Cronaca di una solidarietà particolare ai Rosiers, quartiere popolare di Marsiglia, in tempo di pandemia
Rabha Attaf 01/06/2020 |
Ero lontana chilometri dall’immaginare che un giorno mi capiterebbe creare, ai Rosiers, un « piano pacchi » come si crea un « piano narcotici »!
Tradotto da Silvana Fioresi
In questo quartiere popolare del 14° arrondissement di Marsiglia, in cui il passaparola va alla velocità della luce, appena si sa di una distribuzione, gli abitanti si precipitano a grappoli, solo per paura di perdersi qualcosa e non solo per bisogno. Allora, per non essere sommersi dalla folla, ho fatto appostare delle “vedette”, per recuperare le persone precedentemente iscritte sulle nostre liste di richieste di aiuto. Queste sono state contattate una per una al telefono per presentarsi in un posto che cambia ad ogni distribuzione. Da quel posto, una guida le porta al punto di consegna che rimane segreto.
Il 30 aprile, per la prima volta dall’inizio del confinamento, ho quindi distribuito 43 pacchi alimentari – recuperati presso la piattaforma solidale del McDonald’s occupato e autogestito di Saint-Bartélémy di cui ringrazio l’equipe formidabile – ad alcune famiglie di immigrati clandestini comoriani, e il 6 maggio, 33 pacchi ad albanesi richiedenti asilo. Stessa cosa il giorno dopo, per dei nigeriani richiedenti asilo, e per altre famiglie non abbienti iscritte giorno dopo giorno – in totale 108 – senza contare il piano pannolini e latte in polvere – grazie a Massalia Couches System che ci ha permesso di aiutare delle mamme tra due bucati di pannolini in tessuto.
Per sostenere le famiglie rese materialmente vulnerabili dal confinamento, abbiamo agito ai Rosiers, insieme all’Associazione Solidarietà e Famiglie dei Rosiers, come in un campo di rifugiati verticale, con dei referenti in ogni comunità che hanno preso parte a ogni decisione. Sono stati loro a costituire le liste delle famiglie da aiutare e che hanno assicurato la distribuzione. Questo sistema ci ha permesso di evitare le degradanti code sotto gli edifici dove gli abitanti, divenuti oziosi, osservavano il minimo movimento dalle loro finestre o dagli ingressi delle case popolari.
Come siamo giunti fino a questo punto? Già durante la seconda settimana di confinamento sono stata contattata dall’Associazione Solidarietà e Famiglie dei Rosiers con la quale Confluences, l’ONG che presiedo, ha iniziato ad organizzare, insieme a “I Samurai” , associazione ecologica del sud di Marsiglia, un progetto di ristrutturazione degli spazi verdi del quartiere basato sul metodo del giapponese Miyawaki (1). I responsabili di questa associazione di abitanti non aveva apprezzato che, a fine marzo, dei fondi fossero sbloccati a nome loro, senza che nessuno li avesse informati. “Ci fanno passare per dei morti di fame che non possono nutrire i loro figli!” mi aveva confidato Abou (il nome è stato cambiato), uno di loro, ferito nel suo amor proprio. Mi ha mostrato il testo molto allarmante e pessimista della prima “raccolta fondi per le famiglie dei Rosiers”, messa online sul sito di crowdfunding Leetchi in modo precipitoso con una foto molto inquietante del quartiere Corot che fungeva da illustrazione. Era talmente serio che non sapevo se piangere o ridere; oppure se si trattasse di un falso, visto che ho scoperto la copia di questa raccolta fondi su un altro sito ma firmato con un altro nome.
Il danno era fatto. L’autore di questa raccolta aveva probabilmente delle buone intenzioni, ma era anche abbastanza furbo da ingigantire i fatti per aumentare l’emozione… e quindi i doni. “Ho paura che i miei allievi muoiano di fame prima della fine del confinamento. Ho paura di non ritrovare la mia classe al completo quando tornerò a scuola tra qualche settimana. Ho paura che la mia piccola tribù di 7 anni sia decimata dalla miseria”, concludeva il maestro. L’inferno è certo basato su buone intenzioni, ma ogni persona, soprattutto quando si trova in situazione di vulnerabilità materiale o psicologica, ha diritto al rispetto! “A causa di questa raccolta, ci hanno trattati da parassiti sui social”, insisteva Abou. “Non ti offendere”, gli ho risposto, “non sanno quello che fanno”. Senza rendersene conto Abou mi aveva lanciato una sfida. Fare in modo che i Rosiers siano autosufficienti e non dipendano dall’aiuto alimentare esterno. I miei interlocutori comoriani ne hanno fatto una questione d’onore.
Abbiamo quindi deciso di basarci sull’aiuto reciproco naturale delle famiglie e dei vicini per creare un sistema di solidarietà interna al quartiere, basato su regole di dignità implicite. Quindi non se ne parlava neanche di fare delle code spettacolari e potenzialmente propagatrici di Covid-19! La solidarietà dei poveri non ha aspettato il confinamento per esistere. Bisognava semplicemente doparla per farne un dispositivo organizzato e duraturo. Questa solidarietà si riassume a una sola parola: ripartizione (ouze3a in arabo), tradotto comunemente con condivisione. Quindi stava a noi fare in modo che nessuno avesse fame ai Rosiers, neppure le famiglie comoriane, più numerose, tra cui gli esiliati di ogni orizzonte si sono rifugiati nel quartiere dall’estate scorsa. L’aumento della pietà prima e durante il mese di Ramadan ci avrebbe aiutato. Più precisamente: gli abitanti dei Rosiers sono per la maggior parte dei nuovi arrivati che hanno ancora mantenuto i legami familiari allargati, formando così delle piccole comunità rurali con i loro capi clan. Il legame collettivo si sente ancora forte come anche l’aiuto reciproco spontaneo.
Allora, dopo qualche telefonata, abbiamo iniziato a distribuire nel quartiere – grazie ai doni privati di persone che preferivano mantenere l’anonimato – 200 kg di cosce di pollo, 400 kg di farina e 75 litri di olio. Bisognava rompere la siderazione provocata dall’arresto forzato della vita sociale, nell’attesa di un aiuto istituzionale. Parallelamente abbiamo sbloccato dei fondi per distribuire discretamente un aiuto finanziario alle famiglie in difficoltà, segnalate dai vicini. Grazie all’intervento del coordinatore della comproprietà, abbiamo anche ottenuto che un terzo dei comproprietari-locatori dei Rosiers cessassero di richiedere il resto degli affitti ai loro rispettivi locatari – dai 100 ai 200€ ad alloggio – il che rappresenta un aiuto non da poco. Ma arrivati a fine aprile, la richiesta di aiuto è esplosa – prima dell’arrivo degli aiuti sociali. In tempo normale, i fine mese sono difficili per la maggior parte delle famiglie. Questa reclusione forzata ha avuto come effetto quello di provocare la paura dell’indigenza, a causa dell’incertezza del domani – a questo proposito, leggete l’eccellente studio «Chi si sente povero in Francia » (2).
Abbiamo scelto di non pubblicare richieste di fondi su internet per non dipendere da una manna caduta dal cielo, e soprattutto per rompere il ciclo vizioso dell’assistenzialismo. Per far questo abbiamo attivato le nostre rispettive conoscenze tra familiari e amici, commercianti e imprenditori che fossero vicini al quartiere. Senza dimenticare l’unità di Sostegno dei Comoriani covid-19 che regolarmente ci ha consegnato cesti di frutta e verdura bio offerti da una produttrice dei Milles, piatti sottovuoto preparati da un ristoratore di Allauch – le sue vaschette sono state distribuite ai bambini rumeni che vivono nei furgoni o in squat, insieme ai prodotti che talvolta l’associazione Sara Logisol gli distribuiva.
Il nostro obiettivo era di tener duro aspettando di passare la mano a un aiuto istituzionale. Alla fine questo si è manifestato attraverso un «Collettivo dei Rosiers » che riuniva gli insegnanti del luogo e le loro raccolte fondi, la « territoriale » della metropoli, l’ADDAP13 [Associazione di mediazione e coesione sociale a Marsiglia, ndt] organizzato dalla prefettura, il Dipartimento e anche Vendredi 13 [Associazione di aiuto e sostegno a Marsiglia, ndt] (3). Questi operatori hanno iniziato a distribuire i loro pacchi, con l’aggiunta di frutta e verdura consegnati dalla metropoli, soltanto il 9 e il 10 aprile nella nostra zona, con un punto di distribuzione settimanale al Centro Sociale Saint Gabriel e un altro alla scuola Clair Soleil. La settimana prima avevo visto un camion rosso della metropoli distribuire al volo e direttamente dalle cassette della verdura lungo una strada, proprio davanti alla Marina Blu, provocando un assembramento che annullava le misure sanitarie raccomandate.
Noi ci siamo certo rallegrati che questo aiuto finalmente fosse arrivato, anche se tardi, e anche se questa unità non ha mai « calcolato » (preso in conto] l’Associazione degli abitanti dei Rosiers e il dispositivo che abbiamo creato, in particolare riguardo l’individuazione delle famiglie più bisognose. Finalmente avremo potuto respirare! Ma il modo di selezione degli «aventi diritto » ci ha lasciato molto dubitativi. Questa unità ha formato le sue liste senza un censimento approfondito sul posto. Ha funzionato con liste chiuse, visionate da assistenti sociali della Casa dipartimentale della Solidarietà dei Flamands. Soltanto 36 famiglie si presentavano al Centro Sociale Saint Gabriel e 30 a Clair Soleil, soprattutto genitori degli alunni degli insegnanti. Ho solo visto passare l’educatore dell’ADDAP 13 che consegnava dei pacchi e degli assegni di servizi al pubblico selezionato per il quale era stato mandato, cioè dei rom insediati in camper o in squat, e anche una famiglia bosniaca e un’altra siriana messa in alloggi.
Risultato: i pacchi istituzionali non hanno mai raggiunto la maggior parte delle famiglie più in difficoltà dei Rosiers, composte da clandestini comoriani, tunisini o algerini, da richiedenti asilo nigeriani, maliani, albanesi, bosniaci, serbi e croati, sapendo che quelle originarie dei Balcani vivono in famiglie allargate – dalle 8 alle 12 persone – nello stesso alloggio. Non ho mai capito perché i vari poteri pubblici non hanno mobilitato i loro agenti per fare un censimento come si deve. Sarebbe bastato appoggiarsi all’associazione dei locatari per avere delle liste più esaustive. A meno che per abitudine – cosa stupida in situazione eccezionale – la metropoli, il dipartimento e il comune non abbiano scelto di affidarsi unicamente agli assistenti sociali, anche se confinati, agli insegnanti e ad alcuni centri sociali.
Naturalmente ho contattato il Centro Sociale Saint Gabriel e la «territoriale» della metropoli per denunciare questa anomalia di misurazione. Stessa risposta dai due fronti: i mezzi sono limitati e non si può fare un richiamo d’aria – sottintendendo non mandare nessuno al punto di distribuzione ufficiale per richiedere un pacco. Un pregiudizio di pensiero dovuto probabilmente al solito dannato sospetto verso i poveri e gli stranieri. Delle persone aventi delle reali necessità, ma non iscritte sulle liste istituzionali, mi hanno segnalato di essere stati rigettate durante la distribuzione al Centro Sociale o al Clair Soleil. Al loro arrivo, è stato loro chiesto se avevano un biglietto – immagino consegnato preventivamente agli «aventi diritto» durante la precedente distribuzione. In mancanza di questo, è stato dato loro un numero di telefono del Soccorso popolare già saturo… e rema la barca!
Colpita da tanta crudeltà, ho comunicato le mie liste di senza tetto – che noi continuiamo a sostenere – a un insegnante di Clair Soleil, che mi è stato indicato dall’educatore di Addap 13 con chi avevo parlato dell’ingiustizia constatata, e che ha provocato delle tensioni ai Rosiers perché certe famiglie non capivano perché i loro vicini nelle loro stesse condizioni erano privilegiati rispetto a loro. Ho quindi constatato che certe persone che apparivano nelle mie liste erano state chiamate per ricevere un pacco durante l’ultima settimana di aprile, e altre durante la prima settimana di maggio. È un caso? Contemporaneamente il «Collettivo dei Rosiers » annunciava sui social di aver aumentato il numero dei pacchi distribuiti, che sono passati da 66 a 80 in fine campagna. Per fortuna che il ridicolo non uccide! I Rosiers contano 723 alloggi abitati e più di 3.600 anime, tra cui un numero importante di famiglie – circa il 20% – si sono ritrovate in difficoltà.
Finalmente, giovedì 6 maggio, appena dopo il secondo corso sui «gesti barriera e misure sanitarie » organizzato dai Medici senza frontiere nel centro del quartiere (4), ho incontrato gli insegnanti di Clair Soleil di cui non ho mai dubitato della buona volontà. Avevano spostato il loro punto di distribuzione alla palestra della scuola media Marie-Laurencin. Quel giorno indossavo la gellaba blu che mi permetteva di essere spontaneamente identificata con i Rosiers. Una giovane maestra mi ha chiesto se avevo un biglietto, il che ha raggelato tutti. Gli insegnanti erano stravaccati al suolo, e brindavano addossati a un furgone. Sembravano una banda di animatori che festeggiano la fine di una colonia. Rinchiusi nel loro piccolo, sembravano lontani mille miglia dall’universo degradato dei Rosiers dove mi hanno confessato non aver mai messo i piedi. È vero che l’insicurezza che regna in questo quartiere è dissuasiva.
Sicuramente il mio arrivo li ha sorpresi e ha perturbato il loro aperitivo festivo. Soprattutto quando ho rivelato che numerose famiglie che hanno aiutato hanno fatto del «recupero legittimo », cioè hanno approfittato di questa manna caduta dal cielo invece di rivendicare una distribuzione equa della ricchezza. Bisogna stare ai Rosiers per conoscere l’ingegno che i poveri impiegano per migliorare le loro condizioni di vita, e anche inviare dei soldi a dei parenti rimasti a Mayotte o alle Comore. Il che è umano, visto lo sfruttamento e la segregazione che subiscono. Io stessa ho chiuso un occhio quando ho riconosciuto alcuni che venivano a chiedere l’aiuto alimentare e che andavano anche al Centro sociale o al Clair Soleil…
In ogni modo, gli insegnanti hanno ripreso la loro attività l’11 maggio e hanno previsto un’ultima distribuzione di pacchi il mercoledì successivo. L’aiuto istituzionale, che ha messo del tempo a sbloccarsi, si evaporerà. Come se la fine del confinamento sistemasse i problemi delle famiglie precarie diventate più vulnerabili – soprattutto per i clandestini – e i cui membri metteranno del tempo a trovare un lavoro, anche in nero, soprattutto coloro che lavorano nelle cucine dei ristoranti come garzoni, sui cantieri come manovali, o presso i grossisti di materiali di edilizia come addetti alle spedizioni. Per fortuna per loro, la solidarietà vicina, che si è manifestata naturalmente addirittura prima delle distribuzioni ufficiali, continua. Tra i poveri, c’è l’abitudine di aiutarsi reciprocamente! Una precisione: una gran parte delle famiglie in situazione regolare o di nazionalità francese sono abituati agli aiuti sociali e non hanno problemi. Le misure annunciate dal governo permetteranno loro di tenere duro in attesa di tempi migliori. Ma i «clandestini » e i richiedenti asilo, utilizzati nel mercato del lavoro come variabile di aggiustamento dello stipendio verso il basso, continueranno a fare fatica.
Ovviamente questo periodo di confinamento ai Rosiers ha provocato delle tensioni intercomunitarie all’interno del quartiere, soprattutto nel parcheggio dell’edificio A dove ci sono state delle risse. Durante le prime due settimane il quartiere si era trasformato nella corte dei miracoli. Ma una volta passata la siderazione tutto è tornato all’ordine, fino al 30 aprile quando, appena prima del tramonto, dei giovani, armati di carabine, si sono messi a inseguirne altri sparando dei colpi – ne sono stata testimone. Per fortuna nessuno è stato ferito o ucciso. E i numerosi bambini del quartiere che, in tempo normale, giocano nel campo giochi, erano bloccati a casa sotto l’ala protettiva delle loro madri.
Questo tipo di incidente è episodico ai Rosiers e alimenta tutte le voci riguardanti le «guerre di territorio » legate al traffico di droga. Ci si deve preoccupare perché la banalizzazione della violenza si ripercuote sui bambini che non sono più controllati dopo la chiusura, nel 2014, del Centro sociale dei Rosiers. In questo quartiere, come in altri quartieri popolari di Marsiglia, la defezione dei poteri pubblici – che si manifestano sporadicamente con l’arrivo della polizia – rientra nella categoria non assistenza a giovani in pericolo. Questa scena mi ha fatto pensare a La Città di Dio, film girato in una favela brasiliana dove i «microbi» finiscono col prendere il posto degli adulti, dopo un vero e proprio carnaio. Infatti, da una settimana, dei ragazzoni appollaiati a due su tre motorini percorrevano il quartiere, con in mano delle carabine nuove.
Tuttavia, quello che mi ha scioccata di più è constatare che l’aiuto alimentare era diventato, nel tempo, una questione politica. Il Centro sociale Saint Gabriel, e la rete di assistenti sociali della Casa dipartimentale della Solidarietà dei Flamands, sono luoghi di posta clientelistici della sinistra tradizionale nel mio settore. Per quanto riguarda i moltiplicatori dei voti per Martine Vassal -presidente del consiglio dipartimentale delle Bouches-du-Rhône e della metropoli – uno di loro ha già contattato un responsabile dell’associazione dei Rosiers in vista delle elezioni municipali dove si presenta come candidata del partito dei Repubblicani. Ma, tenuto conto del disprezzo col quale le istituzioni e i loro posti di controllo sociale lo hanno trattato ignorando le sue richieste, questo «agente» ha predicato nel deserto. L’autoorganizzazione dei Rosiers ha mostrato a tutti i partecipanti che possono ormai avviarsi verso l’emancipazione. Sarà certamente lunga, ma con Confluences e altre associazioni partner continueremo ad accompagnare gli abitanti dei Rosiers mettendo a loro disposizione la competenza, i mezzi e le reti di cui disponiamo. In particolare, per la realizzazione di progetti usciti direttamente da questa esperienza di solidarietà particolare.
Note
(1) Il dottor Akira Miyawaki, nato nel 1928 a Takahashi, è un botanico giapponese esperto in ecologia vegetale, specialista dei semi e dello studio della naturalità delle foreste. Dopo aver studiato in tre università giapponesi e in Germania, è stato pioniere in Asia in materia di ecologia retrospettiva applicata al restauro delle foreste. È uno specialista mondialmente riconosciuto per il restauro di una vegetazione naturale su suoli degradati, industriali, urbani o periferici.
(2) Rivista francese di sociologia, Les Presses de Science po, 2018/4 Vol. 59.
(3) Quando ho saputo del progetto di Vendredi 13 – associazione caritativa che agisce nelle strade nei confronti dei senzatetto – di organizzare a partire dal 27 aprile delle distribuzioni di vassoi SODEXO non halal ai Rosiers, lo abbiamo fermato subito per evitare un’umiliazione agli abitanti che sono per la maggior parte musulmani, e che hanno cominciato il digiuno del ramadan il 24 aprile scorso. Il buon senso avrebbe voluto che prima di lanciarsi in un progetto di distribuzione di pasti per le famiglie dei Rosiers, il presidente di V13 contatti i loro rappresentanti visto che i quartieri di Marsiglia non sono deserti. Questi ultimi avrebbero gentilmente spiegato che le famiglie comoriane e altre hanno abitudini culinarie culturali, e che dare il piatto SODEXO per sostituire la mensa è mancanza di rispetto. Il comune di Marsiglia avrebbe fatto meglio a versare un compenso monetario – anche sotto forma di assegni di servizio – alle famiglie i cui figli mangiavano alla mensa della scuola, in base al quoziente familiare. Ancora una volta questo fottuto pregiudizio sui poveri!
(4) Con Medici senza Frontiere abbiamo organizzato dei corsi «gesti barriera e misure sanitarie » nel cuore dei Rosiers, nel campo giochi dei bambini, dove ci riuniamo tenendo le distanze. Il 1° maggio i responsabili della comunità comoriana e mahorese (originari di Mayotte) erano presenti. Il 6 maggio c’erano gli albanesi, che non sembrano aver ancora realizzato che il covid-19 può toccare anche loro. “I miei compatrioti credono che questa storia di malattia sia una manovra politica» mi spiegava D. un giovane di 19 anni, figlio di un rifugiato politico. Ma durante il corso un padre di famiglia ha finito per parlare del suo mal di schiena e della sua fatica a respirare, a volte, come anche della sua pressione alta. Dopo una discussione, la dottoressa di MSF l’ha informato che doveva andare a farsi testare al centro medico di Malpassé, e che se il test era positivo doveva restare in camera sua… scoppi di risa dell’assemblea: in quella famiglia vivono in 10 in tre stanze. Il padre di famiglia se n’è andato come era venuto: bonario e con la sigaretta in bocca. Ai Rosiers, fino ad ora, non abbiamo avuto nessun decesso legato al covid-19.