Brasile: Viviamo in una democrazia o sotto un Ordine nuovo in costruzione?
Mário Maestri 31/07/2019 |
Con le elezioni del 2018, il Brasile ha superato il colpo di Stato del 2016 o è entrato in una sorta di dittatura “costituzionale”?
Questa non è una domanda retorica, intesa semplicemente a suscitare riflessioni da dilettanti sulla situazione del Paese. È necessaria una risposta corretta per definire le possibili vie d’uscita dalla terribile realtà che stiamo vivendo. Per fare ciò, bisogna prima chiarire i concetti, ovvero che cos’è un “colpo di Stato” e che cos’è una “dittatura” – o “ordine autoritario”.
Tradotto da Alba Canelli
Un “colpo di Stato politico” è una frattura improvvisa all’interno di un processo istituzionale, di solito da forze impopolari, che quindi non hanno il diritto di intervenire nell’ordine sociale. Il “colpo di stato”, che può essere “civile”, è generalmente sostenuto da forze militari. Ma il più delle volte si tratta di un colpo di Stato militare, espressione di settori del capitale nazionale o internazionale. Il “colpo di stato” dello stato – come indica il nome – cerca di fermare rapidamente un processo istituzionale, tornando alla normalità precedente. Più frequentemente, cerca di creare un “nuovo ordine” nel paese. Si tratta generalmente di misure contro il popolo, a favore di coloro che detengono ricchezza e potere.
Il Paraguay offre nel 2012 un esempio di quello che è un puntuale “colpo di Stato parlamentare” che, con la benedizione delle forze armate, e ispirato e guidato dall’imperialismo, scacciò il presidente, l’ex vescovo Fernando Lugo, per tornare in seguito alle istituzioni e meccanismi conservatori tradizionali. Al tempo del colpo di Stato, Lugo aveva perso gran parte del sostegno popolare attraverso il quale era stato eletto a causa dei suoi rapporti con le classi dirigenti. Innumerevoli colpi di stato furono perpetrati per stabilire un nuovo ordine costituzionale conservatore o dittatoriale contro la popolazione e i lavoratori, con la repressione dei diritti democratici borghesi.
Il nuovo ordine autoritario o dittatoriale può o meno tollerare determinate istituzioni democratiche nella forma. È comune che l’ordine dittatoriale sia assunto direttamente dalle forze armate, come nel caso del Paraguay, nel 1954; Brasile, nel 1964; Argentina, nel 1966; e il Cile, nel 1973. Anche ai militari piace avere la loro parte della torta, e come!
I dittatori presidenziali possono essere “a rotazione”, come in Brasile dal 1964 al 1985, o permanenti, come Stroessner, dal 1954 al 1989, “rieletti” successivamente, o addirittura, come Pinochet, dal 1973 al 1990, rimanere al potere senza alcun alibi pseudo-democratico.
La principale caratteristica di un regime dittatoriale è di tenere la popolazione fuori dalla direzione politica, anche relativa, della società, soddisfacendo così i bisogni e le esigenze delle classi nazionali o mondiali. Le forme istituzionali progettate per allontanare le persone dalla partecipazione al gioco politico e per reprimere la loro organizzazione sono diverse e variano a seconda del tempo e del momento. Nel diciannovesimo secolo e all’inizio del ventesimo secolo, i governi oligarchici o capitalisti rimasero al loro posto, senza la necessità di un intervento militare, soprattutto attraverso gli scrutini, dove solo i ricchi potevano votare per altri ancora di più ricchi. Questo è stato il caso delle grandi nazioni europee, prima che i lavoratori imponessero il suffragio universale e il diritto di associazione, e persino del Brasile, durante il Secondo regno (1840-1889) e la República Velha (Vecchia o Prima Repubblica, 1889-1930).
Ritornando in Brasile, a parte notevoli eccezioni come il PSTU [Partito socialista dei lavoratori unificato, trotskista], il MES [Movimento socialista di sinistra), tendenza trotskista nel Partito socialismo e libertà (PSOL)] di Luciana Genro, il CST [ Movimento socialista dei lavoratori] di Babá, tendenza trotsko-morenista nel PSOL] tutti a sinistra sono d’accordo, qualunque siano le qualità o i difetti del governo Dilma Rousseff, vittima di un colpo di Stato nel 2016, quando aveva già perso il sostegno della popolazione a causa della forte svolta a destra. Un colpo di Stato che mutatis mutandis assomigliava a quello subito da Lugo. Vale a dire, portato a termine attraverso una destituzione parlamentare (“impeachment”) totalmente manipolata, che ha portato al potere il vice presidente, come previsto dalla Costituzione in entrambi i paesi. Con tutte le apparenze dello scenario “rispetto per la Costituzione” a cui, deve essere riconosciuto, il PT e in particolare Dilma Rousseff hanno dato la loro approvazione, accettando fino alla fine di partecipare a una grottesca controversia parlamentare e giudiziaria, il cui risultato è stato deciso in anticipo, invece di “andare fuori dai gangheri” e mandarlo all’inferno.
Indubbiamente un colpo di stato
Lo stesso comportamento è stato adottato da Lula da Silva che, sebbene tutti gli uomini e le donne onesti del Brasile e del mondo lo considerino un prigioniero politico, invece di rimanere tra i lavoratori, nonostante la natura totalmente illegale del suo arresto. Ancora peggio, è andato in prigione dicendo di fidarsi della giustizia. E ora che è stato imprigionato da più di un anno, continua a chiedere che la giustizia riconosca la sua innocenza, anche se essa è responsabile di averlo mandato in prigione e di averlo tenuto lì, per crimini immaginari, di cui non ci sono prove.
Mentre è chiaro e cristallino che c’è stato un colpo di Stato nel 2016, resta da definire quale fosse il suo scopo. In altre parole, l’impeachment di Dilma Rousseff mirava a scacciarla, a tornare alla normalità istituzionale (come in Paraguay) dopo l’interregno di Michel Temer? O era l’obiettivo di creare un nuovo ordine che vietasse definitivamente alle persone qualsiasi di intervenire nella gestione politica del loro destino, anche nel contesto di un ordine capitalista, ponendo così fine alla stessa democrazia borghese? In altre parole, l’obiettivo principale del colpo di Stato non sarebbe stato quello di rovesciare Dilma Rousseff, ma di istituire attraverso le istituzioni un regime autoritario che avrebbe permesso l’imposizione permanente della piena dittatura del grande capitale e dell’imperialismo sui lavoratori e sul paese.
I leader dell’opposizione di sinistra in generale e i parlamentari in particolare hanno già risposto a questa domanda. E la risposta fornita da quest’ultima ha avuto innegabilmente risultati disastrosi per la popolazione. Il PT, il PCdoB, il PSOL e le loro dipendenze, hanno tenuto un discorso o si sono comportati, come se la vita politica avesse continuato a funzionare come prima dopo il 2016, senza alcuna modifica essenziale, a parte l’occupazione illegale della presidenza dal vicepresidente e alcuni altri piccoli problemi. Hanno presentato le elezioni presidenziali come il modo migliore per combattere il “governo del colpo di stato” di Michel Temer, derivante dalla destituzione di Dilma, con ottobre 2018 come data di scadenza. Dopo le elezioni, tutto sarebbe tornato alla normalità, o quasi, hanno suggerito, addirittura affermato. In effetti, alcuni dei principali leader dell’opposizione parlamentare, come Haddad, hanno persino esitato a definire la destituzione come un colpo di Stato. E poco dopo la sconfitta nelle elezioni presidenziali del 2018, che non hanno mai denunciato come una mascherata, Haddad, Guilherme Boulos [PSOL] e i loro associati si sono abbonati alla legalità delle elezioni tratte dai media mainstream, le compagnie, la giustizia elettorale, la STF (Corte Suprema Federale), la polizia federale, e in particolare l’alto comando militare. Quindi, i vari leader dell’opposizione “ben educati” si sono offerti per opporsi e resistere alla politica del governo di Bolsonaro e non al governo stesso, che ritengono legittimo. E, soprattutto, contano sulla sua sconfitta attraverso la lotta parlamentare e le elezioni del 2020 e del 2022. Esattamente come se vivessimo sotto un regime di legalità istituzionale. È a questa stessa politica che sottoscrive Lula da Silva, dal suo arresto, esplicitamente, da ciò che dice, e implicitamente, da ciò che non dice.
Fantasie politiche e terra bruciata
Mentre i leader egemonici politici e sindacali dell’opposizione raccontano storie alle persone disperate e disorganizzate per addormentarle, le forze putschiste portano avanti l’accusa di un saccheggio economico e sociale autentico e irreversibile del paese, al quale la leadership del movimento popolare afferma anche di opporsi, principalmente al parlamento, dove non ottiene alcun risultato concreto. Quando si esprime! Dalla sua torre d’avorio, la leadership dell’opposizione, per la maggior parte, distoglie la popolazione e i lavoratori dalla lotta contro l’istituzione di un regime autoritario, sostenendo la mascherata istituzionale messa in scena dai putschisti. Afferma che tutto è come prima in questo quartier generale sempre più cupo di Abrantes*.
Assume il triste ruolo svolto dall’MDB in passato, quello dell’opposizione consentita dalla dittatura, con la funzione di distogliere la popolazione dalla lotta. Difende i suoi interessi privati e quelli delle classi che rappresenta, ignorando il destino dei lavoratori e della popolazione nel suo insieme. Ma oggi questa opposizione illusionista ha appena subito una disfatta monumentale, che stava aspettando e che ha, in un certo modo, preparato, che rivela l’assurdità della sua retorica e delle sue proposte, che non si arrenderà. I 379 voti contro i 131 del primo turno a favore della liquidazione dei sistemi previdenziali pubblici e privati dimostrano che il “putschismo”, dominando totalmente la Camera, ha i mezzi per “riformattare” totalmente le istituzioni nazionali, costruendo un nuovo ordine che permette di sottrarre per sempre la popolazione da ogni controllo sul suo destino, schiacciata sotto il dispotico tallone del grande business e dell’imperialismo.
Pertanto, parallelamente alla continua distruzione delle condizioni di vita della popolazione e della nazione, la Camera e il Senato, con il pretesto della “legalità”, continueranno a sviluppare una vera dittatura istituzionale contro il popolo, i lavoratori e contro la nazione. Questa dittatura istituzionale è già stata discussa in dettaglio e sarà rafforzata da riforme fiscali, politiche, di bilancio, giudiziarie, ecc. che lasceranno il mondo del lavoro e il paese nelle mani del capitale globalizzato e dell’imperialismo, attraverso i suoi operatori locali: i grandi media, la giustizia, la polizia, il congresso, le forze armate, tutti già sotto il controllo dell’imperialismo e corrotti fino all’osso.
Una realtà rafforzata dalla distruzione di qualsiasi spazio di reale legalità e dall’adozione della legge della giungla imposta dal grande capitale nella gestione della società. È indispensabile andare oltre le politiche e le proposte dei leader collaborazionisti prima che la metamorfosi patologica della società nazionale e delle sue istituzioni sia consolidata. È urgente combattere, in piazza, nelle fabbriche, nelle scuole, nelle campagne, nei quartieri, per porre fine a questo secondo governo putschista e al regime che sta mettendo in atto. Prima che il Brasile sia trasformato in una neocolonia del capitalismo globalizzato, e la sua popolazione in impiegati semi-schiavi, sotto lo stivale della polizia e dei militari, agli ordini di generali piuttosto stranieri al paese. Prima che l’intera nazione si sciolga nell’inferno in cui viviamo già.
NdE:
*Abrantes : allusione a una frase diventata proverbiale nel mondo lusofono, Está tudo como dantes no quartel de Abrantes (Tutto è come prima nelle caserme di Abrantes), prestato alla popolazione di questa località vicino a Lisbona che il generale Junot, a capo delle truppe d’invasione napoleoniche, bombardò e dove stabilì il suo quartier generale nel 1807, proclamandosi “duca di Abrantes”. Equivalente a “Tutto bene, Madama la Marchesa”, la frase illustrava la passività osservata dal re portoghese João VI e il suo apparato di fronte all’avanzata delle truppe bonapartiste.