PALESTINA. Colonialismo israeliano e stravolgimenti ambientali
Ramzy Baroud e Romana Rubeo 22 febbraio 2019 |
La natura e le risorse non sono state solo sfruttate ma anche distrutte, dal prosciugamento del Giordano allo sradicamento degli ulivi, dall’inquinamento a Gaza allo sversamento dei rifiuti, scrivono Ramzy Baroud e Romana Rubeo.
Le ultime vittime della guerra contro l’ambiente in Palestina sono stati 450 ulivi distrutti la scorsa settimana da bulldozer dell’esercito israeliano. La distruzione di alberi di proprietà palestinese ha avuto luogo nei villaggi di Bardala, nella valle del Giordano, e di Yatta, nel sud della Cisgiordania. Anche altre decine sono state distrutte da coloni ebrei illegali.
È un mito che solo l’Israele sionista abbia “fatto fiorire il deserto.” Al contrario, da quando è stato fondato sulle rovine di più di cinquecento villaggi e cittadine palestinesi che distrusse e cancellò dalla carta geografica, Israele ha fatto l’esatto contrario. Nel lasso di qualche decennio la terra abitata da palestinesi musulmani, cristiani ed ebrei da migliaia di anni è stata sfigurata al di là di ogni immaginazione.
“La Palestina contiene un ampio potenziale per la colonizzazione di cui gli arabi non hanno necessità né sono in grado di sfruttare”, scrisse uno dei padri fondatori di Israele e primo capo del governo, David Ben Gurion a suo figlio Amos nel 1937.
Tuttavia l’Israele sionista ha fatto di più che “sfruttare” semplicemente quel “potenziale per la colonizzazione”: ha anche sottoposto la Palestina storica a un’incessante e crudele campagna di distruzione che continua tuttora. È probabile che essa continui finché prevarrà il sionismo, in quanto ideologia razzista, egemonica e sfruttatrice.
Fin dai suoi inizi, a metà e alla fine del XIX secolo, il sionismo politico ha ingannato i suoi seguaci con la descrizione della Palestina storica. Per incoraggiare la migrazione ebraica in Palestina e per fornire un simulacro di giustificazione etica per la colonizzazione ebraica, il sionismo ha costruito miti che rimangono tuttora un tema centrale. Secondo i primi sionisti, per esempio, la Palestina era una “terra senza popolo per un popolo senza terra”. Venne anche detto che si trattava di un deserto arido, che attendeva i coloni ebrei dall’Europa e da altre parti con l’urgente missione di “farlo fiorire”.
Tuttavia quello che i sionisti hanno fatto alla Palestina invece è incompatibile con il loro discorso teorico, in quanto razzista, colonialista ed esclusivista, come è sempre stato. La terra di Palestina, circa 16.000 km2 dal fiume Giordano a est fino al mar Mediterraneo, diventò l’oggetto di un crudele esperimento, iniziato nel 1948 con la pulizia etnica del popolo palestinese e con la distruzione dei suoi villaggi, della sua terra e delle sue coltivazioni. Questo sfruttamento della terra e del suo popolo è cresciuto con intenso fervore nelle generazioni successive.
Sradicare alberi, bruciare coltivazioni
Le colonie ebraiche illegali a Gerusalemme est e nella Cisgiordania occupate sono state costruite su terre agricole e da pascolo palestinesi confiscate. L’ impatto immediato di queste azioni è stato lo sradicamento di milioni di ulivi e di alberi da frutto, e la conseguente erosione del suolo in molte parti della Palestina occupata.
Coloni armati aggrediscono contadini palestinesi in tutta la Cisgiordania, spesso con la protezione dell’esercito israeliano. Una delle loro principali missioni è sradicare gli alberi palestinesi e dare alle fiamme le coltivazioni, nel tentativo di obbligare i palestinesi ad andarsene, come primo passo prima di rubare la terra e costruire altre colonie illegali.
Per avere un’idea di quello che ciò significhi a livello locale, si legga parte della testimonianza del contadino palestinese Hussein Abu Alia, pubblicata in uno studio dell’ufficio dell’ONU per il Coordinamento degli Affari Umanitari nei territori palestinesi occupati (Ocha Opt): “All’inizio abbiamo sorpreso i coloni che rubavano le olive dai nostri alberi. Poi hanno iniziato a spezzare i rami, ma quelli ricrescevano e abbiamo anche piantato nuovi alberi per sostituire quelli danneggiati. Allora tre anni fa, quando siamo andati a raccogliere le nostre olive, siamo rimasti scioccati nel trovare gli alberi tutti gialli e secchi…I coloni hanno forato i tronchi e hanno iniettato una sostanza velenosa che ha ucciso gli alberi fin dalle radici.”
Prosciugare il fiume Giordano
Le colonie ebraiche illegali consumano grandi quantità delle già impoverite risorse idriche palestinesi. Di fatto il controllo dell’acqua è stato una delle prime politiche messe in atto da Israele dopo l’inizio della sua occupazione militare nel 1967. Le politiche discriminatorie di Israele riguardo all’uso e abuso dell’acqua sono note come “apartheid idrico”. Lo sconsiderato consumo di acqua da parte di Israele e l’irregolare uso delle dighe hanno un esteso e forse irreversibile impatto ambientale, alterando profondamente l’ecosistema idrico.
“A causa delle nuove dighe costruite nel nord per fornire ai contadini (cioè ai coloni ebrei illegali) accesso all’acqua”, ha informato l’israeliano Ynet News [sito informativo in rete, ndtr.], “la portata del fiume Giordano è significativamente diminuita”.
Queste informazioni dei media sull’impatto distruttivo di Israele sul Giordano sono state per anni importanti notizie.
Spianare il paesaggio
La costruzione per abitazioni, per l’agricoltura e per le infrastrutture da parte e per i coloni ebrei è di per sé un disastro ambientale. C’è un significativo impatto sulla biodiversità locale della Cisgiordania.
Il livellamento del terreno e gli scavi alterano il suolo e hanno un notevole impatto sull’agricoltura. Oltretutto interrompono anche l’uniformità del paesaggio e il rapporto organico tra gli esseri umani e l’ambiente naturale.
Israele non dimostra alcun rispetto per la Palestina e la sua gente. Lo Stato colonialista sionista sta distruggendo l’habitat locale, gli animali e le specie uniche della regione.
La spazzatura di Israele
Secondo uno studio condotto dall’Ufficio per l’Ambiente dell’Amministrazione Civile [l’istituzione militare che governa i territori palestinesi occupati, ndtr.] in Cisgiordania, giornalmente vengono prodotte dai coloni israeliani circa 145.000 tonnellate di rifiuti domestici. Come prevedibile, molta di questi rifiuti, comprese le acque reflue, vengono scaricati su terra palestinese senza tenere in alcun conto l’ambiente palestinese o le persone e gli animali che vi vivono.
Nel solo 2016 sono stati sversati in Cisgiordania 83 milioni di m3 di acque di scarico. Questa quantità sta aumentando costantemente e rapidamente.
Strade solo per ebrei
Per di più, i danni inflitti all’ambiente dalle colonie ebraiche vanno oltre lo spazio fisico di quelle colonie illegali. Negli anni Israele ha costruito una fitta rete di strade che uniscono le colonie illegali tra loro e con Israele. Lo scopo è fornire un “transito sicuro” per i coloni ebraici. Queste strade di comunicazione sono solo per l’uso degli ebrei, ai palestinesi è vietato utilizzarle per qualunque ragione.
I cosiddetti “percorsi sicuri” circondano completamente molti villaggi palestinesi nella Cisgiordania occupata e la loro costruzione ha comportato la confisca di centinaia di ettari di terra palestinese fertile. Oltretutto col tempo le fattorie palestinesi situate all’interno di queste strade di collegamento diventano inaccessibili ai loro proprietari e sono quindi lasciate incustodite o occupate da Israele per ragioni “di sicurezza”.
Avvelenare la Striscia di Gaza
La guerra di Israele contro la natura va oltre le colonie ebraiche illegali. L’uso da parte dello Stato sionista di uranio impoverito, fosforo bianco e altri tipi di armi tossiche ha ucciso e ferito migliaia di palestinesi, per lo più civili, nella Striscia di Gaza assediata. Oltretutto esso ha distrutto anche l’ambiente in modo quasi irrimediabile.
Le massicce offensive militari contro i palestinesi a Gaza nel corso dello scorso decennio hanno lasciato terribili ferite sulle persone e sul loro ambiente. L’incalcolabile numero di bombe e missili lanciati da Israele nei bombardamenti del 2008-09, del 2012 e del 2014 ha lasciato nel suolo un’alta concentrazione di metalli tossici.
Secondo il “New Weapons Research Group” [Gruppo di Ricerca sulle Nuove Armi] – un gruppo di scienziati indipendenti e medici con sede in Italia – frammenti metallici lasciati da armi israeliane includono tungsteno, mercurio, molibdeno, cadmio e cobalto. Sono tutti elementi tossici che si sostiene provochino tumori, infertilità e serie malformazioni congenite.
Raccolti rovinati
All’ambiente di Gaza non viene risparmiato un destino terribile neppure quando finiscono le offensive e le incursioni militari, seppur di solito in modo temporaneo. Anzi, l’esercito israeliano spruzza regolarmente erbicidi nei pressi della barriera che separa il territorio assediato da Israele. L’erbicida più comunemente utilizzato è il glifosato.
La Croce Rossa ha avvertito che il danno causato dal frequente uso di erbicidi nelle zone di confine da parte di Israele va al di là della distruzione delle coltivazioni palestinesi. Provoca alle persone che vivono nella Striscia di Gaza anche complicazioni a lungo termine per la salute.
Il prezzo del muro dell’apartheid
Mentre il muro dell’apartheid, che Israele ha costruito sulla terra palestinese nella Cisgiordania occupata, è spesso preso in considerazione da un punto di vista politico o dei diritti umani, il suo impatto sull’ambiente è raramente affrontato.
Tuttavia, perché venisse costruito, sono stati sradicati dai bulldozer israeliani decine di migliaia di ulivi, alcuni vecchi di 600 anni. Il fatto che alcuni di questi alberi fossero protetti dalla legge sul patrimonio culturale internazionale ha semplicemente fatto rallentare l’esercito israeliano. La distruzione continua tuttora.
Per fare posto al muro, anche migliaia di ettari di terra palestinese sono stati bruciati, insieme agli alberi e all’habitat che li circondava. Al loro posto Israele ha costruito un muro alto otto metri massicciamente fortificato, totalmente estraneo al paesaggio palestinese e accompagnato da tutto l’armamentario dell’occupazione, comprese torri di guardia, recinzioni elettrificate e telecamere di sorveglianza.
È questo il “vasto potenziale per la colonizzazione” di cui si vantava Ben Gurion più di 80 anni fa? La verità è che i palestinesi hanno dimostrato di essere molto più “qualificati” a coesistere con la natura piuttosto che a “sfruttarla”, come hanno fatto i sionisti. Il costo di questo sfruttamento, tuttavia, non è solo pagato dal popolo palestinese, ma anche dall’ ambiente. Le prove davanti ai nostri occhi mettono ulteriormente l’accento sulla natura colonialista ed egocentrica del progetto sionista e dei suoi fondatori, totalmente privi di prospettiva.