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Coronavirus: una mutazione antropologica

Tülay Umay – Jean-Claude Paye 02/09/2020
Conosciamo bene il concetto di stato di emergenza. Fa parte della nostra vita da una ventina d’anni, sia che lo stato d’emergenza sia stato dichiarato, come in Francia, sia che sia semplicemente il risultato di una costante trasformazione del diritto penale che distrugge, in nome della “lotta al terrorismo”, l’essenziale delle libertà collettive e individuali. Questo processo, il cui scopo è la soppressione dello Stato di diritto, è stato definito “stato di emergenza permanente”.

Tradotto da Alba Canelli
A questa trasformazione, a livello giuridico, si è ora aggiunta la nozione di “stato di emergenza sanitaria”. Qui, in uno stato di emergenza sanitaria, la legge non è sospesa o addirittura abolita, non ha più motivo di esserlo. Il potere non è più diretto ai cittadini, ma solo ai malati o ai potenziali portatori di virus.
Quando il diritto è sospeso in stato di emergenza o soppresso in una dittatura, il suo posto rimane, anche se non è occupato. Nello “stato di emergenza sanitaria”, è proprio il suo posto che scompare. Il diritto non è più semplicemente sospeso o soppresso, ma espulso. Chiuso, è semplicemente posto al di fuori del discorso, come se non fosse mai esistito. 
Rinunciare alle nostre libertà…
La “lotta al terrorismo” ha permesso di sopprimere la maggior parte delle libertà pubbliche e private, attaccando atti concreti, ma soprattutto intenzioni attribuite alla persona perseguita, se queste sono “destinate a fare pressione su un governo o un’organizzazione internazionale”. La lotta al terrorismo segna la fine della politica (1). 
Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, la nozione di guerra è stata introdotta nel diritto penale attraverso la lotta al terrorismo e permette al potere esecutivo di designare, come nemici, i propri cittadini e gli avversari politici. Questa lettura ridefinisce la nozione di guerra. Gli conferisce un carattere asimmetrico, quello di una “lotta all’ultimo sangue” tra uno Stato e persone designate come nemici. Possono così attaccare le libertà costituzionali dei cittadini, ma anche il loro Habeas Corpus, la loro capacità di disporre dei loro corpi (2).
Qui, nella “lotta contro il coronavirus”, il corpo non viene sequestrato, la sua cancellazione deve essere accettata dagli individui. Di loro iniziativa, devono rinunciare a ciò che li rende umani, a tutti i rapporti sociali, a tutti i rapporti con gli altri. Devono prendere parte a misure di distanziamento, di limitazione rigorosa dei contatti, accettando il divieto di ciò che può fare da collegamento: respingere eventi che possono costituire l’immagine di un “noi”, naturalmente eventi politici, ma anche culturali o addirittura sportivi.
La vita quotidiana si riduce a una prescrizione sacrificale. Tutti gli individui sono allo stesso tempo passivi e attivi, eroi e vittime. Si sottomettono all’autorità e, allo stesso tempo, adottano di propria iniziativa misure assurde e degradanti. Essi provvedono alla partecipazione di tutti all’uso delle maschere e alle misure di distanziamento. Essi costituiscono individui “in marcia” nel loro sacrificio.
La “guerra contro il coronavirus” fa parte di un processo che va avanti da una ventina d’anni. Qui, però, non sono solo la persona giuridica e il diritto di disporre del proprio corpo ad essere confiscati direttamente, ma l’esistenza stessa dell’individuo sociale, il suo futuro e il suo rapporto con gli altri. I diritti politici dei cittadini non vengono smantellati, nella misura in cui non devono intervenire in una crisi sanitaria. Sono semplicemente preclusi.
Rinunciare alle nostre vite!
Fondendo la guerra e la pace, nel quadro della “guerra contro il terrorismo”, il potere esige una rinuncia permanente alle nostre libertà. Nella “guerra contro il coronavirus”, ci viene chiesto di cedere la nostra vita a dei dei oscuri, che chiedono sempre più sacrifici (3). Questo include l’accettazione di un vaccino con tutti i suoi pericoli. Dobbiamo confinarci e sopprimere tutte le relazioni sociali. Poiché un vaccino non può, per sua natura, occuparsi di un virus mutante, la sua funzione è diversa. Gli straordinari vantaggi che l’industria farmaceutica potrà trarne sono solo l’aspetto secondario della questione. L’aspetto principale sta nel controllo della nostra esistenza, ma soprattutto nella possibilità offerta al capitale, grazie all’introduzione dei chip, di modellare il nostro corpo e la nostra psiche secondo i suoi interessi, secondo le esigenze della produzione e del dominio politico. L’instaurazione di un transumanesimo, una mutazione antropologica è la questione principale che dobbiamo affrontare oggi. La guerra contro il coronavirus è solo uno degli elementi di questa strategia globale, economica, politica e antropologica.
La volontà politica di appropriarsi della vita umana, di farne una merce, deve essere basata sul consenso del popolo. La vicenda del coronavirus fa parte della fabbricazione del consenso degli individui alla propria distruzione in quanto esseri umani. È anche attraverso questo numero che dobbiamo leggere l’adozione da parte dell’Assemblea nazionale francese del progetto di legge sulla bioetica (4) che fa parte di questo progetto di mutazione antropologica. Oltre alla misura emblematica dell’apertura della PMA (procreazione medicalmente assistita) alle coppie lesbiche e alle donne single, essa prevede una riforma della filiazione. Allo stesso tempo, autorizza l’autoconservazione degli ovociti e la ricerca sulle cellule staminali embrionali. Tutte queste riforme rispondono agli obiettivi biopolitici della lotta contro il coronavirus, la creazione di un uomo nuovo che non è più umano.
Una guerra contro la “persona”
La “guerra contro il coronavirus” fonde malattia e guerra. Il cittadino è, o può solo diventare, un malato, al quale la cosiddetta “scienza”, attraverso i suoi rappresentanti mediatici e politici, deve dire come comportarsi. La responsabilità, a livello di lotta contro la malattia, sarebbe meno collettiva che individuale. “Solidaire, je suis chez moi” (In solidarietà, resto a casa), è l’ingiunzione inscritta da una campagna di affissione in Belgio. Richiede un impegno ritualizzato della propria persona, un impegno di natura monadica, tagliato fuori da ogni rapporto con gli altri. Questa lotta contro l’invisibile è speciale, perché si tratta prima di tutto di consegnare le proprie armi, di abbandonarsi alla propria distruzione “convivendo con essa” e, infine, di godersela.
Questa guerra contro il coronavirus non è più solo la guerra di tutti contro tutti, la guerra teorizzata da Thomas Hobbes, ma anche la guerra dell’individuo contro se stesso. Richiede non solo il sacrificio dei nostri diritti e del nostro corpo, poiché la lotta contro il terrorismo era già iniziata, in particolare nella distruzione dell’Habeas Corpus dei cittadini, ma anche l’abbandono di tutta la nostra vita. La “guerra contro il coronavirus” anticipa così la nuova riorganizzazione della produzione capitalistica, di cui deve promuovere l’attuazione. Come ci mostra la generalizzazione dello smartworking per “affrontare l’epidemia”, tutto il tempo di vita diventa tempo di lavoro.
In questa mutazione politica, economica e sociale non c’è più alcun riferimento al diritto. Quest’ultimo è posto fuori dal campo di applicazione. Cede il passo al sacrificio, all’abbandono ritualizzato di sé alle ingiunzioni di morte, attraverso l’uso di maschere, al distanziamento e alle abluzioni ripetute. I diritti di guarire e di essere guarito sono aboliti. I cittadini sono confinati, per favorire la trasmissione della malattia. I medicinali utilizzati per il trattamento sono ritirati e ne è vietata la vendita. Ogni momento della nostra esistenza si riduce alla retorica di una mobilitazione permanente contro un’epidemia che, in realtà, non viene combattuta.
Pignoramento del diritto e preclusione del soggetto
Le diffuse misure di lockdown adottate nel contesto della “pandemia” fanno parte di una sfida al diritto dei cittadini di disporre del proprio corpo. Tuttavia, non si tratta di sequestro del corpo, per confinarlo, ma di pignoramento (5). Per legge, il pignoramento è “l’effetto che la legge attribuisce ad una scadenza, prescrizione o decadenza”.(6)
Di conseguenza, gli individui non sono più in grado di esercitare le loro libertà, poiché il tempo per esercitarle è passato. I loro diritti sono pignorati. Il diritto come significante è anche precluso, chiuso fuori, non solo dimenticato, ma percepito come mai esistito. Il diritto e le libertà ad esso connesse non sono più validi in una situazione di “emergenza sanitaria”. La questione della validità delle disposizioni, del confinamento o del confinamento, non può sussistere, dovendo l’individuo comportarsi come se la domanda non avesse posto.
Questo meccanismo giuridico che chiude la legge, che la pone fuori dalla vita politica e sociale, “così lontana da non poter essere ritrovata”(7), trova un’eco anche nell’approccio psicoanalitico. La nozione di “pignoramento” sviluppata da Jacques Lacan significa “bloccare fuori”, o “chiudere fuori”. Per il soggetto, ciò che viene respinto nella psicosi non sarà mai esistito. Lacan lo formula così: “Con questo non possiamo dire che un giudizio sia stato effettivamente emesso sulla sua esistenza, ma è stato come se essa non fosse mai esistita”. Il pignoramento traduce allora il ritiro di un significante dall’universo simbolico di un soggetto, quello del “Nome del Padre”(8), che significa non solo “dimenticato”, ma percepito come non avendo mai avuto una qualsiasi realtà.
Il concetto del “Nome del Padre” condensa in sé tutta una serie di significati: legge, nome, genealogia, filiazione (9). Il simbolico, come struttura, forma e fonda la realtà umana. È questa dimensione simbolica che, qui, nella guerra contro il coronavirus, non ha posto (10).
Se c’è pignoramento del Nome del Padre, o fallimento della metafora paterna, significa che l’accettazione da parte degli individui di assurde misure dannose per la loro integrità mentale e la loro salute fisica, come l’indossare una maschera, il confinamento o l’il distanzamiento sociale, si traduce nella loro collocazione nella posizione di essere il “fallo immaginario” della madre simbolica, della figura statale. Si pongono come neonati, posti in un doppio rapporto con questo potere materno. Per il desiderio di poter inscrivere il reale, l’argomento viene costantemente ripreso da esso. Incapace di pensare il reale, diventa il suo scarto.
La maschera come cancellazione del viso
L’obbligo di indossare la maschera cancella il volto e, quindi, intima all’individuo di rinunciare alla propria umanità. Nella “pandemia” del coronavirus, quest’obbligo sopprime tutti i faccia a faccia. L’occultamento del volto è un segno di personalità alterata. Porta a una rottura del rapporto dell’individuo con le persone a lui vicine e a una rottura delle relazioni sociali. Indossare una maschera porta ad un ritiro, ad un isolamento che mette in discussione la nozione stessa di individuo, poiché questa nozione procede dall’esterno, in relazione agli altri (11).
Già per i romani la maschera, indossata dagli attori, “è una potenza che esce dall’oscurità, dall’invisibile e informe, dal mondo dove non c’è più il volto”(12). Riflette l’impossibilità di qualsiasi rapporto. Tra i romani e nella nostra società, “esporsi come volto è un luogo significativo di relazione con la politica, di relazione con l’altro: individuale o di gruppo”(13).
Indossare una maschera, come cancellazione del volto, è quindi la soppressione del faccia a faccia, del rapporto con l’altro. E’ anche una perdita di faccia rispetto al potere. Riflette la fine della politica, di ogni possibilità di confronto.
Infatti, avere un volto è ciò che risponde, nel registro immaginario, ad avere un nome nel registro simbolico. Avere un volto è diventare come una persona. Il volto è ciò che mostra e nasconde il soggetto nel suo rapporto con i simili. Il volto, per qualsiasi soggetto, è l’esterno. È la maschera che serve da esca nelle relazioni umane.
Chi indossa la maschera del “coronavirus” è senza volto ed è quindi escluso dal gioco delle apparenze. Si riferisce ad un’immagine spalancata, da cui chi la indossa non può essere assente. E’ scritto in trasparenza. È solo ciò che mostra: il confinamento nel reale, la fusione con lo sguardo del potere. In modo che chi indossa la maschera non sia più una persona, ma diventi semplicemente nessuno. La perdita del volto induce così un passaggio dalla persona alla non persona (14).
La maschera: una mutazione antropologica
Inizialmente, indossare una maschera non era raccomandato dall’OMS. E’ stato poi raccomandato. Ora che la malattia è quasi debellata, questo vincolo sta diventando imperativo in diversi paesi, come il Belgio (15) dove non è oggetto di una legge. È quindi illegale in questo caso, così come lo sono le misure di contenimento o di distanziamento. In Francia (16), il contenimento è stato imposto, nonostante gli errori procedurali, e quindi al di fuori delle regole imposte da uno Stato di diritto. La legge è preclusa, e il discorso, i media e le forze politiche governative o locali lo riducono a un imperativo categorico. Ciò che si cerca è un’adesione illimitata. Attraverso l’esibizione della loro sottomissione e la rigorosa osservanza ritualizzata di paradossali ingiunzioni governative, il popolo dà un senso al nonsenso, conferendo così un carattere sacrificale alle ingiunzioni del potere.
La stretta osservanza degli individui dà carne all’immoderazione, a comandamenti assurdi e pericolosi. Questi rituali sono sempre più lontani da qualsiasi giustificazione, sia legale che medica. I singoli devono accettare il distanziamento e l’ingiunzione di coprirsi il volto come atti di pura sottomissione e chiedere nuove rinunce. Per i popoli non si tratta più semplicemente di rimanere passivi di fronte a un discorso derealizzante, come quello della lotta al terrorismo, ma di essere “in marcia”, di partecipare attivamente al suo stesso annientamento.
Chi indossa la maschera esprime così il suo consenso alla creazione di un “uomo nuovo”, libero da vincoli antropologici e simbolici. L’uomo mascherato è portatore di una nuova antropologia, perché indossare una maschera significa rinunciare ad avere un corpo e non avere più un corpo significa non essere più sessuati. Non essere né uomo né donna. Le misure imposte nella gestione del coronavirus fanno parte di un cambiamento nella società che distrugge ogni ordine simbolico. L’uomo mascherato è in sintonia con l’umano, ne uomo ne donna delle riforme sulla procreazione, così come con il metà uomo e metà macchina delle leggi di bioetica.
Note
1-Jean-Claude Paye, La fin de l’État de droit. De l’état d’exception à la dictature, La Dispute, Paris 2004 et « Pas de droit en Etat d’urgence », Libération, le 18 mars 2004, https://www.liberation.fr/tribune/2004/03/18/pas-de-droit-en-etat-d-urgence_472895
2-Jean-Claude Paye, « Royaume Uni, menaces sur l’Habes-corpus », Le Monde, le 13 avril 2005, https://www.lemonde.fr/idees/article/2005/04/13/royaume-uni-menaces-sur-l-habeas-corpus-par-jean-claude-paye_638494_3232.html et « Le modèle anglais », Université de Caen Normandie, CRDF, no 6, 2007, p. 71-8 https://www.unicaen.fr/puc/html/ecrire/revues/crdf/crdf6/crdf0606paye.pdf
3-Jean-Daniel Causse, « Le christianisme et la violence des dieux obscurs, liens et écarts », AIEMPR, XVIIe congrès international, Religions et violence ?, Strasbourg, 2006, p.4.
4-« Loi bioéthique : l’Assemblée adopte le projet de loi en deuxième lecture », Le Monde avec AFP, le 1ier août 2020,
5-La forclusion désigne le “défaut d’inscription dans l’inconscient de l’épreuve normative de la castration” . Dans la psychose la castration est rejetée par le moi qui se comporte comme si elle n’était jamais advenue, NASIO, J.-D., (1988), Enseignement de 7 concepts cruciaux de la psychanalyse. Paris, Payot, 1992, p. 223. 
7–Solal Rabinovitch, « Enfermés dehors »,,http://epsf.fr/wp-content/uploads/2016/05/Solal_Enferme%C4%97s-dehors.pdf
8 Forclusion du Nom du Père, ou échec de la métaphore paternelle, cela veut dire que le patient reste coincé dans une position d’être le phallus imaginaire de la mère. Et il y est tellement identifié que cette position devient du réel pour lui.
9- Ibidem.
10-La définition de la forclusion, carnets2psycho, https://carnets2psycho.net/dico/sens-de-forclusion.html
11-Françoise Frontisi-Ducroux, Du masque au visage, Champs Flammarion, p.68.
12-Françoise Frontisi-Ducroux, Op.Cit., p.38.
13-Dario Morales, « Le sujet sans visage », Ecole de la Cause Freudienne, https://www.causefreudienne.net/le-sujet-sans-visage/
14-Ibidem, p.215.
15-Nicolas Thirion, « Pourquoi l’arrêté ministériel est illégal », La Libre, le 6 août 2020, https://www.lalibre.be/debats/opinions/pourquoi-l-arrete-ministeriel-covid-est-illegal-5f2bec38d8ad586219049846
16-L’avocat Me Brusa établit l’illégalité des amendes pour “non port du masque”, Covidinfos.net, le 24 juillet 2020, https://covidinfos.net/experts/lavocat-me-brusa-etablit-lillegalite-des-amendes-pour-non-port-du-masque-document-juridique-telechargeable/1297/