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Il colpo di stato in Bolivia: cinque lezioni

Atilio A. Boron 14/11/2019
La tragedia boliviana insegna eloquentemente diverse lezioni che i nostri popoli e le forze sociali e politiche popolari devono imparare e incidere per sempre nella loro coscienza. Ecco una breve enumerazione, mentre procediamo e come preludio ad un trattamento più dettagliato in futuro.

Tradotto da Alba Canelli
Primo, per quanto esemplare sia l’economia amministrata come ha fatto il governo di Evo, la crescita, la ridistribuzione, il flusso degli investimenti siano garantiti e tutti gli indicatori macroeconomici e microeconomici siano migliorati, la destra e l’imperialismo non accetteranno mai un governo che non serve i loro interessi.
Secondo, è necessario studiare i manuali pubblicati da varie agenzie usamericane e dai loro portavoce travestiti da accademici o giornalisti per poter percepire nel tempo i segni dell’offensiva. Questi scritti evidenziano invariabilmente la necessità di distruggere la reputazione del leader popolare, quella che viene chiamata “assasination del personaggio”, definendolo un ladro, corrotto, dittatore o ignorante. Questo è il compito affidato ai comunicatori sociali, autoproclamati “giornalisti indipendenti”, i quali, a favore del loro controllo quasi monopolistico dei media, perforano con tali diffamazioni il cervello della popolazione, accompagnati, in questo caso, da messaggi di odio diretti contro le popolazioni indigene e i poveri in generale.

Terzo, una volta realizzato quanto sopra, è il turno della leadership politica e delle élite economiche di chiedere “un cambiamento”, per porre fine alla “dittatura” di Evo che, come ha scritto l’impresentabile Vargas Llosa pochi giorni fa, è un “demagogo che vuole rimanere al potere”. Suppongo che brinda con champagne a Madrid quando vede le immagini delle orde fasciste che saccheggiano, bruciano, incatenano i giornalisti a un palo, rasano una sindaca e la dipingono di rosso e distruggono i verbali delle ultime elezioni per adempiere il mandato di Don Mario di liberare la Bolivia da un demagogo malvagio. Cito il suo caso perché è stato ed è il portabandiera immorale di questo vile attacco, di questo crimine illimitato che crocifigge i leader popolari, distrugge una democrazia e installa il regno del terrore da parte di bande di assassini assunti per disprezzare un popolo degno che ha avuto l’audacia di voler essere libero.

Quarto: le “forze di sicurezza” entrano in scena. In questo caso si tratta di istituzioni controllate da numerose agenzie, militari e civili, del governo degli USA. Le addestrano, le armano, fanno esercizi congiunti e le educano politicamente. Ho avuto l’opportunità di verificarlo quando, su invito di Evo, ho inaugurato un corso di “Anti-imperialismo” per alti ufficiali delle tre armi. A quel tempo sono rimasto scioccato dal grado di penetrazione degli slogan usamericani più reazionari ereditati dall’era della guerra fredda e dall’irritazione non dissimulata causata dal fatto che un indiano era presidente del loro paese. Ciò che quelle “forze di sicurezza” hanno fatto è stato ritirarsi dalla scena e lasciare il campo libero per le azioni incontrollate delle orde fasciste – come quelle che hanno agito in Ucraina, Libia, Iraq, Siria per rovesciare, o in quest’ultimo caso cercare di rovesciare, leader che erano fastidiosi per l’impero – e quindi intimidire la popolazione, la militanza e le stesse figure del governo. In altre parole, una nuova figura socio-politica: il colpo di stato militare “per omissione”, che permette alle bande reazionarie, reclutate e finanziate dalla destra, di imporre la propria legge. Una volta installato il regno del terrore e di fronte all’impotenza del governo, il risultato era inevitabile.
Quinto, la sicurezza e l’ordine pubblico non avrebbero mai dovuto essere affidati in Bolivia a istituzioni come la polizia e l’esercito, colonizzati dall’imperialismo e dai suoi lacchè della destra locale. Quando fu lanciata l’offensiva contro Evo, fu scelta una politica di rappacificazione e di non rispondere alle provocazioni dei fascisti. Questo servì per incoraggiarli e alzare l’asta: prima, per chiedere un ballottaggio; poi, frode e nuove elezioni; poi, elezioni ma senza Evo (come in Brasile, senza Lula); in seguito, le dimissioni di Evo; infine, di fronte alla sua riluttanza ad accettare il ricatto, a seminare il terrore con la complicità della polizia e dei militari e costringere Evo a dimettersi. Da manuale, tutto da manuale. Impareremo queste lezioni?