General

La strana notte del Golpe in Turchia

di Mariano Giustino, Il Manifesto, 17 giugno 2016.

Istanbul. Per la prima volta nella storia repubblicana di
questo paese le forze militari non sono state individuate come garanti
della laicità dello stato e del suo ordine democratico

Giornata storica per la Turchia quella del 15 luglio 2016, che il
primo ministro turco Binali Yildirim, con accanto il capo di Stato
maggiore dell’esercito, Hulusi Akar, appena liberato dalle mani dei
golpisti, ha proclamato «festa della democrazia».

Ma in realtà la novità rilevante che emerge nella drammatica
circostanza di questo tentato e fallito golpe è il comportamento assunto
da tutte le forze di opposizione.

Per la prima volta nella storia repubblicana di questo paese le forze
militari non sono state individuate come garanti della laicità dello
Stato e del suo ordine democratico.

Il colpo di stato messo in atto in Turchia da un piccolo gruppo di
ufficiali insorti contro il governo Akp è fallito perché sin dal primo
momento gran parte dei vertici delle forze armate ha preso le distanze
da esso e perché tutti i partiti d’opposizione hanno prontamente reagito
condannando quest’atto di violenza contro le istituzioni democratiche
turche.

I partiti politici turchi per la prima volta all’unisono hanno
solennemente ribadito la centralità del Parlamento turco e del loro
stesso ruolo di attori fondamentali del gioco democratico.

Essi hanno visto in questo ennesimo tentativo dei militari di
espropriare le istituzioni democratiche di cui essi sono elemento
costitutivo come un inaccettabile attacco alle stesse fondamenta di uno
stato democratico. E lo hanno respinto con fermezza.

È questo un elemento significativo che fa sperare in una
ricostruzione della democrazia turca in un momento di grave involuzione
autoritaria.

Nella storia della Repubblica turca tutti e quattro i precedenti
colpi di Stato messi in atto dai militari sono stati eseguiti
verificando accuratamente il consenso di vasti apparati della burocrazia
statale e della sua società civile oltre che dei partiti ispirati dalla
ideologia kemalista di Artatürk.

E i militari intervenivano per tutelare i loro interessi col pretesto
di difendere la laicità dello Stato mettendolo al riparo da ogni deriva
islamistica.

La presa di distanza dei partiti politici turchi dal golpe rende
giustizia di una visione errata dei militari raffigurati attraverso uno
stereotipo che non corrisponde alla realtà storica, dipingendoli come
una forza amica del popolo e in difesa dei valori progressisti e laici.

Niente di più falso. I militari soprattutto con i colpi di Stato del
1960 e del 1980, i più cruenti della storia turca, hanno avuto una forte
apertura verso le istanze dell’Islam politico e del nazionalismo, e
hanno prodotto una Costituzione fortemente autoritaria e liberticida
lesiva dei diritti di tutte le minoranze con una una visione fortemente
polarizzante della società turca i cui effetti devastanti sono tuttora
visibili.

I titoli dei giornali di opposizione campeggiavano con le scritte:
«Soluzione democratica, Né carro armato ne carabina. Né politica
anticostituzionale dell’Akp. Contro ogni golpe civile e militare».

Queste sono le parole d’ordine dei due maggiori partiti di
opposizione laica, il Partito repubblicano del popolo, il
socialdemocratico Chp, erede del partito kemalista di Atatürk, e quello
del Partito democratico dei popoli, di sinistra radicale e filocurda.

Nessuno poteva immaginare fino a pochi giorni fa un simile scenario; e
ciò, in un momento in cui il presidente Erdogan è impegnato nel
tentativo di schiacciare l’opposizione politica e ogni voce critica nei
riguardi del suo governo e della sua persona.

Una parte minoritaria dell’esercito ha tentato il golpe bloccando
l’aeroporto e le maggiori arterie stradali a Istanbul e Ankara,
bombardando il Parlamento, occupando i maggiori media del paese e
attaccando la sede centrale della polizia e dei servizi segreti.

Il presidente Erdogan, in collegamento videotelefono tramite FaceTime
dal suo cellulare e ripreso dalla CNNtürk, ha invitato i cittadini
turchi a scendere nelle piazze, a fermare i carri armati e a difendere
la democrazia.

La rete capillare del mastodontico apparato dell’Akp ha mobilitato
decine di migliaia di militanti, grazie anche ai ripetuti appelli dei
muezzin lanciati dai minareti.

Sono stati mobilitati tutto gli apparati di polizia e perfino i vigili
del fuoco che hanno alzato barricate per fermare i carriarmati che a
decine bloccavo le strade delle maggiori citta turche.

I golpisti hanno sparato sulla folla in diversi punti del paese. Si
contano oltre trecento morti e 1440 feriti. Sono stati effettuati 2.839
arresti. I militari saranno processati per alto tradimento.

Erdogan sostiene che dietro il colpo di Stato ci sia l’organizzazione
di Fethullah Gülen, filosofo islamico, suo stretto alleato fino al
2013, ed ora suo acerrimo nemico accusato di aver ordito tale complotto
per rovesciare il suo governo democraticamente eletto.

Gülen dal suo esilio in Pennsylvania ha smentito seccamente. È probabile
che tale golpe sia maturato all’interno di alcune gerarchie militari
che si sentivano minacciate dalla operazione di pulizia in atto
all’interno delle forze armate da parte del partito di governo. Ne
sapremo di più nei prosimi giorni.

Sicuramente Erdogan potrebbe uscire più forte nel paese da questa
drammatica avventura. Si annunciano tempi molto duri per gli oppositori.
Quei pochi spazi di democrazia esistenti potrebbe ulteriormente
restringersi.

Vedremo se il presidente turco vorrà utilizzare questa vittoria per
finire di regolare i conti con i suoi oppositori, oppure se mostrerà
apprezzamento nei confronti delle forze politiche che nella notte del 15
luglio lo hanno salvato e se aprirà quel confronto e quel dialogo che
sono sempre mancati in Turchia.