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Le interfacce virtuali della riproduzione biotech

Angela Balzano 27/05/2020
Estratto dal libro Smagliature digitali. Corpi, generi e tecnologie. A cura di Carlotta Cossutta, Valentina Greco, Arianna Mainardi e Stefania Voli, Agenzia X, 2018

Questo contributo si muove a zig-zag tra le pagine web di agenzie e cliniche di gameti per cicli di fecondazione assistita. Lo scopo è quello di comprendere quali narrazioni e rappresentazioni veicolano, quale immaginario virtuale sottende la promessa della riproduzione assicurata.
Viviamo nell’era del bio-info-potenziamento, la mediazione tecnologica è talmente immanente alle nostre vite che è diventato impossibile distinguere confini tra natura e tecnica, desiderio e necessità. Perde sempre più senso la rappresentazione della realtà materiale come polo opposto della realtà virtuale. Viviamo l’epoca della realtà aumentata e investiamo sempre più in ricerca medico-farmaceutica: grazie a essa, nella parte di mondo chiamata Occidente, l’età media della vita umana, in poco più di un secolo, si è allungata di circa venti-trent’anni. L’aumento della vita media, tuttavia, interessa paesi in cui si assiste al contempo a contrazione demografica e posticipo della decisione di riprodursi. Consideriamo i dati dell’Eurostat Regional Yearbook 2015: le donne europee si riproducono sempre meno o più tardi. L’età media delle donne alla prima gravidanza tra il 2001 e il 2014 è passata da 29.0 a 30.4 anni. Nel 2015 il tasso di fecondità in Europa era di 1,58. Per un’idea concreta dell’espressione “contrazione demografica” paragoniamo le nascite nel 2015, 5 milioni, a quelle del 1964, 7.7 milioni. Per contestualizzare, ricordiamo che nei paesi con Pil più alti, la soglia standard è di 2,1 nate/i vive/i per donna.[1] Le tecnologie della vita si diffondono in questo scenario. Alla luce di questi dati potrebbe non apparire casuale che l’Europa sia la zona al mondo in cui si eseguono più cicli di fecondazione assistita.[2]
Il contesto in cui si sviluppa la medicina riproduttiva è quello di una società bio-info-mediata. Le biotecnologie non sarebbero così complesse senza la componente informatico-cibernetica, ma neppure così familiari senza le scienze informatiche e i dispositivi di comunicazione. La diffusione delle tecniche di fecondazione assistita viaggia in rete, su blog di pazienti, home-page di cliniche private, social network e chat riservate. Questo contributo si muove a zig-zag tra le pagine web di agenzie e cliniche di gameti per cicli di fecondazione assistita. Lo scopo è quello di comprendere quali narrazioni e rappresentazioni veicolano, quale immaginario virtuale sottende la promessa della riproduzione assicurata.
Geolocalizziamo l’analisi. Siamo in Italia, nel 2017, cerchiamo un modo per portare a termine una gravidanza con gameti di terze/i. Probabilmente saremo indotte/i dal contesto geo-politico-economico e normativo a consultare siti internet e blog alla ricerca di una soluzione efficace, magari all’estero. Se ricordiamo che fino al 2014 l’impiego di gameti estranei ai genitori intenzionali era proibito dalla legge 40/2004, capiamo che fino allo stesso anno per le/i residenti in Italia l’iter è stato senza dubbio questo: diversi viaggi on e offline tra cliniche e agenzie di gameti. La Corte costituzionale, con sentenza n. 162/2014, ha tentato di riequilibrare gli scompensi causati dal fondamentalismo cattolico di cui è intrisa la legge 40, dichiarandola incostituzionale agli artt. 4, 9, 12, annullando le norme che vietano il ricorso a donatori/trici esterni/e di gameti nei casi di infertilità assoluta. Nel 2014 la Conferenza delle regioni e delle province autonome ha sottoposto al governo delle linee guida contenenti la “regola della gratuità e volontarietà della donazione di cellule riproduttive”.[3] Chi dona gameti non avrà in cambio alcun compenso, ma solo un “eventuale rimborso per giornate di lavoro perdute”.[4] Nel 2015 il ministero della Salute ha ribadito[5] quanto sottoscritto dalle regioni. La disponibilità di gameti, soprattutto oociti, risulta quindi insufficiente in Italia. Elisabetta Coccia, responsabile scientifico dei centri per la fertilità Cecos, ha spiegato che “la donazione di ovociti da parte di donne che fanno la fecondazione omologa, ovvero l’egg-sharing, non è sufficiente e in Italia non si hanno al momento donazioni volontarie. La scelta degli accordi con l’estero rimane l’unica strada possibile per garantire l’eterologa nel nostro paese”.[6]
Se consideriamo i tempi di attesa nei centri pubblici, le ragioni per affidarci a una ricerca online di una clinica all’este-ro aumentano. Si attende per quasi diciotto mesi in Sicilia, quindici mesi in Veneto e dodici in Liguria.[7] La scelta della donazione come unico mezzo per procacciarsi i gameti non ha migliorato il quadro. Proliferano centri privati collegati a cliniche all’estero, contattabili a partire da piattaforme on-line. Digitando “fecondazione assistita eterologa”,[8] Google presenta come secondo risultato[9] la Clinica Eugin,[10] la pagina “Fecondazione in vitro (Fiv) ovuli di donatrice e sperma del partner”. La Clinica Eugin definisce così la fecondazione eterologa: “tecnica di laboratorio che comporta la fecondazione degli ovuli da donatrice con lo sperma del vostro partner”. È evidente quanto mistificante sia questa definizione, dal momento che definisce eterologa solo l’inseminazione in vitro con oocita di terza donna, escludendo che il gamete di cui i genitori intenzionali sarebbero alla ricerca potrebbe essere quello maschile. Gli spermatozoi potrebbero venire da un donatore, l’ovulo potrebbe essere stato crio-conservato dalla paziente stessa: sempre di Fivet si tratterebbe. Dopo questa prima errata definizione non viene fornita alcuna spiegazione scientifica delle tecniche, si passa a rassicurare il/la potenziale paziente circa la liberalità e l’eticità delle normative spagnole. Accanto al testo principale spicca un riquadro rosa, la “pre-diagnosi online”, cliccando si possono caricare i propri dati. La prima scelta cui ci mette di fronte la clinica Eugin è quella che ancora oggi esclude la legge 40, con la possibilità di spuntare le tre seguenti opzioni: “a) voglio essere madre con il mio partner maschile; b) voglio essere madre da sola; c) voglio essere madre con il mio partner femminile”.[11] Considerato che all’art. 5 la legge 40 vieta il ricorso alle tecniche a persone non in coppia e Lgbtq, quando si spuntano le opzioni b e c la Clinica si preoccupa di spiegare che: “in Italia, i trattamenti di riproduzione assistita non sono consentiti alle donne single o con una partner femminile. In Spagna, invece, la legge spagnola permette a tutte le donne di accedere a un trattamento di riproduzione assistita, indipendentemente dal loro stato civile o orientamento sessuale. Un team italiano realizza questi trattamenti a Barcellona”. Se invece spuntiamo la prima opzione, “voglio essere madre con il mio partner maschile”, ci viene chiesto di indicare età e problematiche dei partner. In base alle informazioni inserite, la pagina ci indirizza ai risultati della pre-diagnosi online. Se indichiamo come problematica l’insufficienza ovarica per la donna e la bassa qualità degli spermatozoi dell’uomo, la terapia suggerita è una Fivet con “oociti di donatrice e sperma del partner”. In realtà, bisognerebbe ricordare alle/ai pazienti che nel caso di scarsa qualità degli spermatozoi potrebbero essere necessarie terapie anche per l’uomo, eppure la clinica sceglie di concentrarsi esclusivamente sul reperimento di oociti. Interessante l’argomentazione di fondo, se la natura ci obbliga a riprodurci entro certi limiti di età, le tecniche ci permettono di aggirarla: “gli ovuli perdono la loro capacità riproduttiva in un processo irreversibile che si intensifica dopo i 35 anni. Questa realtà biologica era, anni fa, la fine del percorso verso la maternità. Oggi le innovazioni nelle tecniche di riproduzione assistita consentono di mantenere vivo il sogno di diventare madre, aiutiamo migliaia di donne di tutto il mondo a superare le difficoltà che interpone la natura”.
La natura non viene qui sacralizzata né dialetticamente opposta alla tecnica, piuttosto viene sessualizzata e re-inventata. Dall’inizio della nostra pre-diagnosi online non ci è stato chiesto nulla circa il nostro sesso. La clinica ha dato per scontato che a sottoporsi alla pre-diagnosi fosse una donna, parlando solo di maternità e mai di genitorialità, scegliendo il rosa come colore dominante. Si esclude la possibilità che a informarsi online possa essere un uomo. È la maternità il focus, sul suo desiderio fa leva la strategia di comunicazione di molte cliniche della fertilità, che mirano a un target preciso. Si pensi a quanto dichiarato dalla ginecologa direttrice dell’Instituto Valenciano de infertilidad (Ivi): “sono sempre di più le donne che decidono di diventare madri dopo i 40 anni […]. Donna, con più di 40 anni e un lavoro indipendente e stabile: è questo il profilo delle pazienti che effettuano questo tipo di scelta”.[12]
Rispetto alla homepage della clinica Eugin, che ha al centro il volto di una donna bianca-bionda-occhi azzurri, quella dell’Ivi rimanda più esplicitamente al “sogno della maternità”, servendosi di un immaginario virtuale promissorio e rassicurante. Qui l’immagine raffigura una donna e un neonato (bianchi), che accarezzandosi si guardano negli occhi. Il banner con immagini e link alterna la foto di una donna gravida senza volto e il primo piano di una donna che sorride serena. La foto del pancione lancia il link “garanzia gravidanza”, che ci catapulta su un morbido sofà, dove una donna, comodamente sdraiata, coccola il bambino che ha in braccio.[13]
La strategia di comunicazione è diretta e ironica. La foto infonde sicurezza, il divano e il bambino in braccio fanno già famiglia, ma il testo che la accompagna allude alle difficoltà della maternità: “Molte donne sognano di essere madri pur sa-pendo cosa comporta una gravidanza: dormire male, ingrassare, piangere senza motivo, avere sonno a tutte le ore. Per questo motivo, se il tuo sogno di essere madre è così grande, a Ivi ci impegniamo con i pazienti del programma di fecondazione in vitro con ovociti donati garantendo la gravidanza in un massimo di tre cicli. Se non si raggiungesse la gravidanza, i pazienti riceveranno la restituzione dell’importo del trattamento”.
Una strategia comunicativa che mira a spostare l’attenzione dalle difficoltà dei cicli di Fivet a quelle di ogni maternità. Nono-stante il carattere promissorio dell’oggetto della compravendita, la clinica presenta da subito una certezza, la certezza tipica del dispositivo liberista “soddisfatti o rimborsati”, trasposto in un sistema produttivo postfordista. La clinica si impegna a “produrre” in un massimo di tre tentativi, la paziente/cliente può esigere un rimborso se la gravidanza, bene da produrre, non viene ottenuta. Ogni risvolto psicologico è tenuto fuori, il linguaggio è quello tipico della transazione economica. Nessuna allusione alla delusione che può seguire il mancato raggiungimento della maternità, l’unico problema è relativo all’investimento economico, non all’investimento emotivo-affettivo. In nessuna delle pagine visitate si viene informate/i circa le percentuali di insuccessi, neppure alla pagina “fecondazione eterologa”. Qui ci imbattiamo in un video che recita: “la donazione di oociti rende possibile il miracolo della vita in donne che altrimenti non potrebbero diventare madri”.[14] Il video continua spiegando che le “donatrici” di oociti sono accuratamente selezionate e che per associare la giusta donatrice alla giusta paziente “si combina il criterio umano con un programma informatico altamente qualificato”.
Proprio una clinica altamente tecnologizzata, presenta la Fivet come foriera del “miracolo della vita”. La natura frammentata viene così ri-composta, la maternità ri-naturalizzata, i generi ri-confermati. Sarà sempre una donna a condurre a termine la gravidanza, poco importa se in coppia eterosessuale o no, e il momento della nascita sarà sempre un miracolo. Questo il messaggio veicolato dalle pagine visitate, in un tentativo di mascherare nostalgicamente ciò che stiamo già vivendo. Come sostiene Rosi Braidotti, infatti, oggi occorre riconoscere che “la funzione materna e la riproduzione dell’essere umano nella sua modalità bio-culturale hanno subito due spostamenti significativi: si sono sganciate dal corpo femminile […] e hanno allo stesso tempo riacquisito lo statuto di natura” (Braidotti, 2008, p. 62). L’analisi di Braidotti descrive efficacemente la duplice tendenza in corso, così esplicita nelle homepage visitate, a reinserire il “femminile materno” in un ordine naturale reinventato, inscrivendolo al contempo nel mercato tecno-industriale della fecondazione assistita.
Riaffiora così la retorica della sacralità della riproduzione, anche ai tempi dell’intersezione tra dispositivi informatici e mercati bio-tech: ma superare la natura in nome del miracolo della vita, insistendo a senso unico sul “sogno della maternità”, non vuol dire riproporci, con mezzi nuovi, la vecchia ricetta essenzialista della donna-madre?
Come aveva già brillantemente spiegato Simone de Beauvoir: “Donna non si nasce, lo si diventa e potrebbe darsi che non tutte quelle che diventano donne vogliano anche essere madri” (De Beauvoir, 2008, p. 271). Potrebbe darsi che un omosessuale sia più desideroso di formare una famiglia di una donna eterosessuale e che oggi le nuove tecnologie della vita si rive-lino molto utili per soddisfare il suo desiderio di genitorialità. Sembra limitante, non solo contradditorio, quanto “offerto” dalle cliniche esaminate, oggi che le tecniche della medicina riproduttiva permetterebbero di scombinare generi e ruoli, cambiare sessi e modellare a proprio piacimento sessualità e genitorialità. Affermare che le tecniche di fecondazione assistita rendono possibile il “miracolo della vita” non significa riporre nella tecnoscienza qualcosa di simile alla fede religiosa?
La scienza ha da sempre un rapporto problematico con la religione, lo si vede nei tentativi di universalizzazione scientifica alla ricerca di una legge/forza unica per spiegare la complessità della vita, la forza-dio. Come argomentano in Che cos’è la filosofia? Deleuze e Guattari, ciò non è possibile, non tanto perché tale legge non esiste, quanto perché per portare a termine tale ricerca la scienza dovrebbe abbandonare il piano di referenza, adottando il piano di trascendenza tipico della religione (Deleuze, Guattari, 1996). Ciò non esclude comunque la possibilità di impiegare gli stessi dispositivi del potere pastorale in un mutato contesto storico-economico e geopolitico, di servirsi dello stesso armamentario retorico e del medesimo immagina-rio cristiano-occidentale per presentare in modo moralmente meno controverso gli attuali sviluppi scientifici in materia di sessualità e riproduzione. Lo abbiamo appreso da questa pur veloce e parziale panoramica dei principali siti in lingua italiana delle cliniche della fertilità: l’immaginario veicolato è intriso di mistero e sacralità, in aperta contraddizione con la stessa realtà in cui le tecniche di fecondazione assistita si sono sviluppate e diffuse. Di fatto, le scienze della vita e dell’informazione non sono emanazione della volontà divina, i medici non sono santi e gli scienziati non sono dio. La vita umana non è affatto un miracolo, ma un’invenzione storico-tecno-politica relativamente recente. Leggi e regolamenti restrittivi incentrati sull’etero-sessualità, strategie di marketing e comunicazione imbevute di whiteness, campagne pubblicitarie sature di essenzialismo maternalista vorrebbero mettere a tacere il potenziale sovversivo delle nuove tecnologie della vita. Le mutazioni in corso, tuttavia, sono molteplici e virali, soggettive e collettive, virtuali e materiali: per molte/i sessualità e riproduzione sono territori da esplorare fuori dai confini di sessi e generi prestabiliti.
Bibliografia
De Beauvoir Simone, Il secondo sesso, trad. it. di R. Cantini, il Sag-giatore, Milano 2008.
Braidotti Rosi, Trasposizioni. Sull’etica nomade, A.M. Crispino (a c. di), Luca Sossella Editore, Roma 2008.
—, Il postumano. La vita oltre l’individuo, oltre la specie, oltre la morte, trad. it. di A. Balzano, DeriveApprodi, Roma 2014.
Cooper Melinda, Waldby Catherine, Biolavoro globale. Corpi e nuova manodopera, trad. it. di A. Balzano, DeriveApprodi, Roma 2015.
Deleuze Gilles, Guattari, Felix, Che cos’è la filosofia, trad. it. di A. de Lorenzis, Einaudi, Torino 1996.
European IVF-Monitoring Consortium (EIM) for the European Society of Human Reproduction and Embryology (ESHRE), Calhaz-Jorge C1, de Geyter C2, Kupka MS2, de Mouzon J2, Erb K2, Mocanu E2, Motrenko T2, Scaravelli G2, Wyns C2, Goossens V2, Assisted reproductive technology in Europe, 2012. Results generated from European registers by ESHRE, in “Human Reproduction” 31(8), 2016, pp. 1638-52.
Flamigni Carlo, Borini Andrea, Fecondazione e(s)terologa, L’asino d’oro editore, Roma 2012.
Franklin Sarah, Lury Celia, Stacey Jackie, Global Nature Global Culture, Sage Publication Ltd, London 2000.
Griziotti Giorgio, Neurocapitalismo, Mimesis, Milano 2016.
Note
[2] European IVF-Monitoring Consortium (EIM) for the European Society of Human Reproduction and Embryology (ESHRE), Calhaz-Jorge C1, de Geyter C2, Kupka MS2, de Mouzon J2, Erb K2, Mocanu E2, Motrenko T2, Scaravelli G2, Wyns C2, Goossens V2, Assisted reproductive technology in Europe, 2012. Results generated from European registers by ESHRE, in “Human Reproduction” 31(8), 2016, pp. 1638-52.
[3] Conferenza delle regioni e delle province autonome, 14/109/CR02/ C7SAN, 2.
[4]Ivi, 13.
[5] DM n. 161 del 1° luglio 2014 consultabile su www.iss.it.
[6] Ibidem.
[8] L’espressione “fecondazione eterologa” è scientificamente errata, la ricerca su Google è impostata con queste parole chiave considerato il suo ampio uso, anche se è bene ricordare che “dal punto di vista scientifico il termine eterologo indica l’incontro tra gameti di specie diverse” (Flamigni, Borini, 2012, p. 49).
[9] Il primo risultato è un articolo del 2015 del quotidiano “La Stampa”, dal titolo Fecondazione eterologa, cos’è e chi la può fare.