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Il modello di accoglienza dei migranti a Milano è in crisi?

14 Maggio 2017

Dietro alla stazione centrale di Milano, sotto i bastioni grigi e imponenti sui quali passa la ferrovia, il 7 maggio un ragazzo maliano di 31 anni si è impiccato. È salito sul muretto, in via Ferrante Aporti, si è messo un cappio al collo e si è lasciato scivolare. Se ne sono accorti i passeggeri di un treno, che hanno visto il ragazzo infilarsi un laccio intorno alla testa. Ma soprattutto se n’è accorto un passante che a mezzogiorno stava andando a prendere la sua auto parcheggiata al bordo della strada e ha dato l’allarme.

I soccorritori hanno portato il ragazzo in fin di vita all’ospedale Niguarda. Alle 12.50 del 7 maggio è stato dichiarato morto. Non aveva documenti con sé, ma dalle impronte digitali i carabinieri di Porta Manforte sono riusciti a risalire alla sua identità: avevano diffuso la sua fotografia a tutti i responsabili dei centri di accoglienza di Milano, ma non erano riusciti a raccogliere informazioni su di lui. Si trovava in Italia da un anno e mezzo, era un richiedente asilo, non era residente in nessun centro di accoglienza milanese, era stato registrato nei servizi di accoglienza di Modena. È tutto quello che sappiamo. Il nome dell’uomo non è stato diffuso.

Per Pietro Massarotto, avvocato e presidente dell’associazione Naga di Milano,”il ragazzo probabilmente dormiva per strada, come tanti richiedenti asilo che hanno perso il diritto di essere assistiti dal sistema di accoglienza italiano”. Nell’ultimo anno e mezzo, continua Massarotto, in seguito al ripristino dei controlli alle frontiere settentrionali italiane da parte della Svizzera e degli altri paesi europei, a Milano è stato registrato un aumento dei migranti in città, molti dei quali senza fissa dimora.