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Incontro con Rayen Kvyeh, poetessa mapuche

di
David
Lifodi, labottegadelbarbieri, 06 Maggio 2016.

Rayen Kvyeh è una donna
piccola e minuta, eppure sprigiona una grande energia e, non appena
inizia a parlare, è un fiume in piena. 

Poetessa mapuche, abituata a
lottare prima contro il regime di Augusto Pinochet, dal quale è
fuggita rifugiandosi in Germania, e poi contro le violazioni dei
diritti del suo popolo, perpetrate purtroppo fino ai giorni nostri,
ad opera dello Stato cileno e delle transnazionali, Rayen racconta la
sua storia agli studenti di Giurisprudenza dell’Università di
Siena. Riesco a farle qualche domanda, ma è lei stessa, parlando ai
ragazzi, che anticipa la maggior parte degli argomenti su cui vorrei
chiederle qualcosa.

La situazione dei mapuche
non è molto diversa da quella dei kurdi: ad entrambi è vietato
parlare nella loro lingua. Soltanto poco più di un mese fa il
mapudungún,
la lingua mapuche, è stata riconosciuta come tale dallo stato
cileno. 

In precedenza, il mapudungún
era vietato: non lo potevano parlare nemmeno i bambini tra loro, e,
se venivano scoperti a scuola, andavano incontro a severe punizioni. 

“La poesia”, spiega Rayen, “rappresenta uno strumento per la
salvaguardia dei diritti dei mapuche in un paese dove non esiste
alcun diritto”. In questo contesto, la poesia ha rivestito un ruolo
di primo piano. Negli anni Novanta è andato in stampa il primo libro
in mapudungún
scritto da Rayen Kvyeh con la traduzione in lingua tedesca. 

Più
volte, racconta la poetessa, l’editore le ha fatto pressione
affinché lo pubblicasse anche in spagnolo, ma Rayen ha sempre
rifiutato. Certo, anche dal solo lato economico, la pubblicazione in
castigliano avrebbe rappresentato una buona fonte di guadagno per
Rayen, ma lo spagnolo rappresentava sia la lingua degli oppressori,
quella dei conquistadores,
sia quella dello Stato cileno, che non ha mai smesso di perseguitare
i mapuche. 

Come è ovvio, in Cile Rayen non è riuscita a trovare un
editore disposto a pubblicare il suo libro per tre ragioni: era
scritto in lingua mapuche, per di più da una donna, e infine
raccontava la storia dal punto di vista mapuche e non da quello,
manipolato, dello Stato. 

Tuttavia, il coraggio di Rayen è stato
premiato e, venticinque anni fa, grazie anche alla pubblicazione del
suo libro, è andata in stampa per la prima volta una rivista
culturale mapuche. È stato anche grazie alla poesia, sottolinea la
poetessa, che le ragioni della lotta mapuche sono giunte fino
all’Europa, con grande smacco del Cile, un paese dove fortissime
sono le disuguaglianze sociali anche a causa di una società composta
da una piccola fascia sociale ricca, ma escludente. 

“Noi mapuche”,
spiega con orgoglio Rayen, “siamo un popolo che non è mai stato
conquistato, né dal punto di vista politico né da quello
religioso”, a partire dal diritto ancestrale al territorio, una
delle maggiori rivendicazioni dei mapuche. Inoltre, la poesia è
stata utilizzata come strumento dagli stessi mapuche per far
conoscere la loro storia ai cileni in un paese rimasto ancorato
fortemente ai retaggi del regime pinochettista. A questo proposito,
sono tuttora in vigore il Código de Aguas e il Código de Energía,
che risalgono ai primi anni Ottanta, quando la dittatura si manteneva
ancora ben salda alla Moneda. 

All’epoca di Pinochet questo
significava che le multinazionali di allora godevano della più ampia
facoltà di saccheggiare tutto il paese, e quindi anche il territorio
mapuche, per sottrarre i beni comuni. Ai giorni nostri, dal fiume
BioBío all’isola di Chiloé, le transnazionali vogliono costruire
ben 27 centrali idroelettriche: se questo progetto andasse in porto
sarebbe la fine per il popolo mapuche. L’edificazione delle dighe
ha scatenato un forte conflitto sociale in Cile. 

Alla mia domanda
sulla lotta per i beni comuni e su un eventuale cambiamento di rotta
del Parlamento cileno verso i mapuche ora che alcuni leader della
protesta studentesca come Camila Vallejo e Gabriel Boric siedono sui
banchi della maggioranza, la risposta di Rayen non è delle più
ottimiste. 

“Gli studenti mapuche hanno partecipato alle
mobilitazioni studentesche, ma dal Partito Comunista cileno, che fa
parte della Nueva Mayoría della presidenta
Bachelet, è arrivato l’ordine a Vallejo affinché gli studenti di
origine mapuche fossero esclusi dalle lotte. Del resto, i partiti
hanno una visione piramidale e gerarchica”, commenta amaramente la
poetessa, i cui occhi si illuminano quando parla della resistenza
mapuche per la difesa dei beni comuni. 

“La democrazia non può
essere distrutta poiché ogni sua pietra è costituita da donne,
uomini e bambini dotati degli stessi diritti”: è in questo
contesto che emerge il profondo legame, anche a livello spirituale,
dei mapuche con l’acqua. “Ti imprigionano con le dighe, BioBío,
che scorri per la terra come il sangue dei nostri avi”, dice Rayen
recitando una poesia.



Senza alcun aiuto
economico da parte dello Stato cileno, che non ha versato nemmeno un
peso,
nel 2012 si è tenuto il primo festival internazionale di poesia
mapuche.  

Nonostante il disprezzo dello stato centrale, mette in
rilievo Rayen, i mapuche hanno avuto la percezione che loro istanze
fossero quantomeno considerate quando il quotidiano locale El
Diario Austral
,
di proprietà del Mercurio,
uno dei giornali più influenti della destra cilena, ha titolato: “I
poeti del Wall Mapu danno inizio al festival internazionale di
poesia”. 

Per la prima volta, sulla stampa, era apparso il termine
Wall Mapu (territorio mapuche), una sorta di riconoscimento implicito
dei mapuche. Tuttavia, non sono state sufficienti ben cinque denunce
presentate dai mapuche di fronte alla Commissione interamericana per
i diritti umani contro lo Stato cileno a causa del mantenimento della
Ley Antiterrorista, anch’essa di matrice pinochettista. 

La legge,
tuttora in vigore, viene applicata quasi esclusivamente per i mapuche
e contempla come reati le manifestazioni di piazza , la difesa della
terra e dei diritti. Anche in occasione della morte del giovane
Matias Catrileo, attivista mapuche e poeta, lo Stato cileno se l’è
cavata con una semplice multa. 

L’indennizzo per la famiglia è
stato devoluto ad un’associazione che si occupa dei diritti dei
mapuche, perché non sono certo un po’ di soldi che riporteranno in
vita il ragazzo, ma lo Stato cileno, e questa è la cosa più grave,
ha promosso gli agenti che hanno assassinato il giovane, dice con
amarezza Rayen.



“Prima i colonizzatori
erano i conquistadores,
ma oggi si assiste ad una forma di colonizzazione ancora più
aberrante, quella del neoliberismo. Addirittura esiste una legge che
permette di comprare i fiumi”, spiega la poetessa, che definisce
l’acqua un diritto umano inalienabile e fondamentale e denuncia le
università cilene per i legami con Syngenta e per la loro
trasformazione in laboratori di formazione per lavorare nelle
multinazionali. 

Alcuni mesi fa la casa di Rayen è stata distrutta
quasi completamente da un misterioso incendio, una sorta di
avvertimento in stile mafioso alla poetessa dei mapuche. 

“Il Cile è
un paese ricco di risorse, ma povero di diritti”, conclude Rayen,
che ne approfitta per contestare, una volta di più, la Ley
Antiterrorista: “Chi lotta per i propri diritti non è un
terrorista”.


La
bibliografia di Rayen Kvyeh tratta da Ecomapuche


Gli
incontri di Rayen Kvyeh in Italia