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Viaggio a Smirne, l’oasi violata della Turchia

5 Gennaio 2017


Esempio di multietnicità e laboratorio di integrazione, la città sull’Egeo è sempre stata immune alle tensioni nel Paese. Fino agli arresti per l’attentato di Istanbul e alla bomba esplosa davanti al tribunale. Il reportage di L43.

Smirne con i suoi 4 milioni di abitanti rappresenta la quarta città più grande della Turchia. Tra loro, più di 700 mila sono i profughi che qui hanno trovato un rifugio stabile: in maggioranza sono curdi e arabi siriani. Tra i curdi vi sono persone che sono arrivate a Smirne da pochi mesi, provenienti principalmente dal Sud Est della Turchia: «Siamo scappati dalle bombe dell’esercito turco, da una guerra che non ci permette di vivere e che non è raccontata», spiega a Lettera43.it una donna curda davanti alla sua casa colorata tra le vie di Smirne. Fino alla fine del 2016, la città è stata il più importante e grande laboratorio di integrazione di tutto il Paese. Poi è arrivato l’attentato di Capodanno a Istanbul, gli arresti nella città sul Mar Egeo, l’autobomba e la sparatoria del 5 gennaio, fuori dal tribunale. Una serie di episodi che hanno turbato la vita di Smirne, dove rifugiati provenienti dalle zone in guerra del Medio Oriente vivevano al fianco della comunità locale radicata da tempo nel centro.

IN FUGA DA DAESH. Insieme ai profughi interni alla Turchia, ce ne sono altre diverse migliaia provenienti dalla Siria, principalmente da Aleppo e da alcuni villaggi del Rojava (Kurdistan occidentale) in fuga dagli attacchi di Daesh e di gruppi appartenenti alla galassia islamista, alleato sul terreno siriano della Repubblica turca e della coalizione internazionale contro l’Isis. Tra i siriani, invece, ci sono per lo più persone scappate da molti anni dalla guerra civile, molti dei quali hanno già acquisito da anni un particolare status di rifugiati in Turchia.

A BASMANE 300 MILA MIGRANTI. La maggioranza dei migranti residenti a Smirne vive da anni in un quartiere del centro città chiamato Basmane. A oggi si può stimare la cifra dei migranti curdi e arabi presenti in quest’area attorno alle 300 mila unità; convivono pacificamente con la popolazione locale turca e rom, insediatasi nella zona dai tempi dell’Impero Ottomano, in un contesto di collaborazione reciproca e condivisione delle medesime problematiche di emarginazione sociale, vissute nella quotidianità altamente repressiva della Turchia odierna. Basmane è da considerarsi una sorta di città nella città di Smirne dove, comunque, grazie al suo patrimonio multiculturale e di solidarietà, molti migranti hanno trovato un rifugio sicuro.

«In questo quartiere vivono migranti che provengono da diverse esperienze traumatiche all’interno del contesto siriano», spiega una ragazza turca che conosce bene la situazione del quartiere, «molti, non riuscendo a completare la traversata verso l’Europa, hanno preso la decisione di rimanere in Turchia, insediandosi nel territorio». Nonostante l’apparente tranquillità della zona, la situazione dei migranti in Turchia, soprattutto dopo gli accordi con l’Ue, rimane molto complessa. La difficile situazione legale di molti di loro e i piani di «rinnovamento urbano» del governo turco nella zona, potrebbero costituire una minaccia per il futuro prossimo del quartiere. Già negli ultimi tre anni, le autorità turche hanno provveduto a distruggere una delle aree popolari nei pressi di Basmane, nel quadro di un ingente processo gentrificativo atto principalmente a spegnere la miccia esplosiva della solidarietà sociale nel territorio.

UN GROVIGLIO DI STRADINE INTRICATE. A oggi Basmane si presenta come un groviglio di stradine ripide che si inerpicano su una collina e vecchie case, in parte colorate e in parte in rovina. Tra il dedalo di vicoli colorati, un ragazzo con il telefono in mano ci invita per un tè, il suo inglese non è eccellente, ma con poche parole riesce a farsi capire: «Sono palestinese, abitavo in Siria, a Damasco», dice. «Non ce la facevo più ad abitare là, così me ne sono andato con mia madre e mia sorella disabile e sono qua da molto tempo». Lo sguardo è vivace nonostante la situazione della famiglia sia drammatica. La sorella, in sedia a rotelle per via di un’infezione, entra nella stanza qualche minuto dopo. Sogna la Germania e non vuole sentir più parlare di guerra. Si volta verso la televisione, nella quale si parla di Aleppo e con fermezza chiede di «spegnere» quello scempio. «Un giorno sogno di visitare il Vaticano», dice sorridendo.

SUI MURI SCRITTE PRO PKK, YPG E YPJ. Ai piedi dell’imponente castello di Alessandro Magno sorge la parte alta del quartiere di Basmane: si chiama Kadifekale ed è stata costruita abusivamente con case che in turco vengono chiamate gecekondu (posate nel giro di una notte, ndr). È proprio in questa zona che abita la maggioranza della popolazione migrante di Smirne, in particolar modo quella curda. Qui si notano numerose scritte inneggianti al Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan) e alle Ypg (Unità di protezione popolare) – Ypj (Unità di protezione delle donne) del Kurdistan in territorio siriano, il Rojava, impegnati nella lotta feroce contro Daesh e gruppi Islamisti. Non mancano poi murales nei quali si inneggia allo Hdp (Partito democratico dei popoli), forza di opposizione a Erdoğan a maggioranza curda, oggi colpito in modo radicale da arresti e misure repressive da parte del governo di Ankara.

All’interno di Basmane esiste un importantissimo punto di riferimento e di libero incontro per tutto il quartiere: lo spazio sociale KapIlar (porte, ndr), aperto da un anno da un gruppo di militanti della sinistra rivoluzionaria turca. Lo spazio sociale rappresenta a tutti gli effetti uno dei luoghi di libertà più conosciuti dell’intera città di Smirne. Un punto d’incontro dove poter condividere idee, svolgere assemblee e organizzare iniziative culturali e politiche nelle quali le principali parole d’ordine sono antifascismo, antisessismo, ecologia sociale, solidarietà e rifiuto totale di qualsiasi forma di razzismo. Tematiche che oggi suonano come un’eresia nel contesto autoritario creato da Erdoğan.

ANARCHICI E MARXISTI. KapIlar non è solamente questo. Nello spazio esiste da poco anche un collettivo politico, chiamato Iniziativ, politicamente eterogeneo e composto principalmente da anarchici e marxisti, alcuni dei quali sono stati i fondatori dello stesso centro. «Il collettivo politico è nato recentemente sotto la necessità condivisa delle soggettività del centro, di creare un’esperienza politica comune sotto l’egida dell’esperimento d’apertura di KapIlar», spiega un attivista del collettivo, «la polizia turca, quando abbiamo aperto lo spazio, ha tentato di bloccare l’esperienza con una presenza massiccia di unità in assetto antisommossa, ma grazie alla solidarietà del quartiere e un’opposizione dei frequentatori del centro, se ne è andata, senza riuscire a impedire l’apertura dello spazio».

VESTITI PER I MIGRANTI. La palazzina nella quale sorge il centro è divisa in due. Al piano terra si trova il centro stesso, mentre al piano superiore un uomo di origine afro-turche si occupa di raccogliere materiali (vesiti principalmente) da distribuire alla popolazione del quartiere, in maggioranza migranti. «Tutto ciò avviene con l’aiuto attivo di molti dei frequentatori di KapIlar, ma la mia è un’attività autonoma, che svolgo in totale indipendenza rispetto a KapIlar». I membri del centro tendono spesso a sottolineare che lo spazio sociale non è un luogo nel quale l’attività principale è la solidarietà con i migranti, ma che esso rappresenta uno spazio sociale per chi abita nel quartiere, qualsiasi sia la sua provenienza o estrazione sociale.

Viene spesso ripetuto che le attività di solidarietà che vengono svolte all’interno dello spazio sono gestite in maniera completamente autonoma da gruppi differenti che usufruiscono del luogo, senza nessuna direttiva da parte del collettivo di KapIlar. Ciò rende unico l’esempio di cogestione di KapIlar, nel quale ogni forma di gerarchia o predominio di un gruppo sugli altri è abolita. KapIlar sembra quindi esistere principalmente come centro di quartiere completamente aperto alla città, oltre a rappresentare un evidente punto d’incontro reso disponibile per diverse esperienze politiche organizzate della sinistra rivoluzionaria in città. All’interno dello spazio si riuniscono ogni settimana diversi gruppi, tra i quali quelli che si occupano principalmente di solidarietà attiva con i migranti che arrivano in città, data la numerosa presenza di essi a Basmane.

DIVERSI GRUPPI ATTIVI. È piena di energia Fatma (alias) quando risponde alla domanda «da dove vieni?»: «Io sono di Aleppo», pronuncia con un espressione decisa. «Sono siriana, grazie alla mia conoscenza del turco cerco di dare una mano alle diverse associazioni che svolgono attività di solidarietà con i migranti», spiega a Lettera43.it. «Mi ritengo più fortunata rispetto ad altre famiglie siriane che sono arrivate da poco, per la mia conoscenza del turco e dell’inglese. Chi arriva si trova a dover superare diverse barriere, tra cui quella linguistica». Senza alcun segno di rassegnazione dice: «Nel futuro mi vedo in un Paese terzo, insh’allah, magari studentessa, è il mio volere a oggi».

SPAZIO LIBERO E GRATUITO. A KapIlar, i vari gruppi solidali usufruiscono liberamente dello spazio per le loro assemblee, organizzando progetti quotidiani di supporto pratico e aiuto attivo ai migranti presenti in città. Il gruppo di persone che l’ha fondato, con la collaborazione del nuovo collettivo Initiativ, oltre ad avere avviato svariati corsi di lingua curda, turca e araba, ha in programma la creazione di nuovi workshop sull’ecologismo sociale e serate di approfondimento politico sulla situazione in Turchia. KapIlar, all’interno dell’esperienza del quartiere multiculturale di Basmane, è la rappresentazione positiva di un laboratorio sociale scevro da gerarchie imposte, nel quale ogni frequentatore è membro attivo di un comunità solidale, che nel contesto repressivo della Turchia odierna rappresenta sicuramente un lume di libertà.