Radhya Almutawakel: «Gli yemeniti non muoiono solo di bombe»
Francesco Vignarca 03/01/2020 |
Intervista. Parla l’attivista anima di Mwatana, organizzazione con base in Yemen per i diritti umani che raccoglie dati sul conflitto e prove sulle violazioni commesse da tutti gli attori in guerra, che il Time l’ha inserito tra le 100 persone più influenti del 2019: «Pensavamo che per fermare il conflitto bastasse raccontare la verità…»
Radhya Almutawakel è presidente e anima di Mwatana, organizzazione yemenita per i diritti umani che fin dall’inizio del conflitto raccoglie dati, informazioni, prove sulle violazioni commesse da tutti gli attori in guerra e l’impatto dei combattimenti su popolazione civile e infrastrutture. Un lavoro straordinario, viste le drammatiche condizioni in cui gli attivisti sono costretti ad agire, che l’ha portata ad essere inserita tra le 100 persone più influenti del 2019 secondo la rivista Time (con un profilo scritto dal senatore e candidato presidenziale Bernie Sanders).
Qual è oggi la situazione umanitaria in Yemen?
Gravissima, e continua a peggiorare. Il nostro lavoro è documentare le violazioni dei diritti umani conseguenti alla guerra, e lo facciamo in tutti i Governatorati dello Yemen. Possiamo dimostrare che la distribuzione delle violazioni è più o meno la stessa da anni, ma l’impatto peggiora. Oggi gli yemeniti non stanno «soffrendo una carestia» ma c’è una carestia che gli viene imposta. Le violazioni sono causate da tutti gli attori coinvolti: la coalizione militare a guida saudita-emiratina, i gruppi armati Houthi, i gruppi armati fedeli alla coalizione e anche in qualche modo al precedente governo “legittimo”. A soffrire però è solo la popolazione civile, che in grande maggioranza non è ancora coinvolta nel conflitto dopo oltre 4 anni dall’inizio delle ostilità. Un elemento che ci fa ancora sperare in una pace possibile.
Quante sono state le vittime finora?
Non è possibile purtroppo fare un conteggio preciso, perché il conflitto ha soprattutto distrutto le infrastrutture pubbliche essenziali (acquedotti, sanità…) e bloccato i collegamenti interni. A Mwatana siamo riusciti a registrare almeno 500 attacchi aerei della coalizione saudita che hanno provocato migliaia di vittime, soprattutto donne e bambini. In moltissimi casi sono stati condotti su obiettivi che non avevano nulla di militare. Gli yemeniti poi non muoiono solo di bombe, ma anche delle dirette conseguenze: mancanza di acqua, cure, cibo.
Il conflitto armato è in stallo? Ci sono speranze di pace?
Gli Houthi controllano al momento il 20% del territorio, che però è quello in cui si trova l’80% della popolazione (compresa la capitale Sana’a). Qui non esiste una struttura pubblica o statale, ma nemmeno nell’80% di territorio in mano al governo sostenuto da sauditi ed emiratini c’è stata una ricostruzione dell’amministrazione pubblica. Si è preferito rafforzare le milizie armate e ciò complica ancora di più la situazione, perché alcuni gruppi hanno iniziato a combattere fra di loro per avere più potere. Una sorta di guerra civile nella guerra civile. Ora è in corso un dialogo segreto sotterraneo tra Arabia saudita e Houti, con sviluppi lenti e poco significativi perché manca la pressione internazionale.
Dopo l’uccisione dell’ex-presidente Ali Abdullah Saleh gli Stati uniti e la Gran Bretagna hanno per la prima volta esercitato una pressione ad alto livello e in soli due mesi sono riusciti a far iniziare i negoziati di Stoccolma. Quindi la comunità internazionale potrebbe potrebbe avere un ruolo molto positivo nel proteggere civili e fermare la guerra, eppure continuiamo ad avere uno stallo militare. A Mwatana abbiamo sempre pensato che per fermare la guerra bastasse raccontare la verità sulle violazioni, ma abbiamo scoperto che non è una questione di verità perché lo Yemen non è dimenticato, bensì ignorato. E tra i motivi di questa situazione ci sono i grandi interessi incrociati di natura economica e finanziaria, in particolare quelli derivanti dal commercio di armi.