Quando le famiglie accolgono i migranti a casa propria
Cecilia
Attanasio Ghezzi, Lettera43, 18 giugno 2018
Oltre 400
nuclei ospitano i rifugiati nelle rispettive abitazioni. Un canale che gli
operatori sociali prediligono e che viene portato avanti soprattutto grazie
a diocesi, Ong e onlus.
«Quand'è
successo il fattaccio di fine gennaio, ho chiamato Mamadu. gli ho detto di
rientrare a casa immediatamente. Lui era spaventatissimo, per qualche giorno
non voleva neanche uscire di casa. Gli sembrava di essere tornato in Libia».
Nel racconto di Luigi Montani, 58 anni e volontario di Refugees Welcome a
Macerata, il gesto folle di Luca Traini
è stato il momento più buio dell'esperienza di accoglienza in famiglia. Lui e
sua moglie, Elvira, ospitavano un ragazzo di 23 anni del Gambia da quasi sei
mesi. Una convivenza che si era rivelata «naturale e semplice. Abbiamo un
figlio della stessa età, ma studia a Milano. Mamadu è diventato subito parte
della famiglia».
400
FAMIGLIE ACCOLGONO I MIGRANTI. Oggi, dopo una decina di mesi, il ragazzo è
pronto ad emanciparsi. Dopo tanta frustrazione e tante porta sbattute in
faccia, ha trovato un lavoro e una camera in affitto. Presto lascerà Luigi ed
Elvira, sarà un piccolo trauma. Ma la coppia pensa già che passato qualche
tempo potrà offrire ospitalità a un altro migrante. Secondo i dati di
Fondazione Migrantes, sono oltre 400 le famiglie che negli ultimi anni hanno
aperto le porte a rifugiati e richiedenti asilo.
TRA CAS E
RETE SPRAR. Il ruolo da protagonista è delle diocesi, attraverso cui hanno
trovato accoglienza 283 ragazzi in tutta Italia. E poi diverse onlus e
organizzazioni che accedono a vario titolo al Sistema di protezione per
richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), che offre un contributo economico
affinché i comuni, su base volontaria, accolgano 2,5 migranti ogni mille
abitanti. Ma come evidenzia l'ultimo rapporto del Centro Astalli, i centri di
accoglienza straordinaria (Cas) restano la soluzione prevalente, mentre la rete
Sprar, sia pure in crescita, a marzo 2018 finanziava appena il 17% dei circa
205 mila posti disponibili.
Al
momento Refugees Welcome, una piattaforma che riunisce chi offre accoglienza,
ha 87 convivenze in atto in Italia. Ed è una delle poche realtà in cui le
famiglie ospitanti non usufruiscono dei 350 euro offerti dallo Sprar. Sul sito
c'è un contatore che indica anche il numero dei comuni e dei volontari
coinvolte. L'idea è nata a Berlino nel 2014, ma poi si è espansa a macchia
d'olio. Oggi è attiva in 12 Paesi europei, più l'Australia e il Canada.
BENVENUTI
RIFUGIATI. Sara Consolato, responsabile della comunicazione per l'Italia, ci
racconta che quando sono partiti nel 2015, sull'onda dell'esperienza tedesca,
hanno avuto un boom di iscrizioni. Poi sono rimasti su una media di un iscritto
ogni due giorni per quasi tre anni, ma a febbraio di quest'anno hanno avuto un
crollo. Solo nell'ultima settimana, probabilmente a seguito dell'esperienza
Aquarius, gli accessi sono tornati a crescere.
OBIETTIVO
EMANCIPAZIONE. Consolato spiega che loro chiedono una disponibilità
all'accoglienza non inferiore ai 5 mesi e dicono agli ospiti che non dovrebbe
superare un anno, perché il fine ultimo rimane l'emancipazione e l'integrazione
del migrante. «Abbiamo avuto pochissimi casi di convivenze finite prematuramente
e, nella quasi totalità dei casi, ad interromperle è stato il rifugiato che si
è sentito oppresso da troppe attenzioni».
In genere
si occupano di terza accoglienza per ragazzi tra i 19 e i 28 anni, per la
maggior parte uomini, e con alle spalle la Libia e un paio d'anni nei centri di
accoglienza. Questo è un punto che ci aveva sottolineato anche Luigi:
«Ricostruirsi una rete non è facile. Specie dopo che hai passato un paio d'anni
nei centri di accoglienza in attesa dei documenti. Di colpo se fuori dal centro
di accoglienza, hai un documento e nient'altro. Non è facile costruirsi una
vita».
IL
CONTRIBUTO ALLE FAMIGLIE. Se Refugees Welcome si muove su base volontaria e
autonoma, il progetto Vesta della cooperativa Camelot, che si inserisce nel
sistema Sprar, ha numeri e procedure stabilite. Lavora nei comuni di Bologna e
Ferrara dove può contare rispettivamente su 30 e sette posti. Vesta interviene
soprattutto nella formazione alle famiglie, mentre la gestione dei contributi è
demandata agli enti locali. Ogni nucleo famigliare ospitante ha a disposizione
350 euro al mese. Anche Vesta lavora affinché l'esperienza sia limitata (non
inferiore ai sei mesi e non superiore ai nove) e si concentra sulla terza
accoglienza. Soprattutto cerca di far proseguire in famiglia l'esperienza dei
minori non accompagnati che altrimenti, al compimento dei 18 anni, dovrebbero
uscire dalle strutture che li ospitano rimanendo senza alcun tipo di
protezione.
IL NODO
DEI MINORI NON ACCOMPAGNATI. Ma sono proprio i minori non accompagnati ad aver
più bisogno dell'accoglienza in famiglia. Secondo il report
appena uscito per Save the Children, solo il 3% degli oltre 18 mila
minori soli sono in affido. Per la portavoce Giovanna Di Benedetto, che tutte
le estati lavora in Sicilia nei luoghi degli sbarchi, «è il rapporto uno a uno
quello di cui hanno bisogno, di figure di riferimento con cui ricreare quei
rapporti di fiducia che hanno perso durante un viaggio che li ha costretti a
crescere anzitempo». E ricorda un episodio di tre anni fa, quando sbarcò una
bambina di due anni che nel viaggio aveva perso la famiglia. Fu data
immediatamente in affido, «un modo per scommettere sulla sua integrazione».