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Cosa possiamo dedurre dal rapporto Censis, e cosa no

9 Giugno 2017

Partiamo da un numero: 12 milioni. Sono, secondo l’edizione 2017 del rapporto Censis-RBM Assicurazione Salute, le persone che in Italia hanno dovuto rinunciare, o rinviare prestazioni sanitarie, con un aumento di 1,2 milioni rispetto all’anno scorso. Si tratta chiaramente di un numero spaventoso (stiamo parlando di circa il 20% della popolazione italiana), soprattutto per un paese con un Servizio Sanitario Nazionale che, almeno nelle intenzioni, risulta universalistico.

Questo dato chiaramente è stato immediatamente messo in relazione alle stime della Corte dei Conti, che quantifica un taglio della spesa pubblica reale di circa 1,1% l’anno nel periodo 2009-2015, con un andamento temporale della spesa sanitaria in totale controtendenza rispetto alla media europea. Ma il dato forse più preoccupante risulta quello relativo alla spesa out-of-pocket. Questa rappresenta l’esborso privato per l’utilizzo dei servizi, e fondamentalmente, nella stima Censis-RBM, si compone di più voci, come l’acquisto dei farmaci, la compartecipazione alla spesa sanitaria (ticket per farmaci o prestazioni), e le prestazioni pagate per intero (specialmente analisi di laboratorio e strumentali, ma anche visite private). Tutte queste spese, come segnala il rapporto, non sono più appannaggio esclusivamente delle fasce più abbienti della popolazione, ma si muovono trasversalmente, ed in particolare colpiscono anziani e persone affette da patologie cronico-degenerative (ad es. ipertensione o diabete, per citarne due). Ciò sta portando un numero crescente di persone e famiglie a sopportare una pressione economica fortissima a causa del costo delle cure, con circa 1,8 milioni di persone che dichiarano di essere entrate nell’area di povertà a causa delle spese sanitarie sostenute di tasca propria, in particolare nelle regioni del meridione.