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Siria: l’architettura secondo Khaled Malas, atto di resistenza creativa

di Francesca La Vigna, 15 giugno 2016.

Khaled Malas non è solo un architetto 35enne nato a Damasco
e residente a New York. È anche un attivista, uno che mette il proprio
mestiere al servizio del suo paese natale pur vivendo all’estero, uno
che si interroga sul proprio ruolo in tempo di guerra. L’incipit del libretto monografico relativo all’opera Current power in Syria, presentata alla da poco conclusa 6° Biennale di Marrakech, riassume già i tratti caratteristici della sua pratica: azione diretta, riflessione critica, cooperazione e miglioramento delle condizioni di vita per la comunità coinvolta. “Questo progetto è un atto di resistenza creativa, uno che prende letteralmente il potere”.


Assieme al foto-giornalista Yaseen al-Bushy e al fabbro Abu Ali al-Kalamouni (il cui nome completo resta celato per volontà dello stesso) ha coordinato la costruzione di un mulino a vento nell’assediata Ghouta, la periferia est della capitale siriana
dove entrambi i collaboratori vivono, per sopperire alle esigenze
primarie della popolazione, principalmente la fornitura di energia
elettrica. A questo bisogno pratico si affianca anche un’accurata
ricerca storica, attraverso cui prendendo in considerazione le infrastrutture elettriche, l’architetto intende ripercorrere le tappe principali della creazione dello Stato.


Il focus è ovviamente incentrato sulla
Siria, ma Khaled Malas allarga la prospettiva dell’analisi e identifica
il fenomeno come comune al mondo arabo nel suo complesso nell’arco del
XX secolo e di quello attuale. La parola inglese power si presta infatti
perfettamente a descrivere l’evoluzione-ossessione della produzione di
energia e della rappresentazione fisica del potere per mezzo di infrastrutture
e costruzioni monolitiche, la cui riproduzione mediatica ha avuto
spesso funzione propagandistica. Il risultato finale è una serie di
narrazioni che creano un collegamento temporale tra foto, documenti
storici e ritratti di protagonisti attuali, così come una documentazione
della costruzione dello stesso mulino a vento.

A causa dell’incapacità di accedere alla
rete elettrica, racconta Khaled Malas, la popolazione locale della
Ghouta ha iniziato a produrre carburante artigianalmente distillando
rifiuti di plastica e macerie di siti bombardati, un procedimento
elaborato altamente tossico e dannoso per l’ambiente. Sperimentando con tecnologie alternative, il fabbro al-Kalamouni ha creato in questo contesto mulini ad acqua elettromeccanici
che convertono l’energia dell’acqua corrente nei canali agricoli
esistenti in energia elettrica. Queste macchine fatte di scarti
metallici, attualmente funzionanti in diverse aree della Ghouta,
producono un approvvigionamento efficiente ad un costo
nettamente inferiore rispetto agli inquinanti generatori di carburante
(circa il 60-75%)
.


Current power in Syria, concepito tra
novembre 2014 e giugno 2015, rielabora in parte il progetto di questi
mulini ed esplora le potenzialità dell’energia eolica. Sempre attingendo
al libretto della Biennale di Marrakech, Malas parla del mulino come di
“un umile monumento alla nostra resistenza e un’espressione della
nostra speranza”.


Lo stesso approccio ribelle nell’esplorare la storia sociopolitica del suo paese, ha contraddistinto anche il progetto precedente excavating the sky, con cui Khaled Malas ha rappresentato la Siria alla 14° Biennale Internazionale di Architettura di Venezia
del 2014. Ancora una volta la tecnica diviene strumento di narrazione e
analisi delle dinamiche di potere. Con un padiglione pop-up nell’ambito
della sezione Monditalia, l’architetto ha portato sulla scena il ruolo del volo motorizzato nella produzione di paesaggi e architetture della Siria.


Quattro episodi particolari sono visti
da Malas come “tentativi violenti da parte dello Stato di imporre il
potere sul paesaggio dall’alto del cielo”. Raccontare un secolo di
storia, processi di produzione di territori da questa prospettiva non è
quindi mera digressione, quanto piuttosto una cornice per rivendicare la presa di posizione degli architetti e dell’architettura in generale rispetto al conflitto attuale.
Proprio per questo motivo il progetto prevedeva un altro padiglione, il
cosiddetto “padiglione dislocato”, ovvero la costruzione assieme ad un
gruppo di attivisti di due pozzi a Deraa, nel sud del paese, che attualmente forniscono acqua potabile ad una comunità di 27.000 persone. Scrivere e costruire assumono per Malas eguale importanza, sono entrambi azioni concrete di resistenza.


Quando lo Stato non è in grado di
rappresentare le aspirazioni dei suoi cittadini e di garantirne la
dignità, è la popolazione stessa a prendere il timone della propria
esistenza. Chi resta lotta e resiste. Malas, i suoi stretti
collaboratori e le comunità coinvolte nei loro progetti promuovono tecniche ingegnose di sopravvivenza e al tempo stesso danno una lezione di impegno civile in situazioni estreme.
FONTE: East Journal