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Una giornata con i volontari che aiutano i migranti bloccati in Ungheria.


di Michael
Bonvalot
, foto di Christopher GlanzlVice, 26 Marzo 2016
Ci sono
ancora migliaia di profughi bloccati in Ungheria. 
Ecco perché, lo scorso sabato, un gruppo di attivisti ha organizzato
un convoglio per fornire loro aiuto e assistenza. Il convoglio è
partito da Vienna ed era diretto a Debrecen, una delle città più
orientali dell’Ungheria.

Sono le otto di sabato mattina.

Alla stazione
di Vienna
– il luogo dove migliaia di profughi siriani
in fuga dalla guerra sono stati accolti con una dimostrazione di
solidarietà senza precedenti dal popolo austriaco. Uno ad uno, gli
attivisti arrivano nel parcheggio. La maggior parte di loro ha tra i
20 e i 30 anni. Alla fine, ci sono circa 25 persone con un paio di
camion e macchine.

Nei giorni precedenti, gli attivisti
avevano deciso di attraversare il confine ed aiutare i rifugiati
bloccati in Ungheria per passare in Austria. 

Tuttavia, venerdì la situazione era già cambiata.

Quando
centinaia di profughi hanno iniziato a prendere in mano la situazione
e a partire a piedi dalla stazione di Budapest diretti a Vienna,
anche il governo Ungherese si è accorto di quanto si fosse vicini a
una catastrofe umanitaria. I rifugiati avevano paura di essere
deportati, da quando giovedì l’Ungheria aveva fatto false promesse
ad alcuni di loro, convincendoli a salire su dei treni e poi
portandoli in dei campi profughi vicini invece che oltre il confine.
Venerdì, degli estremisti di destra cominciavano a fare la loro
comparsa fuori dalla stazione. La marcia a piedi era l’ultima
risorsa, un grido di disperazione.

Dopo 23
ore, il governo austriaco ha annunciato che avrebbe aperto le
frontiere e lasciato passare i rifugiati diretti in Germania. Da quel
momento in poi, l’obiettivo degli attivisti è cambiato. Il convoglio
ora puntava ad aiutare la parte orientale dell’Ungheria – dove non
c’è stata molta solidarietà né altri tipi di iniziative, per non
parlare della totale assenza di iniziative ufficiali per i rifugiati.
Il gruppo
di attivisti è composto da ragazzi provenienti dalla piccola città
di St. Pölten.   
Uno di loro, Dominik
Paireder
, dice che ha diffuso l’iniziativa nella sua cerchia di
amici e che in meno di un giorno aveva già un seguito enorme.

 

Ako
Pire
, un altro attivista di sinistra che faceva parte del
convoglio, ha detto che era anche era furioso per come la situazione
era stata gestita dal governo. 
“Il governo avrebbe potuto
agire molto prima e fare molto di più,” ha detto. 
Infatti il governo austriaco non si è
attivato finché la situazione non ha rischiato di degenerare. 
Solo
in quel momento ha aperto le frontiere, e l’ha fatto a malincuore.
I ragazzi
del convoglio caricano acqua, cibo e sacchi a pelo su camion e
macchine. 
Altri portano cibo per
bambini, vestiti e medicine. 
Il tutto sta andando per le lunghe ma
per un buon motivo: ci sono così tante persone che vogliono dare una
mano che si trovano a dover fare la fila per consegnare le donazioni.
Partiamo da
Vienna alle 10 del mattino. Parlo con Maria Fraißler e Marla
Berger
, due ragazze del convoglio, che mi spiegano le loro
motivazioni, “il tempo dei accendere ceri, dei minuti di
silenzio delle petizioni online è passato,” mi dicono, “Per
noi, adesso, è importante fornire un aiuto concreto.”

La
nostra prima sosta è a Budapest, dove scarichiamo delle donazioni
fatte dagli attivisti della ONG “Age of Hope”. Ákos
Tóth
, un ragazzo del convoglio, mi spiega che lo scopo della ONG
è aiutare le famiglie dei migranti. “Le notti sono già
piuttosto fredde e ci sono migliaia di profughi che non hanno alcun
modo di ripararsi.”

Parliamo
anche dei problemi con gli estremisti di destra. 
Tóth
mi dice che ci sono stati numerosi scontri tra loro e gli attivisti,
l’ultimo dei quali risale solo alla settimana prima. Tuttavia, i
neonazisti non sembrano preoccuparlo troppo. “Fanno i duri solo
online, sono forti solo quando qualcuno li guarda.”
Secondo
lui, il problema vero è nella discriminazione di ogni giorno. 
“Non ho
alcuna fiducia né nel governo ungherese né nell’Unione Europea.
La mia unica speranza
è nelle persone qui fuori.”
Dopo di
che, ci spingiamo ancor più a est. 
Per strada incontriamo alcune difficoltà tecniche – un
camion è troppo pieno e il suo carico va distribuito, una macchina
si rompe e deve essere rimandata indietro, a Vienna.
È tarda
sera quando arriviamo a Debrecen. 
È una città di confine, vicina alla Romania e non lontana
dall’Ucraina. 
È buio e fa freddo, ma anche qui come a Budapest le persone
fanno la fila per accoglierci e aiutarci. Ci incontriamo con i nostri
contatti di Migration Aid Debrecen
La gente scarica i camion e
distribuisce il cibo. Alla stazione c’è un grandissimo numero di
rifugiati che dormono o aspettano. Gran parte di loro viene
dall’Afghanistan.
Un bambino
di forse cinque anni riceve un peluche da parte di qualche
volontario. 
Sorride e lo poggia delicatamente per
terra, vicino a dove dormono le sue sorelle.
Quando
parliamo con alcuni profughi, questi ci dicono che è abbastanza
comune essere derubati dalla polizia bulgara. All’inizio penso di non
aver capito bene, che si sia perso qualcosa nella traduzione. Ma mi
confermano che ho capito benissimo.
 
La polizia bulgara deruba, picchia e chiede
tangenti ai rifugiati
I rifugiati sono disperati, ma anche ora che le
frontiere sono aperte non possono salire sui treni perché i
poliziotti li hanno derubati dei soldi per il biglietto.
Un uomo
afghano mi dice di esser stato fatto scendere dal treno quattro
volte. 
Aveva sempre il
biglietto, ma ogni volta gli scadeva perché i funzionari gli
ritardavano il permesso di partire. I profughi non possono nemmeno
salire sugli autobus, perché le aziende di trasporto si rifiutano di
prenderli a bordo.
Alla
stazione, non c’è abbastanza cibo per tutti. I bagni chiudono alle 9
di sera. 
I
rifugiati hanno paura di entrare nei campi profughi locali per paura
di rimanerci bloccati.
 E una volta rimasti bloccati lì, hanno paura
di quello che gli farà la polizia.
Aida
Elsaghi
è una dottoressa che è stata alla stazione ogni giorno
da quando sono arrivati i primi rifugiati. “Da parte del governo
non c’è nessun aiuto,” mi dice.
“Siamo circa una ventina di persone e veniamo qui tutta
la settimana per fare quello che possiamo. Ci sono persone che non
mangiano da giorni, ci sono donne e bambini.
Quando vengono presi dalle forze dell’ordine, vengono solo
trasportati nei campi profughi, senza acqua, cibo né assistenza
medica.”
Alcuni
degli attivisti locali ci raccontano delle minacce ricevute dai
gruppi di estrema destra, ma anche della generosità di parte della
comunità. 
Un panettiere locale, lui stesso un ex
profugo proveniente dal Kossovo, tutte le sere cuoce e regala del
pane ai migranti. Anche gli studenti della facoltà di medicina
locale offrono il loro aiuto. 
Ci dirigiamo al campo e scarichiamo le
ultime merci dai camion. 
Ako Pire mi racconta di quanto per lui tutto questo sia
importante. “Sono iniziative internazionali come questa ciò che
serve per abbattere la fortezza che è diventata l’Europa”
Sulla via
del ritorno verso Vienna, parliamo con altri attivisti che ci
informano quali siano i valichi di confine liberi e dove si può far
salire a bordo dei rifugiati senza problemi. 
La nostra macchine è pienissima, ma altri che hanno un po’ di
spazio lo offrono a queste persone, che vogliono disperatamente
entrare in Austria.
Per Maria
Fraißler, i confini nazionali non dovrebbero essere un problema in
questi casi. 
“Se una legge è ingiusta, dal punto di vista
morale è lecito violarla.”
Alle due di
notte siamo di nuovo alla stazione di Vienna. 
Qui, i
volontari non hanno mai smesso di lavorare.
Solo una
settimana fa, le principali testate austriache erano piene di
articoli su aggressioni razziste e su quanto fosse insostenibile la
situazione nel campo profughi di Traiskirchen – che ha portato
anche a una protesta di Amnesty International, che ha definito
la situazione “un completo fallimento dell’umanità.

” 

Come sempre, alcune testate hanno sostenuto che Amnesty non
sapesse di cosa stesse parlando e che i rifugiati siano degli
ingrati.
Ma adesso
non è più così. Da lunedì scorso, la situazione si è capovolta. 
Oltre 25 mila persone
hanno manifestato contro l’atteggiamento riluttante del governo ad
aiutare i rifugiati. Nelle stazioni ferroviarie di Vienna, Salisburgo
e altre città, la gente fa la fila per dare una mano. Anche in
Ungheria, il cui governo è famoso per le sue posizioni estremamente
rigide in materia di immigrazione, i cittadini si mostrano sempre più
solidali e hanno iniziato ad aiutare i profughi siriani e afghani a
passare la frontiera.
C’è
qualcosa nell’aria, e non parlo dei sassi che i neonazisti ungheresi
tirano contro i profughi accampati alla stazione.