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Due racconti di Silvio Talamo (parte I)

di Milena Rampoldi, ProMosaik e.V. – Due racconti brevi di Silvio Talamo che abbiamo intervistato oggi. Per leggere l’intervista con il filosofo e musicista italiana a Berlino, cliccare su questo link. Eccovi il primo sulla spiaggia e il sole, ed infine i bambini e l’albero… Per ProMosaik la letteratura rappresenta un mezzo fondamentale per promuovere il dialogo a livello interpersonale, sociale e interculturale.

Era una bella
giornata. Le onde, in un moto che si ripeteva dalla notte dei tempi, si

allungavano sul
bagnasciuga del piccolo golfo rinfrescando l’aria. L’atmosfera era

silenziosa,
quieta e dava l’impressione di non poter essere rotta facilmente,

complice il
cielo terso e azzurro all’orizzonte, mentre l’orario non era ancora quello

più caldo. Al
lato della spiaggia, larga una quindicina di metri, c’era un bosco non

certo altissimo
ma fitto, di quelli che avrebbero dato riparo dall’afa durante la calura

in uno scherzo
di sfumature verde colorato. Il bosco cominciava già dal promontorio

che apriva il
golfo e più su sulla parete di roccia si poteva vedere una parte della

città. Non era
chiaro se le costruzioni fossero abbandonate. Qualche casa sembrava

non avere porte
alle finestre o averle perse, ma la presenza della luce non

permetteva di
guardare attraverso le aperture, da cui si vedeva solo buio. Non si

percepivano
particolari movimenti. Le mura di pietra erano erose eppure ancora

forti. I tetti
erano sani e sebbene il tutto non dava l’idea d’essere nuovo o ben

curato, non si
poteva neanche arrivare a pensare che quelle costruzioni fossero

pericolanti.
Forse quelle case erano a disposizione di chiunque fosse andato lì

oppure gli
abitanti erano semplicemente andati via, svaniti.

I bambini
camminavano sulla spiaggia nella direzione opposta alla città. Il loro

andamento era
alterno, irregolare ma si capiva che conoscevano bene la direzione. I

piedini rosei
calpestavano la sabbia zampettando, impegnandosi, senza alcuna

fretta, in una
camminata che sbordava ora più a destra ora più a sinistra. Di tanto in

tanto qualcuno
di loro incuriosito si fermava qua e là, rovistando in qualche

mucchietto di
pietre, correndo a riva a schiacciare le onde con un piede oppure si

prendeva una
pausa per analizzare qualche pezzo di legno annerito sulla sabbia. Eva

camminava più
avanti con Josè, portando penzoloni per mano un piccolo

orsacchiotto
marrone, molto più ben messo di quello del tutto simile che Marco, il

fratellino,
aveva sotto il braccio. I suoi capelli biondi e lunghi scendevano sulla

maglietta larga
a righe che le arrivava fin sopra le ginocchia, finendo annodata al

lato con un
fiocchetto sgualcito e consumato. La piccola Maria spingeva,

sollevandola
dai due manici, un piccola carriola di plastica gialla, di quelle ad una

ruota che si
usano per giocare sulla spiaggia. Dentro c’erano formine e borsette di

stoffa e
plastica. Paco invece, con un cappello bianco che gli finiva sulla montatura

degli occhiali,
sembrava sorridere e divertirsi più degli altri, storcendo il collo e

piegando la
testa per portare il mento in avanti, così da vedere bene attraverso il

cappello e gli
occhialoni. Dietro a tutti camminava Carlos portando a tracolla una

rete di corda
rossa che come una borsa conteneva palette, secchielli e altri piccoli

giochini.

Jose era il più
silenzioso e non sembrava distrarsi, sprofondato in una canottiera che

usciva
sbuffando larga dai pantaloncini. Ad un certo punto Paco si fermò guardando

perplesso una
piccola buca nella sabbia. Si lasciò cadere di peso sul suolo finendo

seduto con le
gambette aperte intorno alla buca. Ficcò la paletta in giù nella buca,

alzando il
braccino di scatto e spruzzando la sabbia in aria tutt’intorno. Il risultato

dell’operazione
non doveva essere quello sperato. Ripeté il gesto due o tre volte,

grattandosi la
testa come per pensare e tornando a guardare in giro con i suoi

occhioni
spalancati e sorridenti come attonito. Dopo un momento di esitazione

incomincia ad
utilizzare la paletta come un martello, sbattendola al suolo, quando

Eva lo chiamò.
Tutti gli altri bambini si erano fermati ad aspettarlo, così il richiamo

giunse giusto
in tempo perché Marco, il più vicino a Paco, era quasi lì lì per unirsi al

gioco. Paco si
alzò, accennando agile una piccola corsa a saltelli per raggiungere il

gruppo e tutti
si rimisero in marcia. Camminarono per un quarto d’ora circa, fino a

che non
superarono un piccolo lembo di bosco che si espandeva sulla spiaggia,

ricoprendola
per una buona metà e rendendo impossibile vedere l’intero altro lato

del golfo.

<<E’
qui.>> annunciò Eva. L’andatura si fece improvvisamente più veloce. Tutti
i

bambini,
impazienti, girarono al lato degli alberi, passando più vicino alla riva, per

poi recuperare
il centro della spiaggia una volta superato il ciuffo di bosco. Qualcosa

improvvisamente
cambiò. Subito dopo il passaggio la boscaglia indietreggiava

lasciandosi
davanti un mucchio di arbusti bruciati e cenere. Persino la sabbia in

alcuni punti
sembrava annerita. La vegetazione riprendeva il suo vigore parecchi

metri più su e
sarebbe stato impossibile raggiungerla se non passando per quella

fascia di
spiaggia desolata fatta di spine e polvere grigia. Sul percorso si vedevano

ora grossi
massi di roccia nera che uscivano come scogli dal suolo. Un po’ più avanti

la zona
incenerita diventava ancora più larga, lasciando intravedere sulla sinistra una

massa
disomogenea e scura che sembrava essere l’epicentro del tutto. Il gruppetto

si avvicinò
fiducioso a quella massa, tenendosene per ora a distanza e guardando

con
soddisfazione lo spettacolo. La gran parte di quella che sembrava una

montagnella di
roccia fusa era certamente fredda ma si potevano  scorgere nel

centro, come
brace che cova sotto la cenere, delle venature rosse, ancora calde

e incandescenti,
da cui uscivano piccoli rivoli di fumo che si disperdevano

velocemente nel
cielo.

<< E’
questo il sole?>> domandò Marco.

<<Sì>>
rispose Josè.

<<Ma è
troppo grande. Non possiamo portarlo tutto.>> ribatté Carlos spazientito.

<<Prendiamone
solo un pezzetto>> Disse Paco. <<Poi lo sotterriamo, veniamo ad

innaffiarlo
ogni giorno e quando l’albero è cresciuto, il sole evapora dalle foglie e

risale in
cielo.>>

<<Siii …
>> gridarono tutti, contenti d’aver trovato la soluzione ad un problema
che

aveva corso il
rischio di sconfortarli, vanificandone il piano.

<<Sì,
facciamo così>> sentenziò autorevole Josè, dando il via alle manovre.

Carlos e Maria
si avvicinarono così al Sole. Ne presero un pezzo stracciandolo dalla

parte più molle
e fredda. Svuotarono la piccola carriola dalle formine e dalle

borsette che
ormai non servivano più e lo posero dentro per portarlo con sé.

I bambini,
sempre in corteo irregolare, tornarono indietro percorrendo a ritroso il

percorso fatto
in precedenza, cercando il posto migliore dove poter piantare quel

seme così
particolare. Analizzarono ancora una volta il suolo, questa volta dal lato

del bosco,
cercando il terreno che poteva essere più adatto e fertile. Presero le

palette,
scavarono una bella buca e piantarono il futuro albero. Da quel giorno e per

parecchio tempo
andarono periodicamente a turno ad innaffiare quell’angolo,

avvertendo
tutti gli amichetti affinché non mancasse mai l’acqua all’albero che

sarebbe nato.