Adèle Haenel : “La Francia ha completamente perso il treno di #MeToo”
Elian Peltier 27/02/2020 |
Prima attrice rinomata ad aver denunciato le molestie nell’ambito del cinema francese, Adèle Haenel chiede al governo di fare di più per le vittime di violenze sessuali, nella sua prima intervista accordata dopo la sua testimonianza.
Tradotto da Silvana Fioresi – Fausto Giudice
PARIGI — Lo scorso novembre Adèle Haenel affermava essere stata vittima, durante la sua adolescenza, di molestie sessuali e palpeggiamenti da parte di un regista. A 31 anni, è la prima attrice rinomata a essersi espressa pubblicamente sulle violenze sessuali nell’ambito del cinema francese.
Il movimento #MeToo era già avviato da due anni, e la storia di Adèle Haenel ha alimentato accesi dibattiti tra famiglie e colleghi di ufficio. Per Brigitte Macron, Adèle Haenel merita un “immenso rispetto”.
In occasione di una recente intervista con il New York Times – la prima accordata da Adèle Haenel dalle sue accuse apparse su Mediapart in novembre – l’attrice ha lanciato un appello concitato al Presidente Emmanuel Macron, esortandolo a intensificare la lotta contro le violenze rivolte alle donne.
“La giustizia deve ravvedersi per trattare meglio le donne vittime di violenze sessuali. A tutti i livelli”, ci ha confidato.
Christophe Ruggia, il regista che Adèle Haenel accusa di molestie sessuali e di palpeggiamenti — che, afferma, sono iniziati quando lei aveva 12 anni — ha fatto sapere tramite i suoi avvocati che rifiutava le accuse. È stato incriminato per aggressione sessuale su minore di meno di 15 anni in gennaio e un’inchiesta è stata aperta.
Se Adèle Haenel ha scelto di farsi discreta dal rilascio delle accuse, altre testimonianze si sono fatte avanti, tra cui quella della fotografa Valentine Monnier, che dice essere stata violentata nel 1975 dal regista Roman Polanski all’età di 18 anni (quest’ultimo ha negato i fatti, nonostante in precedenza sia stato dichiarato colpevole di rapporti sessuali illegali con un’adolescente di 13 anni negli USA).
Dopo Adèle Haenel, altre donne hanno preso il coraggio di denunciare delle violenze sessuali in ambito letterario o sportivo.
A poche settimane dall’uscita negli USA del suo ultimo film, “Ritratto della giovane in fiamme” [Portrait de la jeune fille en feu], Adèle Haenel ci ha concesso un’intervista a Parigi seguita da una telefonata. I propositi raccolti sono stati editati.
Lei ha condiviso la Sua storia tre mesi fa e, da allora, non si è mai espressa pubblicamente. Com’è stata accolta la Sua testimonianza?
La mia storia è stata come un precipitato in chimica, è il grammo in più dove si vede apparire il precipitato. Ha “preso” perché la società francese aveva fatto questo lavoro di riflessione grazie a #MeToo.
Faccio parte dell’ambiente del cinema, ma oggi desidero incontrare donne di altri ambiti, della ricerca, del mondo associativo. Ho ricevuto tantissime lettere manoscritte, dei messaggi, delle email, soprattutto di donne, ma anche di ragazzi, vittime o no, che erano stati toccati dalla mia testimonianza, e che mi hanno fatto realizzare la mancanza di racconti mediatici di vittime di violenze sessuali in Francia.
Qual è stato, secondo Lei, l’impatto di #MeToo in Francia ?
Esiste un paradosso #MeToo in Francia : è uno dei paesi in cui il movimento è più seguito, dal punto di vista dei social, ma da un punto di vista politico e mediatico, la Francia ha completamente perso il treno.
Molti artisti hanno confuso, o voluto confondere, il gioco sessuale e l’aggressione. Il dibattito si è posizionato sulla questione della libertà di importunare, e sul preteso puritanesimo delle femministe. Invece un’aggressione sessuale è un’aggressione, non una pratica libertina.
Ma nelle conversazioni, #MeToo si è impresso nelle menti. La Francia ribolle di queste domande.
Comme #MeToo l’ha aiutata nella Sua iniziativa?
#MeToo mi ha aiutata a realizzare che la mia storia non era solo personale, ma che era una storia di donne, di bambini, che portiamo tutte. Ma non mi sentivo pronta a condividerla nel momento in cui #MeToo è emerso. Ci ho messo del tempo a realizzare il percorso personale che mi ha permesso di posizionarmi come vittima. Credo di non essere andata più in fretta della società francese.
Alcuni politici si sono rammaricati del fatto che lei si sia inizialmente espressA sui media piuttosto che presentare una denuncia. Perché questa scelta?
Perché abbiamo un sistema giudiziario che non fa della violenza contro le donne la sua priorità. I personaggi politici hanno espresso sorpresa, ma sanno cosa significa per una donna oggi ritrovarsi nel sistema giudiziario francese? Teniamo conto delle grandi difficoltà che segnano il cammino di una donna vittima di violenza sessuale?
Il mio caso è ora gestito in modo ideale, con gendarmi e agenti di polizia attenti e premurosi. Auguro questo trattamento a tutte le vittime.
Come vedete il modo in cui questi casi vengono solitamente trattati in Francia?
La legge francese definisce lo stupro come un atto sessuale commesso con violenza, sorpresa o coercizione: si concentra sulla tecnica usata dall’aggressore, non sulla mancanza di consenso della vittima. Eppure, se una vittima è stordita durante l’aggressione, come si fa a ottenere giustizia?
Dobbiamo anche credere a tutte le donne che parlano. Non appena una donna ha meno potere di un uomo, è sospettata di volersi vendicare. Non c’è nulla da guadagnare a chiamarsi vittima, e le conseguenze per la privacy sono molto negative.
Emmanuel Macron ha parlato di una società francese “malata di sessismo” e si è impegnato a combattere la violenza contro le donne e a fare dell’uguaglianza di genere la “grande causa del quinquennio”. Qual è la sua opinione sull’azione del governo a questo proposito?
Non ci sono abbastanza risorse stanziate per cambiare la situazione, e abbiamo un rappresentante nell’attuale governo che è stato accusato da varie donne di violenza sessuale e abuso di debolezza.
La lenta risposta del governo al fenomeno #MeToo suggerisce che il governo tollera un margine di violenza contro le donne. In una certa misura questo è ancora accettato.
Nell’industria cinematografica si parla molto del caso di Roman Polanski, nominato al César per il suo film “J’accuse”. Cosa ne pensa?
Distinguere Polanski significa sputare in faccia a tutte le vittime. Significa: “Non è poi così male violentare le donne”.
Quando è uscito “J’Accuse”, abbiamo sentito grida di censura quando non si tratta di censura, ma di scegliere chi si vuole guardare. E i ricchi, uomini bianchi, state tranquilli: avete tutti i mezzi di comunicazione.
No, la vera censura del cinema francese è l’invisibilità. Dove sono i razzizzati al cinema? I registi razzizzati? Ci sono eccezioni, come Ladj Ly, il cui film è un grande successo, o Mati Diop, ma questo non illustra affatto la realtà dell’industria cinematografica. Questo rimane minoritario. Per il momento, abbiamo per lo più storie classiche, basate su una visione androcentrica, bianca, eterosessuale.
Ma “Ritratto della giovane in fiamme” offre una visione piuttosto diversa dell’amore e delle relazioni umane.
Non applichiamo un programma prestabilito, che è “innamorarsi senza capire perché ci si innamora”, che comprende una situazione di dominio, un rapporto di potere ineguale che sono considerati la forza trainante dell’erotismo.
Il film è libero da questo. Proponiamo qualcosa che, politicamente, artisticamente, ci rende meno schiavi. È una nuova versione del desiderio, un intreccio di eccitazione intellettuale, carnale, inventiva.
Quali sono i Suoi progetti ora, e sono influenzati dall’impatto della Sua storia?
È troppo presto per dirlo, ma non importa se influisce sulla mia carriera. Credo di aver fatto qualcosa di buono per il mondo e per la mia integrità. Farò teatro alla fine dell’anno, ma non so ancora che impatto avrà sul modo in cui la gente mi vedrà.
Faccio tutto a piedi a Parigi, non vivo in una bolla: a volte la gente mi ringrazia per la mia testimonianza quando mi vede per strada. Quando la gente dice grazie, mi commuove, perché l’obiettivo era quello di aiutare. Mi rende orgogliosa e felice.