Viaggio nella crisi economica dell’Isis
25 Febbario 2017
Tributi e risorse naturali sono le principali fonti di ricchezza. E più lo Stato islamico arretra in Siria e Iraq, più scarseggiano. Così tra il 2014 e il 2016 il fatturato è crollato: da 1,9 miliardi a 870 milioni di dollari.
Lo Stato Islamico ha impostato la crescita delle proprie finanze su due pilastri dell’economia moderna: riscossione dei tributi e sfruttamento delle risorse naturali. Ma dopo gli anni d’oro, oggi per l’Isis è tempo di grave crisi. Economica, perlomeno. Una ricerca condotta dell’International Centre for the Study of Radicalization and Political Violence (Icsr) di Londra fa i conti in tasca a quello che al momento è considerato «il gruppo terroristico più ricco al mondo» e ne descrive le attività che meglio di altre contribuiscono a rimpinguare le sue casse. Le stime sul fatturato sono da grande multinazionale (870 milioni di euro nel 2016) ma i dati raccolti dal centro di ricerca britannico raccontano di un (possibile) collasso economico.
IL TRAFFICO DI REPERTI? ININFLUENTE. Anzitutto, la ricerca sconfessa il credo comune secondo cui il traffico di reperti archeologici e oscuri finanziamenti dall’estero siano le principali fonti di ricavo del Califfato. Due attività che di fatto hanno fino ad oggi trovato poco, se non nessun, riscontro nella realtà. La comunità internazionale ha inoltre imposto che venissero congelati i flussi di denaro provenienti dall’estero e diretti al Califfato, secondo l’assunto per cui al Qaeda avrebbe ricevuto denaro proveniente dai Paesi del Golfo e considerandolo un principio applicabile ad altri gruppi terroristici. Ma al Qaeda è estremamente diversa dall’Isis.
IL WELFARE DEL CALIFFATO. Non esistono prove di finanziamenti provenienti dall’estero, scrivono i ricercatori inglesi, mentre i sequestri di persona e il commercio illegale di reperti archeologici contribuiscono in minima parte alle casse del Califfato. Secondo l’Icsr, l’attività più redditizia è invece la riscossione di tasse, seguita dalla vendita di petrolio e dai proventi derivati da saccheggi e confische. «Lo Stato Islamico ha un proprio capitale, ottenuto tramite lo sfruttamento dell’economia locale», dice Stefania Azzolina, responsabile del settore Medio Oriente e Africa del Centro Studi Internazionali. «Offrire servizi, come energia elettrica e prestazioni sanitarie, dà l’idea di quanto l’Isis si faccia welfare, una novità assoluta nel panorama terroristico».