YEMEN. Onu: “Significativi progressi per la tregua houthi-governo”
Roberto Prinzi 15 maggio 2020 |
L’inviato delle Nazioni Unite ha ribadito la necessità di giungere al cessate il fuoco anche per fronteggiare l’epidemia di Coronavirus “che si sta diffondendo ad un tasso sconosciuto nel Paese”. Di stop alle armi non se ne parla però al sud: le distanze tra separatisti e governo di Aden restano per ora incolmabili.
I ribelli houthi e il governo yemenita hanno fatto “significativi progressi” verso il cessate il fuoco. A dirlo ieri al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Uniti è stato Martin Griffiths, l’inviato dell’Onu in Yemen. Nelle scorse settimane Griffiths aveva presentato ad entrambe le parti (in guerra dal marzo del 2015) un piano per arrivare ad una tregua nel Paese, per riprendere il processo politico e per implementare misure economiche e umanitarie. Le risposte ottenute sarebbero state positive.
“Costatiamo un progresso significativo su questi negoziati, in particolar modo per quel che riguarda il cessate il fuoco nazionale” – ha riferito l’inviato dell’Onu ai 15 membri del Consiglio di Sicurezza – ciononostante, il cessate il fuoco è parte di un più ampio pacchetto che va concordato nella sua totalità”. E qui qualche difficoltà emerge. Le differenze, ha spiegato l’alto diplomatico internazionale, restano infatti su alcune misure economiche e umanitarie indispensabili per fronteggiare il Coronavirus “che si sta diffondendo ad un tasso sconosciuto dato il numero molto basso di test effettuati”. Nonostante l’ottimismo per i passi compiuti in campo politico, Griffiths non ha nascosto le difficoltà ancora presenti: “Il popolo yemenita ha ragione di sentirsi frustrato per il basso ritmo di questi negoziati. Speriamo che queste trattative possano concludersi a breve positivamente”.
Il problema, però, è che ormai la partita non è più solo tra i filo-iraniani houthi e il governo yemenita di stanza ad Aden appoggiato dalla coalizione saudita. C’è sempre più un altro elemento da tenere in conto: i separatisti del Consiglio transitorio meridionale (Stc) sostenuti dagli Emirati Arabi Uniti che lo scorso 25 aprile hanno dichiarato l’autogoverno ad Aden e in altre regioni meridionali. Da settimane la tensione è di nuovo altissima tra il Stc e l’esecutivo yemenita guidato dal presidente Hadi: i combattimenti si susseguono senza soluzione di continuità in diverse parti del sud del Paese. La guerra fratricida si fa anche a suon di parole. Mercoledì il premier yemenita Abdulmalik ha dichiarato che la chiave per raggiungere la pace con i separatisti è porre fine alla ribellione della “milizia armata”. Il giorno precedente il suo ministro degli esteri al-Hadhrami era stato più esplicito: “L’esercito – ha detto – farà tutto il necessario per preservare lo stato, le sue istituzioni e [garantire] la salvezza dei suoi cittadini contro il Stc”.
Il gruppo separatista, ha poi aggiunto al-Hadhrami, dovrebbe implementare il patto di Riyad che a novembre aveva posto fine (apparentemente) alle lacerazioni tra i due schieramenti che si erano tradotti in violenti scontri armati lo scorso agosto ad Aden. Ma toni duri li usa anche il Stc: lunedì il leader dei separatisti, Aidarouz al-Zubaidi, ha detto che le sue forze sono “pronte” ad agire e ha esortato il suo popolo a “difendere le conquiste nazionali”. Quello stesso giorno combattimenti violenti tra i due gruppi avevano avuto luogo vicino a Zinjiibar, la capitale della provincia Abyan, dopo l’avvio di un’offensiva delle truppe pro-governative per riconquistare l’area. Secondo fonti mediche, nel corso dei combattimenti sono state uccise 4 persone (2 militari governativi e altrettanti combattenti del Stc). Ventiquattro i feriti.
Uno stop alle violenze a livello nazionale appare quanto mai necessario anche perché si fa sempre più minacciosa l’epidemia di Coronavirus nel Paese. Ieri il governo yemenita ha riportato i primi 3 casi anche nella provincia di al-Dhalea e ha registrato 7 nuovi contagi ad Aden, portando il bilancio complessivo nelle sue aree a 85 casi (12 le vittime). Il governo houthi, invece, parla solo di due persone infette (e un morto) a Sana’a. Ma sono numeri che convincono in pochi: secondo quanto ha scritto mercoledì l’agenzia Reuters, le autorità di Sana’a non avrebbero riportato all’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) almeno una 80ina di casi sospetti per Covid-19. Il quotidiano britannico Guardian riferisce di “almeno 70 casi [di Coronavirus] identificati nel territorio controllato dai ribelli”. Lunedì l’Oms ha detto che il virus “sta circolando in modo nascosto e in maniera non contenuta da alcune settimane”. Dichiarazioni che preoccupano non poco considerato il fatto che il sistema sanitario in Yemen, Paese poverissimo e stremato dopo 5 anni di una guerra brutale che ha causato la morte di almeno 100.000 persone, è del tutto collassato. Nena News