(S)fascismi
Daniele Cinà 18 febbraio 2018 |
Nelle ultime settimane sta succedendo un po’ di tutto. E nulla di particolarmente confortante.
Pamela, una ragazza romana, viene uccisa e fatta barbaramente a pezzi a Macerata. Un filofascista, già candidato con la Lega Nord di Matteo Salvini, semina il panico in città sparando senza motivo su degli immigrati. Un vero e proprio attentato di matrice xenofoba. A seguito del quale, anziché una condanna unanime, da una certa destra, arrivano pallide prese di posizione.
Addirittura a Roma appare lo striscione: “onore a Traini”. Ma “onore” a cosa? A uno che spara a sangue freddo contro persone disarmate? Vigliacco semmai. Delle vittime, invece, per giorni non si è saputo nulla, nemmeno i nomi: solo che erano neri e immigrati, come la spersonalizzante narrazione destrorsa impone.
Nel corso della manifestazione a Macerata per condannare l’attentato, un gruppo di cretini inneggia alle foibe, proprio nel Giorno del Ricordo. A Piacenza, degli sconsiderati inseguono un carabiniere che fa il suo lavoro, e lo pestano mentre è indifeso a terra. Vigliacchi anche loro. Nessuna distinzione: un impazzimento generale. Tutti contro tutti. La guerra dei poveri è in atto.
A Palermo, Forza Nuova organizza delle ronde sugli autobus. Eppure mai una ronda contro i parcheggiatori abusivi, chi chiede il pizzo, i mafiosi. Forti con i deboli e deboli coi forti. Il declino ormai è “culturale”. L’intolleranza ci è entrata nelle vene, giorno dopo giorno, come un veleno. E nemmeno ce ne siamo accorti.
Persino la scuola, che dovrebbe farsi carico della cultura della democrazia, si sgretola sotto i picconi del messaggio classista: “Tutti, tranne un paio, gli studenti sono di nazionalità italiana e nessuno è diversamente abile. Tutto ciò favorisce il processo di apprendimento”. Così si presenta il famoso Liceo Classico Visconti di Roma in un rapporto consultabile sul sito del Miur.
L’egemonia culturale di estrema destra sta prendendo il sopravvento, nell’indifferenza generale. Mentre sui social è tutto un pullulare di pagine che inneggiano al fascismo, ai treni in orario, alla bellezza dell’Eur, all’introduzione della tredicesima, alle porte che si potevano lasciare aperte “quando c’era LVI”. E così, tra il serio e il faceto, migliaia di italiani, oggi, a settant’anni dalla morte di Mussolini, aderiscono a gruppi neofascisti. Ed è indubbio che tra le cause ci sia pure il racconto emergenziale che viene fatto dei migranti o l’aumento esponenziale di notizie false che li riguardano.
“Ancora a parlare di fascismo? Vabbè, Cinà, che ci vuoi dire? Che torna il fascismo? Sei anacronistico”. Così mi sento dire. Nei giorni in cui il pistolero di Macerata ha fatto il saluto romano al momento dell’arresto, e a casa sua hanno trovato una copia di Mein Kampf.
E il blitz dei militanti di Forza Nuova a volto coperto sotto la sede di Repubblica, ce lo siamo già scordati? E ancora, la sfilata di CasaPound per le strade di Roma con tanto di grido “Presente” e saluto romano di massa per l’anniversario di Acca Larentia. Certo, questo non è fascismo. Figuriamoci. Non hanno mica la camicia nera o il fez in testa. I continui assalti di Forza Nuova alla Caritas, sì. Avete capito bene: alla Caritas, con i sempreverdi slogan “Stop business accoglienza” e “Italiano dimenticato, immigrato tutelato”.
Il culmine poi, con l’irruzione dei naziskin a Como durante un incontro tra volontari che aiutano i migranti. Perché in questo Paese, oggi, la solidarietà fa paura. Va combattuta. Dunque, al bando qualsiasi forma di solidarietà, in nome di un ancestrale benessere mai avuto.
E così, dopo averli completamente sdoganati, ce li ritroviamo ogni giorno in Tv con i loro deliri sovranisti e qualunquisti. Mai una presa di responsabilità, mai una parola di buon senso. Tutto un’esaltazione della loro purezza e onestà. Nel continuo racconto apocalittico del declino del grande popolo che fummo e che solo con loro possiamo tornare ad essere.
Così, vengono esaltati nelle periferie perché regalano pacchi di pasta. Inquietante per me, cresciuto in Sicilia, che mi ricordo quando i “coppi” di pasta erano i mafiosi a regalarli. Sacchetti di pasta per ottenere il voto dei bisognosi: il bisogno come leva del consenso. Una cosa vecchia, non nuova.
“Ma mica è fascismo, dai. Che c’entra la mafia, Cinà?”.
Oggi si presentano bene. Ben vestiti, gentili e (ri)educati. Vengono invitati nei salotti Tv a commentare i fatti di politica e cronaca. Ricambiano gli inviti in Tv aprendo le loro sedi a blasonati giornalisti che, nella smania di dimostrare la propria apertura democratica, li legittimano e trasferiscono loro la propria credibilità. Più o meno inconsapevolmente. Addirittura, è possibile vederli alla Camera dei Deputati, in un’affollata conferenza stampa, incravattati e coi tatuaggi coperti a promettere la guerra in Libia per fermare i migranti e dare lavoro alle nostre aziende lì.
Nel racconto infinito degli Italiani come eterni oppressi: oggi dall’Euro, nel caso specifico, o dalle altre Nazioni. In un feticismo dell’italica purezza rispetto al nemico. Anche questa, roba vecchia. Già vista e già sentita.
Ecco: tra vecchio e nuovo, oggi mi sento preoccupato da ciò che vedo e sento. La superficialità delle soluzioni da bar davanti a problemi veri, come il lavoro per i giovani o la gestione dell’immigrazione. Non si parla più di futuro in questo Paese. Complice la campagna elettorale, si parla solo di migranti. Come se ogni problema che attanaglia il Paese derivasse da loro. Loro che sono gli ultimi. È questa la colpa più grande di cui si sta macchiando questa destra populista e irresponsabile: trasformare il bisognoso in nemico. Il diseredato, “l’ultimo”, in primo dei problemi.
Un degrado civile e morale che non risparmia nessuno.
E a nulla valgono i continui appelli di Papa Francesco al mondo cattolico. Anche lui resta inascoltato, e noi nudi davanti alla nostra incapacità di stare insieme come comunità. Se vogliamo pensare che non tutto è perduto, occorre una forte presa di responsabilità da parte di ciascuno di noi. Occorrono obiezioni coraggiose, come quella di Favino a Sanremo, o del direttore del Museo Egizio, Christian Greco. L’Italia è anche questa.
Quella che resiste, nonostante tutto.
Quella che non abbassa la testa, ma che lotta “per risalire la china”.
“Se non ci assumiamo le nostre responsabilità, i poveri faranno per sempre la guerra ai poveri, mentre le ipocrisie, i carrierismi e le poltrone vinceranno sempre. Stava succedendo qualcosa di irreale in Italia: i ladri si vantavano di esserlo, i poveri erano al limite della sopportazione: una caduta di stile, di popolo e personale. Vangelo e Costituzione continuano a indicarci la strada per risalire la china e tornare a essere un paese civile”. (Don Andrea Gallo)