriale di un Paese che si può davvero comprendere solo se si ragiona su questo elemento.  Minniti, all’incontro a Tripoli con gli esponenti del Governo, ha portato sul tavolo la questione migranti sottolineando la portata enorme (90%) dell’immigrazione illegale dalla Libia verso l’Italia.

Uno degli attori principali nel piano strategico italiano è l’Eni. Infatti, nonostante la crisi che ha colpito la Libia e tutti i problemi che ne sono derivati, il petrolio è stato l’elemento che ha permesso al Paese di non sbriciolarsi, rimanendo il fulcro della loro economia. Dopo la caduta di Muammar Gheddafi nel 2011, le attività di estrazione sono state, per la maggior parte, interrotte e anche dopo, la situazione così instabile del Paese rendeva problematica l’estrazione e la vendita. La minaccia dello Stato Islamico ha posto un ulteriore problema, anche perché la sede operativa dell’IS è stata posta proprio nella zona petrolifera di Sirte.

Solo nel 2014 la situazione è migliorata, l’esportazione verso l’Europa è ripresa e il petrolio è divenuto uno dei motivi di apertura del dialogo tra la Libia e gli altri Stati. Come sottolinea il report, quando si parla di Libia, si deve riflettere sul fattore del greggio, poiché è un elemento essenziale affinché possano mettersi in piedi solide politiche sociali ed economiche nel Paese. Il suo «enorme potenziale di guadagno è un fattore di stabilizzazione» e se sfruttato bene può portare ad una ritrovata unità nazionale.

Alla luce di questo si percepisce come il ruolo dell’Eni sia fondamentale. Inoltre, occorre precisare che il nostro Paese è il primo importatore di gas libico grazie al gasdotto gestito dalla stessa Eni, per noi essenziale perché l’unica fonte di gas insieme a quella russa. Con la strategia intrapresa dal Governo italiano, di cui l’Eni ne è diventata parte, sono state create opportunità lavorative e delle alternative che consentissero alle persone di fuggire dal mercato nero e dal contrabbando di petrolio. L’Eni è stabile in molte aree in Libia e rappresenta un’importante figura per la stessa popolazione.

Come si legge nel report, il 60% della produzione giornaliera (35 milioni di metri cubi di gas) alimenta il mercato locale e permette alle centrali elettriche di funzionare. Chiara è anche la speranza che il sostegno e gli investimenti della società possano dirigere le decisioni future di Serraj verso un mutuo guadagno. Intenzione dell’Italia è quella di sfruttare il suo rapporto con la Libia per rivestire il ruolo di protagonista nella ripresa economica e politica del Paese.

Ma non meno importante nella strategia è l’attenzione nel coinvolgere la popolazione; se, infatti, non si tutelassero in primis le persone, soprattutto quelle più colpite dalla crisi, la percezione nel Paese sarebbe diversa e si rischierebbe di permettere ai gruppi armati di prendere in mano la situazione. L’obiettivo della sicurezza e della stabilità sarebbe così prossimo al tragico sgretolamento. Ciò che si è verificato in Libia è stato un impegno multilaterale tra ONU, Italia e settore privato. E’ chiaro che un maggior dialogo tra Libia ed Europa porterebbe l’Italia a rivestire un ruolo centrale nel quadro di una strategia di affronto delle crisi e di ricostruzione in cui a lavorare insieme sono il pubblico e il privato.

Tra il 2016 ed il 2017 l’Italia ha sviluppato un progetto di intervento, discusso con Bruxelles, in favore del Governo libico, i cui elementi sono stati portati avanti da Minniti, deciso a far comprendere le potenzialità che l’Italia ha su quel fronte, sia di carattere economico che legate all’interesse di frenare il traffico di migranti. Il fine è quello di fortificare la Libia per permetterle di controllare meglio le sue frontiere. Il focus su cui insistere sembra essere il sud del Paese, caratterizzato da confini completamente incontrollati e, perciò, il primo fattore di preoccupazione per l’Italia, sia per la questione dei migranti che per gli ulteriori traffici di armi e di stupefacenti che vanno ad alimentare il terrorismo internazionale e le organizzazioni criminali. «Fermare questi traffici attraverso un controllo capillare e possibilmente congiunto non solo gioverebbe alla stabilizzazione dell’economia libica ma anche di rimando alla sicurezza italiana ed europea», si legge nel report.

Nello scorso febbraio, Il Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e il Premier Serraj hanno firmato un accordo volto a contrastare il traffico di migranti, nonché il contrabbando tra le sponde sud e nord del Mediterraneo; l’accordo vede la partecipazione attiva della Libia dietro l’aiuto materiale per il compimento di quanto deciso. Il piano Minniti, prevede, però, molto altro e potrebbe essere proposto ufficialmente anche al Consiglio d’Europa. Gli obiettivi da raggiungere, così come descritti dal report, sono sette: rafforzare la capacità della Libia nella sorveglianza marittima, dare loro assistenza per la definizione di un’area marittima SAR (Search and Rescue), istituire una MRCC (Maritime Rescue Coordination Centre) e una centrale operativa di coordinamento di salvataggio, assistere la guardia costiera di Tripoli nelle procedure SAR, irrobustire la cooperazione tra le agenzie internazionali e le autorità libiche, intensificare gli interscambi operativi marittimi con l’Italia e gli altri stati Ue, sviluppare le capacità di intervento ai confini di terra nel controllo dei traffici di esseri umani e di soccorso ai migranti in fuga.

Riveste un punto fondamentale la centrale operativa MRCC e la formazione del personale locale; si dovrebbe arrivare a 132 membri di equipaggio in formazione entro il 2017 e che riescano ad operare già dal 2018. Partecipano al progetto la Polizia di Stato, i tecnici del ministero dell’Interno e la Guardia Costiera italiana incaricata dell’addestramento. In campo l’ipotesi di consegnare otto motovedette, programmare una manutenzione triennale della flotta libica ed un cantiere nel porto di Tripoli, nonché definire la formazione per il personale libico destinato al controllo delle coste. Si parla anche di mezzi da predisporre, tra cui circa dieci gommoni, 30 Suv e una decina di autobus e ambulanze, quattro barche di pattugliamento e dispositivi di comunicazione satellitari.

Essenziale è l’azione coordinata degli attori europei e internazionali. Tra questi il report segnala Frontex, l’operazione Eunav Formed–Sophia, la delegazione dell’Ue in Libia, l’Eubam (EU Border Assistance Mission in Libya), ma anche l’OIM e l’UNHCR, nonché l’alto commissariato ONU per i rifugiati. L’Italia è in prima linea sul fronte libico e non a caso ha riaperto, con tutti i rischi connessi, la sede diplomatica a Tripoli. E’ opportuno considerare che però, il supporto ad uno Stato in difficoltà, va di pari passo con la questione della corruzione e dell’opportuna creazione di un sentimento nazionale di primaria importanza. Inoltre, non è certo che dopo gli sforzi e le azioni predisposte si riesca a realizzare quanto sperato.

Certo è che bisogna considerare anche il ruolo centrale che giocano le varie tribù, i gruppi criminali, nonché i Paesi di ‘passaggio’. Nell’Aprile del 2017, i rappresentanti delle tribù del sud della Libia si sono incontrati a Roma con Minniti per parlare di sicurezza. Il lavoro italiano ed europeo sta coinvolgendo anche i Paesi di transito, specie il Niger, ma senza il supporto delle autorità libiche e degli attori principali nel Paese non si potrà ottenere un completo controllo della situazione. Le difficoltà sono immediatamente intuibili se si pensa alla lunghezza del confine di 5.000 km del sud della Libia e alla molteplicità dei soggetti coinvolti in quelle aree. Circa 60 tribù hanno firmato un accordo per la predisposizione di una guardia di frontiera libica a presidio dei confini meridionali. «Sigillare la frontiera a sud della Libia, significa sigillare la frontiera a sud dell’Europa e centellinare gli arrivi sulle coste prima di Tripoli e poi di Roma», si legge nel report.

Questi, quindi, gli obiettivi portati avanti da Minniti e dal nostro Governo in attesa che gli altri Paesi siano disposti ad una maggiore collaborazione su questa linea.