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Tutti i modi di annientare le voci del dissenso in Egitto

Pino Dragoni 24 febbraio 2020
Sette storie di accanimento repressivo. L’unico obiettivo del regime di al Sisi: fare in modo che la rivolta del 2011 resti un evento irripetibile.

Non solo carcere. La prigione non basta a descrivere tutte le forme di accanimento che il regime egiziano mette in atto contro chi dà voce al dissenso o esercita una libertà. Tutto con un solo obiettivo: annientare i protagonisti della rivolta del 2011 e fare in modo che quella sollevazione non si ripeta più. Queste sono le storie di alcuni di loro.

SVANITO NEL NULLA

L’ultima comunicazione con Mostafa El-Naggar risale al 28 settembre 2018. Da allora è desaparecido. Arrestato tre volte sotto Mubarak, coordinatore della campagna per il cambiamento di El Baradei, tra i promotori della protesta del 25 gennaio 2011, il quarantenne dentista e scrittore è stato deputato nel primo parlamento post-rivoluzione. I familiari si sono rivolti a tutte le autorità possibili, senza ricevere alcuna risposta. Il ministero dell’Interno ha dichiarato che Mostafa «non è mai stato arrestato» ed è considerato «latitante».

«PERCHÉ SONO QUI?»

Alaa Abd El Fattah è uno dei volti più noti della rivoluzione del 2011 e della nuova sinistra egiziana. Il 29 settembre è stato di nuovo arrestato, dopo aver da poco finito di scontare una condanna a 5 anni. In carcere non può avere libri e giornali, non può uscire all’aria aperta né fare esercizio. In una delle ultime udienze si è rivolto direttamente alla Procura chiedendo i motivi della sua detenzione.

IL «FRIGORIFERO»

Mahienour el-Massry è un’avvocatessa 34enne, sempre in prima linea per le cause dei lavoratori e dei prigionieri. È stata arrestata mentre partecipava alle udienze per gli arrestati delle proteste di settembre. Da tempo non fa più politica attiva, ma continua a esercitare la sua professione per le vittime di repressione. Per più di dieci udienze è comparsa davanti alla Procura senza che venissero presentate prove a suo carico. Tra gli attivisti questa pratica di rinnovo a oltranza della custodia è nota come «il frigorifero».

VIVERE A METÀ

Mahmoud Abou Zeid, meglio noto come Shawkan, è un promettente fotografo. A marzo dell’anno scorso è uscito di prigione dopo 5 anni, malato e smagrito. Ora sta cercando di ricostruire una vita devastata, ma ogni notte dalle 18 alle 6 del mattino successivo deve passarla in una stazione di polizia, per le misure di “libertà vigilata” imposte dal giudice. Sono più di 400 le persone sottoposte a questa misura.

MORTE LENTA

Ziad El-Elaimy è un ex parlamentare liberale. Avvocato, è stato portavoce del principale gruppo giovanile durante la rivoluzione. È stato arrestato il 25 giugno 2019, perché tra i promotori della “coalizione Speranza”, un’alleanza di opposizione che progettava di candidarsi alle elezioni. Soffre di ipertensione, asma e diabete. Nelle celle umide e non areate del carcere di Torah le sue condizioni stanno peggiorando gravemente. Le autorità gli negano il ricovero in ospedale.

ISOLAMENTO

Abdel Moeim Aboul Fotouh, 69 anni, è stato candidato alle presidenziali del 2012. È un islamista democratico fuoriuscito dai Fratelli musulmani. È in carcere da febbraio 2018, arrestato per aver criticato al-Sisi in un’intervista. È rinchiuso in una cella di 2 metri per 3, e ha già subito diversi attacchi cardiaci.

LA «ROTAZIONE»

Shady Abou Zeid è un comico satirico, famoso per i suoi video ironici sui tabù sociali e le molestie di genere. Arrestato a maggio 2018, non ha potuto rivedere suo padre malato prima che morisse. Doveva uscire pochi giorni fa, ma puntuale è arrivata una nuova indagine a suo carico. In gergo il meccanismo è noto come tadwir (rotazione) e consiste nell’incriminare la persona in un nuovo caso allo scadere dei termini della custodia cautelare.