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GAZA, Giornalisti in piazza contro Facebook

Redazione, Nena News, 07 mar 2018

I
palestinesi accusano l’azienda di Zuckerberg di bloccare e cancellare gli
account degli attivisti social pro-Palestina. Una situazione, denunciano dalla
Striscia, che sarebbe peggiorata dopo il riconoscimento statunitense di
Gerusalemme come capitale d’Israele
Presidio
di lunedì a Gaza contro Facebook. (Foto tratta dall’agenzia Anadolu)
Roma – Un
presidio per protestare contro la politica anti-palestinese di Facebook. È
quanto ha organizzato lunedì il Journalist Support Committee (Jsc) fuori il
quartier generale dell’Unesco a Gaza. Salah al-Masri, presidente del Jsc, non
ha dubbi: “È davvero scandaloso osservare come Facebook agisca contro la causa
palestinese bloccando e cancellando senza alcun preavviso gli account degli
attivisti social e le pagine pro-Palestina. Facebook è una piattaforma che
promuove la comunicazione tra comunità, le notizie su di loro e la loro
cultura. Tuttavia, oggi è una piattaforma che serve gli [interessi] israeliani”.
Secondo al-Masri, l’obiettivo del colosso californiano è quello di far dominare
la narrativa israeliana silenziando quella dei palestinesi. Una situazione che,
sostengono da Gaza, sarebbe peggiorata dopo il riconoscimento di Gerusalemme
come capitale d’Israele fatta dal presidente Usa Donald Trump lo scorso 6
dicembre.
 
Da qui
l’idea di protestare in strada lunedì, non solo per sensibilizzare i gazawi
sulle politiche pro-israeliane di Facebook, ma anche nel tentativo di
esercitare pressioni sull’azienda statunitense affinché possa riaprire le
pagine e gli account che ha recentemente chiuso.
La
vicinanza tra Israele e il colosso sociale, del resto, è cosa risaputa: nel
2016 il governo di Tel Aviv e Facebook hanno trovato una intesa per “fermare
l’istigazione”. Secondo quanto ha riferito alla stampa il direttore
dell’ufficio informazioni del governo a Gaza, Salameh Maarouf, l’accordo tra le
due parti è stato raggiunto il 9 settembre di due anni fa durante gli incontri
tra i rappresentati dell’azienda californiana e i ministri israeliani Gilad
Erdan (Sicurezza interna) e Ayelet Shaked (Giustizia).
L’esecutivo
Netanyahu aveva esplicitamente chiesto al colosso diretto da Mark Zuckerberg di
cancellare le pagine, gli account e i post palestinesi che “incitavano alla
violenza”. Ad una conferenza sull’attivismo digitale che ha avuto luogo in
Cisgiordania lo scorso gennaio, alla manager delle politiche di Facebook, Aibhinn
Kelleher, è stato chiesto della presunta cooperazione tra la sua azienda e Tel
Aviv. Israele avrebbe chiesto informazioni per 509 account Facebook nella prima
metà del 2017 e, nel 77% dei casi, avrebbe ottenuto almeno qualche
informazione. Kelleher ha però parlato di “fraintendimenti” sugli incontri tra
i rappresentati della compagnia e il governo israeliano perché il colosso dei
social “non ha preso posizione”.
Sarà. Ma
intanto Khaled Safi, un consulente media palestinese, sostiene che l’azienda
californiana continua a silenziare le voci dei palestinesi. La vicenda del
giornalista gazawi Muthana al-Najjar (oltre 100.000 “like” sulla sua pagina
Facebook, il terzo attivista social palestinese) è emblematica. Dall’annuncio
del controverso riconoscimento di Gerusalemme del presidente statunitense, a
Najjar è stato impedito di postare articoli per ben 4 volte. La prima volta per
30 giorni, la seconda per sette (metà gennaio), la terza per 3 (a inizio
febbraio) e, infine, ha avuto un bando per altri 30 giorni a fine mese dopo che
aveva postato un video in cui si chiedeva il rilascio di un palestinese
detenuto in una prigione israeliana. Chiuse permanentemente sono poi le pagine
Facebook Palestine Net, Isharaqat Magazine, Palestine 27, Palestine Plus,
Jerusalem. Il Centro social Media Sada, che studia le violazioni contro
contenuti palestinesi, dà i numeri: 500 infrazioni registrate da febbraio con
100 pagine chiuse e 70 account sospesi. Tutti, manco a dirlo, vicino alla causa
palestinese. “Dalla dichiarazione di Trump su Gerusalemme – ha detto il
coordinatore di Sada Iyad Rifai – Facebook ha aumentato il suo monitoraggio
sulle pagine palestinesi descrivendo i loro contenuti come provocatori. Uno
standard che non viene applicato però contro quelli israeliani. Abbiamo
registrato più di 60.000 pubblicazioni israeliane [nello stesso periodo] che
istigano [alla violenza contro i palestinesi] ed esortano l’esercito
d’occupazione [israeliano] a uccidere i palestinesi”. “C’è in media – conclude
Rifai – un post anti-palestinese ogni 47 secondi”. Nena News