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L’Ucraina tra crisi irrisolte e una guerra congelata

18 Febbraio 2017

A tre anni dalla rivoluzione del 2014, il Paese rimane in stallo. Nella morsa di Putin, tra l’incognita Trump e un’Europa spettatrice che tifa Kiev. Così l’ex repubblica sovietica è paralizzata dal conflitto nel Donbass.

Sono trascorsi ormai tre anni dal bagno di sangue di Maidan e dal cambio di regime in Ucraina. In una decina di giorni nella seconda metà di febbraio del 2014 si compì il destino del vecchio presidente Victor Yanukovich, che aveva detto no all’Accordo di associazione con l’Unione europea scatenando la protesta dell’opposizione e la rivolta di piazza conclusasi con la morte di un centinaio di persone, e si installò un nuovo governo filo occidentale guidato da Arseni Yatseniuk, seguito dall’arrivo alla Bankova di Petro Poroshenko.

MEDIAZIONI A VUOTO. Giunsero poi l’annessione della Crimea da parte della Russia a marzo e in aprile la guerra nel Donbass, che dura ancora oggi. Il conflitto va avanti insomma da quasi tre anni e i tentativi della comunità internazionale per fermarlo e risolvere la situazione nel Sud-Est dell’Ucraina sono andati a vuoto. I primi accordi di Minsk sono stati firmati nel settembre del 2104, i secondi nel febbraio del 2015: da due anni esatti esiste una lista di 13 punti a cui gli attori in campo dovrebbero attenersi e che invece è stata regolarmente disattesa.

Costituita da una parte militare e una parte politica, l’intesa siglata in Bielorussia da Petro Poroshenko, Vladimir Putin e i separatisti filorussi del Donbass, sotto la regia della cancelliera tedesca Angela Merkel e del presidente francese François Holland, si è rivelata carta straccia. Il compito dell’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, di monitorare il processo di pace si è trasformato in una missione impossibile.