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In ricordo della passione per la vita di Shaimaa Al Sabbagh

di Bartolomeo Bellanova, La macchina sognante, 06 Maggio 2016.



LA VICENDA:

Shaimaa al-Sabbagh, 32 anni, era
un’attivista per i diritti dei lavoratori e militante del Partito
dell’alleanza popolare socialista.


Sabato 9 maggio 2015 si è svolta la
prima udienza per l’uccisione di  Shaimaa, colpita a morte il
24 gennaio 2015 dalle forze di sicurezza durante una manifestazione
per ricordare le centinaia di “martiri della rivoluzione del 25
gennaio”, che nel 2011 spodestò Hosni Mubarak.



Shaimaa al-Sabbagh, insieme a una
trentina di persone, stava prendendo parte alla manifestazione
indetta dal Partito dell’alleanza popolare socialista.  

Camminavano
sul marciapiede per non ostruire la circolazione stradale, dirette a
piazza Tahrir: alcune reggevano lo striscione del partito, altre
avevano in mano
cartelloni
e fiori
.


Le forze di sicurezza che presidiavano
gli ingressi di piazza Tahrir bloccarono i manifestanti in via Talaat
Harb e, senza preavviso, iniziarono a
lanciare
lacrimogeni e a sparare coi fucili da caccia o con pallottole di
gomma secondo altre fonti
.



Il marito, Osama, a fianco a lei,
trasportò in braccio il suo corpo insanguinato conducendolo al
riparo, dietro al caffè Bustan, mentre Bilal, il loro figlio di
cinque anni, piangeva”, così raccontò l’amica e attivista Reem
Gamal che assistette alla scena. «In ospedale, per dare
l’autorizzazione per la sepoltura, hanno chiesto ai familiari di
dire che si è trattato di suicidio», ha aggiunto la giovane
attivista.



Shaimaa, secondo quanto dichiarato dal
direttore dell’Ufficio di medicina legale, venne colpita dai
pallini da caccia alla schiena e alla testa, da una distanza di otto
metri. Inizialmente il governo negò ogni responsabilità. 

In
seguito, un agente delle forze di sicurezza fu incriminato per
“percosse, ferite o uso di sostanze dannose che provocano la
morte”.


Alla sbarra non sono mai stati portati
i mandanti, i funzionari dello stato coinvolti nella morte di
Shaimaa  ma
17
testimoni oculari
.



Tra i 17 imputati c’era Azza
Soliman, fondatrice del Centro di assistenza legale alle donne. Il 24
gennaio era in un bar insieme a familiari e amici. Quando la
manifestazione passò davanti al locale, lei uscì per andare a
vedere. E ciò che vide (le forze di sicurezza lanciare gas
lacrimogeni e sparare ad altezza d’uomo, un corpo a terra)
lo
volle riferire ai giudici

Un secondo imputato era il medico che per primo soccorse Shaimaa.


Difensori dei diritti umani,
semplici passanti, un medico, manifestanti di sinistra
.
Ciò che li accomuna è che hanno voluto denunciare alla magistratura
cosa avevano visto. Uno di loro, quando si presentò a testimoniare,
si vide addirittura accusare della morte di Shaimaa al-Sabbagh. La
ridicola accusa fu poi ritirata.



I 17 imputati – testimoni dovettero
rispondere di “manifestazione non autorizzata” rischiando fino a
cinque anni di carcere.
In realtà dal momento della morte di
Shaimaa, i media egiziani iniziarono a dare una versione
completamente insensata sulle circostanze della sua fine, puntando il
dito addirittura contro i suoi compagni di partito. Soltanto sul
quotidiano filo-governativo al-Ahram si levò una voce critica contro
la polizia dell’editorialista Ahmed Sayed al-Naggar. «È assurdo.
Le autorità egiziane tentano costantemente di discolpare la
polizia», ha commentato. 

Anche il Segretario del partito socialista,
Talaat Fahmy è stato picchiato dalla polizia durante la sparatoria.
Sei sono i feriti in seguito agli scontri, costati la vita a
Shaimaa.

«Sempre dalla parte dei lavoratori delle fabbriche di
Alessandria», è il ricordo di Shaimaa dell’attivista per i
diritti dei lavoratori, Mahiennur el-Masry, più volte in prigione
per il suo attivismo al fianco degli operai. 

«Prima delle rivolte
del 2011, Shaimaa era un’attivista di sinistra senza
un’affiliazione precisa. Durante le contestazioni di piazza Tahrir
ha iniziato a fare politica con l’Alleanza socialista. Era una
delle donne più sincere e impegnate per la difesa dei diritti dei
lavoratori che io conosca, partecipava a scioperi e sit-in nelle
fabbriche di Alessandria ed era un membro dell’ufficio permanente
dei lavoratori che raggruppa sindacalisti, attivisti e operai», ci
racconta commossa Mahiennur.

Per Moataz Elshennawy, portavoce del
partito dell’Alleanza socialista, si è trattato di un «assassinio
premeditato» a opera della polizia. Moataz ha anche aggiunto che la
manifestazione non era stata autorizzata (in base alla legge
anti-proteste è impossibile ottenere autorizzazioni in tempi utili
per manifestare) ma era stata annunciata in anticipo. 

La morte di
Shaimaa conferma una volta di più quanto la repressione non colpisca
solo i movimenti islamisti ma anche i partiti laici, di sinistra e i
movimenti giovanili.



Per le strade del Cairo è subito
apparso un murales in memoria della grande rivoluzionaria operaia che
era Shaimaa. Si vede la giovane che stringe tra le mani un manifesto
a sostegno di poveri ed indifesi, come era solito vederla alle porte
di fabbriche o durante gli scioperi a cui prendeva parte. I funerali
di Shaimaa ad Alessandria si sono trasformati in una grande
manifestazione degli attivisti socialisti e di sinistra contro il
regime di al-Sisi. 

Centinaia di compagni gridavano canti contro la
polizia e innalzavano cartelli con la sua foto.



Lo svolgimento del processo portò
alla condanna a 15 anni di reclusione all’agente di polizia Yassin
Hatem Salah Eddin riconosciuto colpevole della morte di Shaimaa.


In 14 febbraio 2016 la sentenza di
condanna è stata annullata dal giudice di Cassazione Taha Qassim,
che ha ordinato un nuovo processo a carico dell’agente di polizia. 

Un pronunciamento, quello del giudice Qassim, in linea con i
proscioglimenti e le sentenze sospese riguardanti decine di altri
agenti di polizia finiti alla sbarra in relazione alle uccisioni dei
circa 900 manifestanti morti nei 18 giorni della rivolta di piazza
che portò nel 2011 alla fine del regime di Hosni Mubarak.

Il
presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, accusato di imbavagliare
gli oppositori, aveva risposto all’ira sollevatasi per la morte di
Shaimaa el-Sabbagh riferendosi a lei come “mia figlia” e “figlia
dell’Egitto” e promettendo che i responsabili della sua morte
sarebbero stati portati davanti alla giustizia. Al processo,
l’avvocato difensore del’agente, Farid El-Deeb, aveva sostenuto
che la manifestazione in cui Shaimaa trovò la morte era avvenuta in
violazione di una legge del 2013 che bandiva ogni dimostrazione di
strada e che le circostanze in cui si era svolta, le celebrazioni
della caduta di Mubarak, avevano indotto in confusione gli agenti
assegnati al mantenimento dell’ordine pubblico.



IL RICORDO:


Shaimaa era una ragazza dalla vita
assolutamente normale per i suoi gesti quotidiani che sono anche i
nostri, non pensava minimamente al martirio, la passione scorreva in
lei. Era uscita quel maledetto sabato 24 gennaio con tutta la sua
famiglia e con rose rosse da portare in piazza, armata di fiori non
di esplosivo. Mi piace immaginare che dopo la manifestazione avrebbe
fatto la spesa al mercato, avrebbe baciato il suo uomo e accarezzato
il suo bambino. 

Poi quella fine improvvisa e bastarda con Osama che
inginocchiato le cinge la vita quasi a trattenerle l’anima che sta
per evaporare da quel volto già insanguinato e con lo sguardo perso.
E’ penetrante e vero il volto di lui che implora pietà alla
morte che ha ghermito la sua compagna all’improvviso facendo
esplodere nel nulla i loro sogni e le loro speranze. 

Le sue mani che
le cingono la vita consegnano al corpo di lei un ultimo disperato
contatto d’amore.



Shaimaa muore ancora in silenzio come
quel sabato quando sotterriamo le parole “partecipazione”  e
“militanza” sotto a cumuli di paure, indifferenza, ignavia,
accomodamento col potere, ogni volta che non vogliamo vedere e non
vogliamo denunciare.