L’Ashura nel Libano di Hezbollah
Roberto Renino 6 ottobre 2018 |
Sono le prime luci dell’alba a illuminare i cinque carri armati delle Forze Armate Libanesi schierati all’ingresso del quartiere di Haret Hreik, nella periferia sud di Beirut.
Metri e metri di filo spinato circondano l’intera piazza; chi vuole entrare può passare esclusivamente a piedi in piccole fessure lasciate aperte dai militari.
Oltre questa barriera, a gestire la sicurezza e il controllo delle strade sono gli uomini di Hezbollah, attrezzati di metal detector, transenne e di molti addetti al servizio d’ordine. L’atmosfera all’interno del quartiere non è tesa, ma allo stesso tempo non si può dire che sia rilassata. Il partito militante sciita, nato come movimento di resistenza contro l’invasione del Libano da parte di Israele nel 1982, ha costruito nel tempo un’immagine di sé abbastanza austera e minacciosa, grazie a una simbologia molto forte e ad un’efficiente propaganda.
La commemorazione di oggi, l’Ashura, rientra anch’essa nelle manifestazioni del potere del partito che dimostra di possedere un controllo e un’influenza pervasiva in una vasta area della città e del paese. Haret Hreik è appunto definita dai suoi membri la “capitale” di Hezbollah, un quartiere che è quasi una città nella città. A Beirut è comune: l’ispessirsi dei confini tra le varie comunità religiose ha portato all’omogeneizzazione degli abitanti dei vari quartieri su base confessionale, fenomeno già esistente in passato ma più evidente e cristallizzato dalla fine della guerra civile. La periferia sud, e in particolar modo Haret Hreik, sono quasi completamente di composizione sciita; i loro abitanti sono tutti radunati qui oggi per un unico motivo: l’Ashura.
Letteralmente “il decimo giorno” del mese di Muharram, il primo del calendario islamico, l’Ashura è la ricorrenza più importante per la comunità sciita. Commemora infatti la battaglia di Kerbala e il massacro dell’Imam Hussein e dei suoi seguaci da parte dell’esercito Omayyade. Siamo nel primo secolo dello sviluppo dell’Islam: alla morte del profeta due fazioni si trovano contrapposte nella contesa del potere. È in questo periodo che avviene lo scisma che determinerà la distinzione tra Sunniti e Sciiti: i primi fedeli ad Abu Bakr, indiretto parente di Muhammad, gli altri seguaci di Ali, cugino del profeta. Secondo la liturgia Sciita, Hussein è considerato il terzo legittimo Imam e sul suo martirio si basa gran parte dell’evoluzione del pensiero e della teologia della fazione minoritaria dell’Islam.
La commemorazione non ha carattere esclusivamente religioso, ma ha una componente politica intrinseca molto forte e porta in sé molti caratteri distintivi dello sciismo, primo tra tutti lo spirito di sacrificio. È principalmente questo che oggi si celebra, a Beirut come in altre centinaia di città attorno al globo: un gesto che ha ispirato generazioni di credenti, oggi rievocato nella sua matrice storica e ricontestualizzato nella realtà odierna, con nuovi attori, nuovi nemici e nuove battaglie.
Hezbollah segue l’interpretazione religiosa dell’ayatollah iraniano Khamenei e ciò ha influito su molte delle pratiche legate al culto sciita, tra cui anche le modalità della commemorazione dell’Ashura. Quest’ultima è spesso associata ad un rito molto cruento e spettacolare, dove i partecipanti, vestiti di bianco, si incidono la fronte con dei rasoi e si colpiscono ripetutamente le ferite in modo da far zampillare continuamente il sangue.
Fenomeni simili sono ancora presenti anche in Libano: ad esempio nella città di Nabatiye è così che ancora oggi viene commemorata la ricorrenza. Ma nell’intento di “ripulire” la faccia dell’Islam da riti che le conferiscono un aspetto macabro e minaccioso, Hezbollah segue i precetti iraniani vietando nel modo più assoluto tali pratiche. In sostituzione, il partito suggerisce di donare il sangue così che oltre alla penitenza nel ricordo di Hussein venga compiuta anche un’azione utile al prossimo.
Durante le preparazioni del corteo tutte le strade attorno alla piazza di partenza sono bloccate e sorvegliate dal servizio di sicurezza del partito. Mentre sempre più persone continuano ad arrivare, molti sono già alle loro postazioni per la marcia. Dagli altoparlanti disseminati lungo l’enorme stradone che collega le due piazze, si ascolta l’ultima storia, quella che spinge molti dei presenti a tenersi la faccia tra le mani e singhiozzare: è la storia dell’uccisione di Hussein, colpito a morte e poi decapitato. Nei dieci giorni precedenti, radunati nelle moschee, i fedeli hanno ascoltato ogni sera le diverse storie dei seguaci dell’Imam: giorni in cui la comunità rinsalda i propri legami di solidarietà con molti momenti di condivisione, aggregazione e mobilitazione politica.
Arrivato al culmine dell’episodio, a piangere è anche l’uomo che sta raccontando la storia al microfono, accompagnato da ormai moltissimi di quelli che lo circondano. Una bambina di quattro anni gira sventolando una bandierina vicino a una fila di uomini in sedia a rotelle: è la figlia di un martire morto in battaglia, come tutti è vestita di nero e anche se giovanissima ha solo il volto scoperto. La foto del padre vestito da soldato è in bella mostra, stampata su una spilla attaccata sul suo petto. Nei suoi occhi chiari non sembra esserci tristezza, eppure già sa che suo padre non tornerà più, le hanno insegnato ad essere fiera del suo sacrificio.Suo padre è morto per lei, è morto per tutti coloro che sono lì.
Sarà la comunità ad occuparsi di questa figlia della resistenza: enti creati appositamente dal partito si preoccupano di provvedere all’istruzione degli orfani e al mantenimento delle famiglie che hanno votato uno o più membri al sacrificio.
Gli uomini in sedia a rotelle invece sono ex combattenti. Ognuno di loro ha una storia violenta, spesso raccontata nei tatuaggi che porta addosso: uno di loro, ferito in Siria nel 2013 mostra i rivoli d’inchiostro che sul dorso della sua mano cesellano in lettere arabe il nome del suo migliore amico ucciso in battaglia.
Accanto a lui c’è Hussein Mikdad, primo uomo di Hezbollah che nel 1996 è riuscito ad infiltrarsi in Israele spacciandosi con un passaporto falso per un contabile inglese. Il suo obiettivo era preciso: far esplodere un ordigno che provocasse il più danni possibile. Elusi i controlli israeliani, non è però arrivato a compiere la sua missione, detonando per sbaglio la bomba nella sua stanza d’albergo a Gerusalemme.
Arrestato e interrogato per anni, Hussein, unico ad essere stato colpito dall’esplosione, è stato scambiato con dei prigionieri israeliani ed ha fatto ritorno a Beirut. Famoso anche nella cronaca internazionale, del suo corpo resta ben poco: è cieco e quasi completamente sordo, non ha più le gambe e solo una mano con tre dita, ma la sua presenza ha un’aura di sacralità durante la marcia, forse anche grazie all’omonimia con l’imam di Kerbala. Ognuno dei presenti gli porge i suoi omaggi, gli bisbiglia parole di devozione all’orecchio da cui sente e cerimoniosamente bacia lui e gli altri ex combattenti. Insieme ai martiri, considerati immortali, sono loro quelli che più si avvicinano alla figura di Hussein, degni del massimo rispetto della comunità e simbolo della disposizione al sacrificio.
“Ci sono ragazzi che aspettano di compiere diciott’anni solo per potersi arruolare e far parte della resistenza militante”, dicono Hassan e Mohammed. Loro partecipano all’Ashura da che hanno memoria e da sei anni coordinano uno dei gruppi di giovani universitari che prendono parte alla marcia: “Non ha importanza il tuo ruolo nella società, gli uomini lasciano la famiglia, il lavoro e tutto quello che hanno per andare a combattere”.
Sono le foto di questi ragazzi, ormai martiri (alcuni poco più che maggiorenni), che riempiono le strade del quartiere: fucile in spalla, abiti militari, sorridenti. Hezbollah è riuscito a creare quella che viene definita “società della resistenza”, dove attività militare e attività politica sono strettamente interconnesse e cucite a filo doppio dall’identità religiosa. I suoi membri ne sono educati fin dalla nascita. I giovani aprono il corteo, subito dietro la banda che adesso suona. Bambini dalle scuole elementari e giovani scout sciiti affiliati ad Hezbollah iniziano a seguire lo stesso percorso dei loro padri e fratelli. Ora cantano i loro stessi cori battendosi il petto allo stesso modo.
Le bandiere di Hezbollah, del Libano e della Palestina sfilano compatte; insieme a loro sventolano enormi bandiere nere con scritto in rosso “Ya Hussein”, la stessa formula che tutti gridano in coro, “Oh Hussein!”. “Questo è per te Hussein!”, è il secondo slogan che si alza dalla folla mentre ognuno si batte il petto a ritmo con gli altri. Un unico grande boato ad ogni colpo lascia trasparire la coordinazione da parata militare.
Ma Hussein non è l’unico ad essere invocato. Ben presto, i presenti aggiungono al suo nome e a quello dei suoi seguaci quello dell’attualissimo leader del partito: Hassan Nasrallah. Ed è lui a ricordare quanto in realtà questa manifestazione abbia una fortissima rilevanza politica e propagandistica: da un enorme schermo montato nella piazza d’arrivo del corteo apostrofa la folla che lo aspettava. La sua apparizione è in video, non mostrandosi in pubblico da parecchi anni per motivi di sicurezza.
La piazza trabocca di gente: non solo dalla strada, ma anche dai balconi e dai tetti circostanti sono venuti ad ascoltare ed acclamare il loro leader e le aspettative della folla non vengono disattese.
“Oggi, tutte le persone riunite qui nella periferia sud di Beirut, nella Beqa, nel sud del paese e in tutta la regione dimostrano che il sangue dell’Imam Hussein ha sconfitto la spada”. Così saluta la folla che fremente lo ascolta: le bandiere sono ferme, il sole è ormai alto sul silenzio che è calato sulla piazza. Le parole del capo riecheggiano in tutto il quartiere: “Hezbollah in questo giorno rinnova il proprio appoggio alle popolazioni della Palestina, Yemen e Bahrain […] considerando dovere di ogni arabo e di ogni musulmano denunciare e combattere gli atti di oppressione di Israele ed Arabia Saudita”.
Continua apostrofando direttamente Israele, denunciando i tentativi di sabotare il partito nell’acquisire missili di precisione in Siria, altro teatro di guerra in cui Hezbollah è presente già dal 2012. “Ebbene, ora quei missili li abbiamo, ne vedrete gli effetti.”
Le parole di Nasrallah, che gode del titolo di Sayyed, ovvero discendente del profeta, si inseriscono in un complicato e instabile equilibrio geopolitico regionale, con tensioni quiescenti soprattutto al confine tra Libano e Israele. La “transnazionalità” di Hezbollah è un altro fattore determinante dell’influenza e del coinvolgimento nella regione: compartimenti militari del partito sono stati presenti in Siria, Iraq e Yemen, dove tutt’oggi continuano a giocare un ruolo rilevante (a sostegno rispettivamente del governo siriano, della minoranza sciita irachena e dei ribelli Houthi).
Alla presenza militare si intreccia quella politica all’interno del Libano, dove il partito è riuscito a guadagnare una larga fetta di consenso della popolazione (non solo sciita). Alle elezioni di maggio, a capo di una coalizione formata da partiti di ispirazione islamica (sia Sunniti che Sciiti) e pro regime siriano, Hezbollah è riuscito a diventare la prima forza politica del paese, garantendo alla propria coalizione ben 43 seggi in parlamento su 128, capovolgendo così gli equilibri politici esistiti fino ad ora.
Sebbene il discorso sia registrato e Nasrallah non appaia in pubblico, la sua legittimità è salda: è perfettamente in grado di animare la massa, incitandola a continuare a prestare supporto nella militanza del partito e a perseverare nella resistenza contro gli oppressori (Israele, Stati Uniti e Arabia Saudita, nda). Le bandiere tornano a sventolare e il caldo di mezzogiorno non intimorisce chi è lì sudato a esultare per quello in cui crede ciecamente. L’egemonia all’interno del quartiere è evidente; tuttavia, una componente sciita che non aderisce ad Hezbollah esiste, ma oggi non si vede, le strade e le piazze di Dahiye1 sono del Partito di Dio.
La folla esplode in un boato al saluto finale: “Ogni giorno per noi è Ashura. Abbiamo scritto: «siamo al tuo servizio, oh Imam Hussein» con il sangue e con pazienza. Che la pace sia con voi”.