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Come il coronavirus potrebbe costringere Benny Gantz a stringere la mano di Benjamin Netanyahu

Jonathan Cook, 15 marzo 2020
Dopo che il suo processo è stato rinviato di due mesi, il Primo Ministro Netanyahu potrebbe aver lasciato il suo rivale senza altra opzione se non quella di accettare un’offerta per formare un governo di unità

Copertina – Benny Gantz, leader dell’alleanza elettorale Blue and White, si trova in una situazione molto difficile. AFP
Benjamin Netanyahu, Primo Ministro ad interim israeliano, si prepara a sfruttare ogni minima possibilità di vantaggio personale in una crisi locale e globale causata dalla pandemia di coronavirus. Si è dovuto muovere in fretta.
Dopo le elezioni di questo mese, gli sforzi di Netantyahu per creare una coalizione di governo sembravano essere stati nuovamente vanificati – per la terza volta in un anno di elezioni. Al suo blocco ultranazionalista sono mancati solo tre seggi per ottenere la maggioranza nel parlamento israeliano.
E incombeva il suo processo per corruzione, che avrebbe dovuto iniziare martedì. Il suo principale avversario, l’ex generale Benny Gantz del partito Blue and White, aveva promesso durante la campagna elettorale di non sedere in un governo con Netanyahu fintanto che dovrà affrontare cause penali.
Ma la crisi coronavirus sembra essere venuta in soccorso a Netanyahu.
La scorsa settimana ha ordinato una serie di misure di emergenza, tra cui l’effettiva chiusura dei confini del paese, il fermo di scuole e college e di gran parte dell’economia. A decine di migliaia di israeliani è stato chiesto di mettersi in quarantena a casa e sono vietate le riunioni con più di 10 persone.
Considerato che lo stato di Israele si è autoproclamato santuario per gli ebrei – a seguito del trauma dell’Olocausto – queste precauzioni sono state prontamente accettate dal pubblico.
Ma stanno anche facendo il gioco del genio di Netanyahu nel manipolare una crisi.
Domenica scorsa il suo processo è stato rinviato di almeno due mesi, dopo che il ministro della giustizia, suo incaricato, ha dichiarato nuovi poteri e ha di fatto chiuso i tribunali.
Ora aumenta la pressione su Gantz affinché metta da parte una “politica meschina” e sostenga Netanyahu in un governo di unità che abbracci i principali partiti ebraici. Il primo ministro ha detto al suo rivale: “Insieme salveremo decine di migliaia di cittadini”.
Gantz sta lottando per resistere. Le elezioni – e il conseguente impasse politico – neanche per lui sono andate bene: il suo partito ha ottenuto tre seggi in meno rispetto al Likud di Netanyahu.
Se i due non si mettono d’accordo per un governo di unità, è molto probabile che Israele si dirigerà verso una quarta elezione, e quella in cui un elettorato esasperato potrebbe punire il leader Blue and White per essersi rifiutato di scendere a compromessi.
Gantz dovrebbe sentirsi piuttosto tranquillo, dato che è a capo di un blocco che comanda una maggioranza di 62 seggi nel parlamento di 120 membri. Ma le profonde tensioni interne nel suo blocco stanno già vanificando gli sforzi per cacciare Netanyahu.
La causa è il record di 15 seggi conquistati dalla Joint List, una fazione che comprende partiti che rappresentano la minoranza palestinese israeliana, un quinto della popolazione. Gantz non ha alcuna speranza di formare un governo se non alleandosi con la Joint List, il terzo più grande partito del parlamento.
Ma durante la campagna elettorale, Gantz ha promesso di non fare conto sui partiti palestinesi, dopo l’incessante provocazione di Netanyahu che, se lo avesse fatto, avrebbe portato al governo i “sostenitori del terrorismo”. L’ex generale teme che una parte dei suoi elettori di destra potrebbe, come conseguenza, abbandonarlo.
L’impaccio di Gantz illumina con precisione il dilemma dell’assetto costituzionale di Israele come un cosiddetto stato “ebraico e democratico”.
Nessun partito che rappresenta i cittadini palestinesi di Israele è mai stato invitato a far parte del governo. Come Ahmed Tibi, un deputato della minoranza, una volta ha osservato chiaramente: “Israele è uno stato democratico per i suoi cittadini ebrei e uno stato ebraico per i suoi cittadini arabi”.
Ma mettendo da parte sia Netanyahu che la Joint List, Gantz si è messo nell’angolo. Ora è desideroso di trovare una via d’uscita.
La scorsa settimana, con mossa audace, ha iniziato negoziati con i leader della Joint List, chiedendo loro di sostenerlo come capo di un governo di minoranza. Dovrebbero indicarlo come primo ministro, senza far parte del governo.
Consapevoli che questo potrebbe essere l’unico modo per evitare una catastrofica quarta elezione, la maggior parte degli alleati di Gantz, incluso l’ex ministro della difesa Avigdor Lieberman, un colono falco, in linea di principio ha concordato.
L’obiettivo, ha chiarito Lieberman, è quello di rafforzare il Likud per cacciare Netanyahu. Poi Gantz pianterebbe in asso la Joint List per creare un forte governo di unità con un Likud libero da Netanyahu.
Ma questa manovra è stata quasi immediatamente sabotata dall’interno. Alcuni alleati di Gantz non sono riusciti a digerire alcuna collaborazione con la Joint List, anche del tipo infido proposto.
Inoltre, la Joint List ha chiesto un prezzo impossibile ai partiti sionisti: il capovolgimento della peggiore delle leggi discriminatorie che opprimono la minoranza, nonché l’abbandono del piano di “pace” di Trump che consente ad Israele di annettere gran parte della Cisgiordania.
Numerosi deputati hanno preso le distanze dalla legittimazione di un simile accordo che potrebbe conferire pari diritti ai partiti palestinesi e alle loro richieste.
Una collaborazione del tipo contemplato da Gantz si è già verificata una volta – all’inizio degli anni ’90. Allora Yitzhak Rabin guidò un governo di minoranza che dipendeva dal sostegno esterno dei partiti palestinesi, come unico modo per approvare la legislazione per attuare il processo di pace di Oslo.
Il leader dell’opposizione a quel tempo era un giovane Netanyahu. Si scagliò contro l’accordo, sottintendendo che era un tradimento, proprio come sta facendo ora. Quell’incitamento fu visto molto come sprone per l’estremista di destra, Yigal Amir, che assassinò Rabin nel 1995, facendo deragliare il processo di Oslo.
Sembra che Netanyahu non abbia imparato la lezione. Ha continuato a demonizzare i cittadini palestinesi, la scorsa settimana sostenendo che “non fanno parte dell’equazione [politica] – questa è la volontà del popolo”.
Dichiarazioni del genere gli hanno fatto guadagnare la scorsa settimana un raro rimprovero da parte dell’amministrazione Trump. Il rapporto annuale sui diritti umani del Dipartimento di Stato americano ha condannato il partito di Netanyahu per i suoi ripetuti “messaggi che promuovono l’odio contro i cittadini arabi”.
Com’era prevedibile, Gantz – come Rabin 35 anni fa – è stato inondato da minacce di morte da parte dei sostenitori di Netanyahu. L’agenzia di intelligence israeliana Shin Bet ha dovuto assegnargli una guardia del corpo speciale.
Nell’attuale febbrile atmosfera, il leader di Blue and White ha avvisato che c’è un “omicidio politico dietro l’angolo”.
Ma Gantz non è solo in guai fisici. Se Netanyahu riesce a convincere i deputati del blocco di Gantz che si oppongono con forza a qualsiasi trattativa con la Joint List, può formare un governo. Quindi potrebbe liberarsi dal suo processo.
Gantz ha risposto alla richiesta di Netanyahu di un governo di unità di emergenza chiedendo che includesse “tutte le parti della casa” – un cauto riferimento alla Joint List.
Ma come suo solito, Netanyahu ha risposto di non volere “sostenitori del terrore” nel governo, nemmeno in caso di emergenza.
Che cosa teme di più Gantz: Netanyahu che sfrutta la crisi del coronavirus per eludere la giustizia e rimanere al potere, o danneggiare la propria immagine pubblica cercando un aiuto temporaneo della Joint List? I prossimi giorni dovrebbero fornire la risposta.
Traduzione: Simonetta Lambertini – invictapalestina.org