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Pazza America: chi comanda chi?

Enrico Sanna 17 gennaio 2020
Figlio e nipote di emigrati e di profughi, Fausto Giudice, nato in Italia (1949), è cresciuto in Tunisia, dov’è tornato a vivere dopo 45 anni passati in Europa.

È scrittore, traduttore, editore, cofondatore e coordinatore della rete dei traduttori per le diversità linguistiche Taxcala: http://tlaxcala-int.org. E oggi Mysterion ospita l’intervista che gli abbiamo fatto. In questa breve premessa voglio fare una piccola considerazione sui gravissimi eventi che hanno acuito la crisi in atto in Medio Oriente, che hanno ulteriormente peggiorato i già pessimi rapporti fra Iran e USA e che stanno purtroppo caratterizzando questo inizio 2020. Potremmo essere all’inizio di una nuova guerra e quest’articolo nasce proprio per provare a chiare qual è lo stato di cose negli ambienti del potere degli Stati Uniti e per cercare di capire quali sono i pensieri che affollano le menti di chi comanda laggiù. La situazione è talmente complessa e le informazioni così scarse e contraddittorie che non mi sento di aggiungere altro in questa premessa, eccetto una riflessione sull’assunzioni di responsabilità, da parte del governo di Teheran, in merito alla caduta del Boeing 737 diretto a Kiev, che ha provocato la morte, secondo le fonti ufficiali, di 176 persone. Ricordo a tutti che il 17 Luglio 2014, nel mezzo della crisi Ucraina, precipitò a Donetsk l’MH17, un Boeing della Malaysian Airlines, in volo da Amsterdam e diretto a Kuala Lumpur (il più importante aeroporto malesiano situato nel distretto di Sepang) e precipitato in circostanze poco chiare. Le cause di quest’ultimo incidente sono ancora avvolte nel mistero. Poiché il dubbio vale in ogni faccenda ignota, allora viene da sé che le dichiarazioni ufficiali iraniane potrebbero nascondere qualcosa. Che in entrambe le faccende ci sia lo zampino di Zio Sem?

Intervista a Fausto Giudice:
di Enrico Sanna
Dopo l’annuncio nel 2018, da parte dell’amministrazione Trump, di uscire dall’accordo sul nucleare, siglato nel 2015 dai Paesi del 5 più 1 (i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite – Cina, USA, Francia, UK, Russia – più la Germania), i rapporti con l’Iran sembrano essersi sempre più deteriorati sino a sfociare nella crescente escalation del 2019 e nel (presunto secondo alcuni) omicidio di Soleimanì. Come valuta quanto sta accadendo in Medio Oriente?
Lo vedo come un gran gioco di poker menzognero intorno al braccio di ferro fra grandi e medie potenze per la dominazione dell’area che va dalla Libia all’India. Si vive una cosidetta guerra di quarta generazione, dove la parola, l’immagine, l’informazione sono armi di distruzione massiccia. Si usano missili e droni veri e propri come si usano WhatsApp e Twitter . Come scrisse Philip Snowden, “La prima vittima della guerra è la verità”. Adesso, i fatti: Soleimani era tutt’altro che un santo, questo è un’evidenza, ma è stato vittima di un atto di guerra caratterizzato, non solo illegittimo ma anche illegale. Insomma ha cercato di superare uno dei suoi modelli, Kim Jong-un, mettendo in scena un colpo apocalittico. Gli iraniani, gente di antichissima civiltà (una storia quindici volte più lunga di quella degli Stati Uniti) hanno mantenuto una calma olimpica oggettivamente esemplare. L’abbattimento del Boeing ucraino è stato un errore dovuto al fattore umano in una situazione di grandissimo stress bellico. Gli iraniani hanno molto presto riconosciuto pubblicamente quest’errore, presentato delle scuse e invitato esperti di vari paesi coinvolti a venire a partecipare alle inchieste, a differenza per esempio di Bush padre, che, dopo l’abbattimento del volo 655 dell’Iran Air nel 1988, dichiarò serenamente: “Gli Stati Uniti d’America non chiederanno mai scusa. Mai. Non mi interessa quali siano i fatti”. Per fortuna per gli iraniani, non c’era nessun passeggero usamericano a bordo, cosi che questo incidente potrà difficilmente servire di pretesto a Trump per dare altri colpi.
“Se questa è pazzia c’è del metodo, in essa”, come dice Polonio in Amleto. La follia apparente di Trump non è altro che il riflesso dell’esasperazione del complesso militare-industriale-bancario di fronte alla perdita di potere degli USA. In modo lento ma sicuro la superpotenza ha cominciato a declinare con la sua disfatta in Vietnam. Dal 2008, c’è stata un’accelerazione nella discesa. Il mondo si sta dedollarizzando. E, come diceva Mao, “una tigre ferita a morte è ancora più pericolosa”
Qual è il ruolo svolto da Israele nella politica estera USA e che parte giocano associazioni come l’AIPAC (American Israel Public Affairs Committee), l’FDD (Foundation for Defense of Democracies) e in generale tutte le organizzazioni pro Israele presenti negli Stati Uniti?
David Ochs, il fondatore di Halev, dice in un video di Al Jazeera sul lavoro di lobbying sionista negli USA (mai diffuso a causa di pressioni), che nel loro lavoro di lobbying, “we don’t ask a goddamn thing about the fucking Palestinians. You know why? ’Cause it’s a tiny issue. It’s a small, insignificant issue. The big issue is Iran. We want everything focused on Iran” (“non chiediamo un cazzo sui fottuti palestinesi. Sapete perché? Perché è un piccolo problema. È un piccolo, insignificante problema. Il grande problema è l’Iran. Vogliamo che tutto si concentri sull’Iran” https://theintercept.com/2019/02/11/ilhan-omar-israel-lobby-documentary/). Israele e i suoi agenti giocano un ruolo di primo piano a tutti i livelli, dal Congresso alla rete. Lo stesso Ochs dice che i membri del Congresso non si muovono mai da soli, bisogna spingerli e, per questo, i soldi sono il migliore strumento. A livello di rete, bisogna tenere in conto che oggi, a New York, ci sono 400 “ex” agenti formati dall’Unità 8200 di guerra e intelligence elettronica dell’esercito israeliano che sono installati con le loro start-up, offrendo i loro servizi a chi paga(https://www.haaretz.com/israel-news/ny-s-best-secret-alumni-of-israels-elite-code-breaking-unit-1.5463880; https://www.invictapalestina.org/archives/33513). Sono anni che i dirigenti israeliani cercano di spingere gli USA a fare la guerra all’Iran. Se non è successo finora, è perché i generali del Pentagono erano opposti ad una guerra contro l’Iran, scottati che erano dal pantano iracheno e afgano, e si sono coinvolti direttamente in Siria in maniera relativamente limitata, lasciando fare agli “askari” vari e bombardando un po’. Un paragone si può fare con la riluttanza dei generali brasiliani e colombiani a entrare in guerra con il Venezuela, consapevoli del rischio di confrontarsi con una forza civico-militare determinata e massiccia (comunque, questi generali sono più interessati a fare gli affari loro che la guerra). Tornando alla domanda, la Casa Bianca è piena zeppa di gente con doppia cittadinanza (Israele-USA), per non parlare della stessa famiglia di Zio Donald, con Jared Kushner. Insomma, è la vecchia storia del cane e della coda: chi scodinzola chi?
Alcuni sostengono che le élites americane siano profondamente divise in due fazioni: deep state che spinge per la guerra contro Trump che non vuole la guerra; altri vedono il quadro della politica Usa in modo completamente opposto. Come vede la situazione a questo proposito?
Per la classe politica usamericana, la politica e la guerra sono dei business: se faccio questo, quanto guadagno, quanto perdo? Ricordiamoci che James Baker, il segretario di Stato di Bush padre, guadagnò personalmente 16 millioni di dollari durante la cosidetta prima guerra del Golfo. Ricordiamoci di Dick Cheney e Halliburton, alla quale si regalarano i campi di petrolio iracheni, ma che fu anche incaricata di fare costruire le gabbie di Guantanamo (da operai filippini), il ché di sicuro assicurò qualche commissione a un paio di alti responsabili. E questo vale non solo per i politici (eletti), ma anche per i funzionari, civili o militari. I capi stazione della CIA devono fare business per finanziare le loro “operazioni speciali”, alle quali il budget attribuito non basta. Hanno rifatto in Afganistan quello che avevano fatto in Indocina negli anni sessanta, quando la CIA creò addirittura una compagnia aerea, Air America, per trasportare l’oppio dal Laos, per poi trasformarlo in eroina, usata nella guerra domestica contro i ribelli dei ghetti neri. Nel 2001, sotto i taliban, la produzione d’oppio era calata a 150 tonnellate. Nel 2017, era salita a 9.000 tonnellate e quest’anno dovrebbe superare 10.000, cioè 1000 tonnellate d’eroina; i 2000 dollari guadagnati dal produttore afgano d’oppio per 10 chili daranno un guadagno di 40.000 € a chi trasforma questi chili in un chilo d’eroina e lo vende in Occidente o altrove. Dunque 1.000 tonnellate portano sui 40 miliardi di euro. Calcolando generosamente 30% di spese, rimangono sui 25 milliardi. 10% di commissioni e di bakshish lungo tutta la catena sono 2,5 miliardi di euro: immagina quanti politici e funzionari si possono comprare.
Quindi, per rispondere alla tua domanda, non conosco i segreti di Washington, ma credo che se hai una buona cultura cinematografica sulle mafie e un po’ d’immaginazione, puoi rispondere tu stesso alla domanda: è tutta una questione di differenze d’apprezzamento dei migliori modi di fare il business, sotto le vernici varie, politiche bipartisan, ideologie proclamate ecc.
Chi finanzia Donald Trump e che visione ha del ruolo degli USA?
Per la sua prima campagna elettorale, aveva raccolto sui 500 milioni di dollari, mettendo di propria tasca 8.000 dollari. I contributi andavano da 10 a XXX.000 dollari. Quest’uomo ha battuto tutti i record di impunità: durante la sua carriera di businessman, è scampato a bensì 3.500 denuncie e processi. Quel pagliaccio esprime tutte le contraddizioni dell’Impero declinante, la principale essendo quella fra il protezionismo (rinchiudiamoci su noi stessi) e l’espansionismo (seguiamo il nostro destino manifesto di controllare il mondo). Ma a voler controllare tutto, si perde il controllo. È quello che sta succedendo: i vassalli, i lacchè, i cosiddetti alleati lo mollano l’uno dopo l’altro, dalle Filippine al Marocco, passando per la Turchia e forse (non si sa mai) persino i Saud.
Che ruolo giocano in questo momento i petrolieri e le banche d’affari?
Nel 2006, gli USA importavano il 60% del petrolio che consumavano. Quest’anno esporteranno il proprio petrolio. Ma continuano ad essere dipendenti del petrolio, in primo luogo saudita (ne importarono 1 milione di barili al giorno nel 2019). Dopo l’abbandono della parità dollaro-oro e la guerra del 1973, gli USA hanno messo su un sistema diabolico: compra(va)no petrolio che paga(va)no con carta stampata a modo di soldi o di buoni del Tesoro, che non valgono che il prezzo della carta e dell’inchiostro. E con questa carta i Paesi petrolieri, a cominciare dalle petromonarchie, Arabia saudita in testa, compravano armi usamericane. La principale ragione dell’invasione dell’Iraq nel 2003 era che Saddam, dietro consiglio di un politecnico francese, aveva deciso di vendere il petrolio iracheno in Euro. La ragione reale dell’assassinio di Qasem Soleimani a Bagdad è che il primo ministro -che ha dato le dimissioni – veniva di concludere un accordo con la Cina per la ricostruzione dell’Iraq, soprattutto della sua rete elettrica, dopo che gli USA avevano chiesto il 50% dei redditi petrolieri del Paese per farlo. Al suo ritorno dalla Cina, Abdul-Mahdi a ricevuto delle telefonate di Trump, che lo ha minacciato di morte (leggere qui).
Siamo già dentro uno scenario di guerra che potrebbe diventare planetaria oppure gli Stati Uniti non hanno interesse a fare guerra all’iran, alla Russia e alla Cina?
Come dicevo all’inizio, siamo già in una guerra, la cosiddetta guerra di quarta generazione (Fourth Generation Warfare-4GW), la cui spina dorsale è la guerra psicologica. Ormai, Trump ha assunto un ragazzo per tradurre i suoi tweet in persiano, gli iraniani, i cinesi e i russi, come i venezuelani, comunicano in inglese. Ormai, sono le parole che uccidono: un semplice tweet può mettere in strada migliaia di persone convinte di manifestare per qualcosa di grande e di bello e invece usate per altri scopi tutt’altro che simpatici. Qualche anno fa, Jean-Luc Mélenchon aveva posto una domanda a Federica Mogherini, volendo sapere se benzina proveniente dai campi di petrolio controllati dall’ISIS veniva usata in Europa. La signora mise quattro mesi a rispondergli, dicendo alla fine che non si poteva sapere, che la faccenda era complicata e blablabla. Conclusione di Mélenchon: dunque le macchine in Europa circolano con benzina dell’ISIS. E bastava guardare le immagini satellite trasmesse dai satelliti russi della fila di 500 camion provenienti dall’Iraq caricando il carburante sulle navi in attesa nel porto di Iskenderun per condividere le sue conclusioni.
Siamo in una guerra asimmetrica, dell’Impero declinante contro il o gli imperi emergenti. Il primo utilizza l’arma del ‘caos creativo”, i secondi sono più astuti, cercando di mantenere stabilità e calma con mezzi dispotici. I popoli devono trovare le proprie vie e solo contare sulle proprie forze.