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Brigate Rosse, la rivolta di Trani e l’Asinara

12 Dicembre 2016

Il 12 dicembre 1980 le Brigate Rosse rapiscono il magistrato Giovanni D’Urso. È la loro ultima grande sfida

Intorno alle 20.30 del 12 dicembre 1980 un nucleo armato delle Brigate Rosse rapisce Giovanni D’Urso, il Direttore dell’Ufficio III della Direzione generale degli Istituti di prevenzione e pena.
Inizia così l’ultima grande sfida allo Stato dell’organizzazione armata che, provata dagli arresti e dalla crescita delle dissociazioni, è investita anche da un aspro dibattito interno con la separazione organizzativa della Colonna Walter Alasia. Tra le richieste avanzate per il rilascio del sequestrato D’Urso c’è la chiusura della sezione speciale del carcere dell’Asinara che, dopo la rivolta del 2 novembre 1979, ospita un gruppo ridotto di detenuti brigatisti.
Come accaduto per il sequestro di Aldo Moro in Italia, si apre un aspro dibattito sulla possibilità di aprire una trattativa. In questa situazione, il 28 dicembre scoppia una rivolta dei detenuti nel carcere di Trani. I rivoltosi, dopo aver preso in ostaggio diciannove agenti di custodia, diffondono un comunicato in sintonia con le richieste delle Brigate Rosse che a loro volta scrivono: «da questo momento in poi la nostra battaglia e quella dei prigionieri di Trani sono indissolubilmente unite». Nella notte tra il 29 e il 30 dicembre le teste di cuoio del neocostituito GIS, il Gruppo di Intervento Speciale dei Carabinieri, riprendono il controllo del carcere di Trani. Per tutta risposta, il 31 dicembre le Brigate Rosse uccidono a Roma il generale dei carabinieri Enrico Galvaligi, responsabile del coordinamento delle misure di sicurezza nelle carceri speciali. Annunciano poi l’intenzione di uccidere l’ostaggio.
Proprio nel momento più drammatico del confronto tra Stato e Brigate Rosse, quando sembra che il sequestro D’Urso sia destinato a una conclusione drammatica, accadono una serie di eventi che, rompendo la logica del ‘muro contro muro‘, finiranno per cambiare il finale della vicenda.
La prima è un documento con il quale un gruppo di detenuti politici, autorevoli esponenti dell’area dell’Autonomia, pur criticando le condizioni e il sistema carcerario si dissocia dall’azione delle Brigate Rosse. Nel documento si dice, tra l’altro che «Per quanto riguarda la rivolta di Trani, dalle frammentarie notizie che riusciamo ad intercettare nel nostro isolamento, sappiamo che si è scatenata la solita e facile speculazione sui nomi consueti. Riteniamo pertanto necessario precisare quanto segue: l’ideazione, preparazione e gestione della rivolta di Trani ci è estranea esattamente come ci è estraneo il progetto politico in cui essa si iscrive, inoltre precisiamo che non ci riconosciamo in nessuna componente politica organizzata del carcere…».
La seconda è una serie di prese di posizione nel mondo della politica e della cultura per il miglioramento del sistema di detenzione con la chiusura delle carceri inadeguate a garantire la dignità dei detenuti. Un gruppo di intellettuali, da Sabino Acquaviva a Gianni Baget Bozzo, da Marco Boato a Cesare Cases, da Oreste del Buono a Franco Fortini, sottoscrivono un appello perché «si proceda subito alla chiusura del carcere dell’Asinara, nella serena consapevolezza, non di cedere a un ricatto, ma di attuare quanto riconosciuto giusto e opportuno in piena libertà». Il Governo decide, quindi, di dare seguito alla decisione, già presa il 25 dicembre, cioè prima della rivolta di Trani, di chiudere la Sezione Speciale dell’Asinara.
Il 15 gennaio 1981 Giovanni D’Urso viene liberato.