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SIRIA. Le Sdf circondano Baghouz, corridoi per i civili

22 febbraio 2019, Nena News
L’ultima enclave dell’Isis prossima alla liberazione, ma le Forze Democratiche Siriane mettono in stand by l’offensiva in attesa di evacuare 3mila persone. Intanto Trump annuncia il mantenimento di 200 marines nel paese.

Sarebbero ancora 3mila i civili intrappolati a Baghouz, villaggio dell’est siriano al confine con l’Iraq, ultima enclave territoriale dello Stato Islamico. Le Forze Democratiche Siriane (Sdf), la federazione curda, araba, assira, turkmena impegnata negli ultimi anni nella resistenza contro l’Isis, fanno sapere che non lanceranno l’0ffensiva finale fino a quando i civili non saranno stati evacuati.
Baghouz è ormai circondata. Al suo interno restano arroccati 400-500 miliziani jihadisti, pronti a combattere fino alla fine. La presenza di tanti civili impedisce, dice Mustafa Bali, portavoce delle Sdf, di attaccare: cecchini e mine sono ovunque. Gli autobus inviati nel centro cittadino, ieri, sono tornati indietro vuoti. Bali si è limitato a dire che nessun civile è uscito, ma non ha dato dettagli. Un altro combattente Sdf ha parlato di 50 mezzi inviati dentro e usciti vuoti: “Non sappiamo perché non escono”.
Per cui si tenterà di nuovo oggi di proseguire nell’evacuazione prima di lanciare l’ultimo assalto a quel che resta del progetto statuale del “califfato”: “Se riusciremo a evacuare tutti i civili, in qualsiasi momento prenderemo la decisione di attaccare Baghouz o di costringere i terroristi ad arrendersi”, aggiunge Bali.
L’atteggiamento da ultimo sangue, però, l’Isis lo ha dato ieri: un’autobomba è esplosa contro un minibus che stava trasportando lavoratori di un impianto petrolifero vicino a Baghouz, a Shheel, un campo usato dalle Sdf come base militare. Almeno dieci i morti, tra operai e combattenti: le Sdf accompagnano i lavoratori proprio per timore di attacchi dal villaggio all’impianto.
Di certo la caduta di Baghouz, la sua liberazione, segnerà un momento importante del conflitto che la Siria vive dal 2011: seppur presente sul territorio, come nel vicino in Iraq, in piccole cellule, l’Isis perde lo “Stato” che aveva creato dal 2014 in poi, la sua struttura amministrativa, giudiziaria, il controllo e la gestione delle risorse petrolifere, il simbolismo dietro la costruzione di un’entità statuale. 
Sarebbe però frettoloso parlare di una sconfitta dello Stato Islamico. Sia per la sua presenza diffusa dal Medio Oriente all’Africa, sia per la sua capacità di attirare ancora adepti fuori dai confini di Siria e Iraq. Più probabile che la creatura del “califfo” al-Baghdadi si riorganizzi, cambi pelle per tramutarsi in qualcos’altro come avvenuto in questo ultimo anno e mezzo in Iraq dopo la liberazione di Mosul: cellule pronte a farsi saltare in aria e ad attaccare civili e militari pressoché ovunque, da Kirkuk a Baghdad.
La liberazione di Baghouz, però, darà al presidente statunitense Trump quanto va cercando da mesi: la possibilità di annunciare la sconfitta dello Stato Islamico. Da dicembre, quando a sorpresa ha annunciato il ritiro delle truppe Usa dalla Siria, Trump lo va ripetendo a ogni piè sospinto: abbiamo vinto. Non tanto, però, se gli ultimi due mesi sono trascorsi tra passi indietro e smentite.
Ieri l’ultima: la Casa Bianca ha annunciato l’intenzione di lasciare 200 marines nel paese, un “piccolo gruppo di peacekeeping”, dice l’amministrazione Usa, che resterà “per un certo periodo di tempo”. Di nuovo grande vaghezza, figlia delle dure critiche piovute su Trump dal suo partito, il repubblicano, e da vecchi bracci destri – a partire dal generale James Mattis – che hanno preferito le dimissioni. Ma figlia anche delle pressioni che arrivano dalla Turchia che non accetta che l’alleato storico continui a garantire sostegno e protezione ai combattenti curdi di Rojava, in prima linea nella guerra all’Isis.
Secondo funzionari interni all’amministrazione Usa, la decisione di Trump di mantenere un piccolo contingente servirà a convincere i partner europei ad inviare proprie truppe nel nord della Siria, nell’idea di creare un zona cuscinetto che non sia gestita – come vorrebbe il presidente Erdogan – dal governo di Ankara che la vorrebbe completamente sgombra dal progetto di confederalismo democratico in corso.