Dal colonialismo alla Laicité: la Francia continua a fare la guerra alle donne musulmane
Malia Bouattia 30 ottobre 2019 |
La versione estrema del secolarismo francese è molto concentrata sul controllo delle donne musulmane, sui loro corpi e sul loro posto nella società.
(Traduzione Valentina Timpani)
Durante l’occupazione francese dell’Algeria, Frantz Fanon scrisse dell’uso che la Francia faceva del genere per mantenere la stretta coloniale: “Se vogliamo distruggere la struttura della società algerina, la sua capacità di resistenza, dobbiamo prima di tutto conquistare le donne; dobbiamo andare a trovarle dietro ai veli dove si nascondono e nelle case dove gli uomini le tengono lontane dagli sguardi altrui”.
Questo approccio, sembra, è lontano dall’appartenere al passato per lo stato francese e la sua estrema versione del secolarismo o della laicità e della società.
Infatti, ancora una volta, la scorsa settimana è stata afflitta da centinaia di telecronisti, da dozzine e dozzine di dibattiti televisivi e radiofonici e da titoli sulle donne musulmane e il loro diritto (o piuttosto il contrario, a seconda dei casi) di indossare l’hijab.
Questa valanga di attacchi infiniti, come è ormai diventata consuetudine nel contesto francese, ha unito un ampio spettro politico, dall’estrema sinistra all’estrema destra. Prendere di mira uno dei gruppi più oppressi del paese è stata la reazione a un incidente accaduto durante una gita scolastica, quando una mamma che indossava l’hijab ha osato accompagnare il figlio al parlamento regionale di Digione.
Conosciuta come “Fatima”, si è ritrovata a essere abusata verbalmente dal politico Julien Odoul del partito fascista Rassemblement National (conosciuto precedentemente come Fronte Nazionale), che le chiedeva di togliersi il velo o non avrebbe avuto il permesso di entrare nell’edificio. All’invettiva di Odoul ha fatto una tiepida resistenza il presidente dell’assemblea, mentre altri membri si muovevano imbarazzati sulle sedie e facevano richieste poco convincenti al rappresentante del RN di smetterla. In effetti, la madre è stata lasciata sola ad affrontare l’assalto, mentre cercava di consolare il figlio angosciato.
Nè tantomeno l’attacco di Odoul è stato un’abberazione. Si colloca nella legislazione esistente, che ha puntato a bandire le donne musulmane dalla vita pubblica in Francia, per esempio, rendendo illegale nel 2004 l’accesso a scuola e ad altri servizi pubblici – come dipendente o utente di servizi – quando si indossa l’hijab.
La Francia è stata, vergognosamente, anche il primo paese in Europa ad applicare nel 2011 il divieto del niquab/il velo che copre il viso.
Echi del periodo coloniale
Simultaneamente, la scorsa settimana si è celebrato anche l’anniversario del massacro di Parigi avvenuto il 17 ottobre 1961 durante la guerra contro l’Algeria. Centinaia di algerini che stavano protestando per l’indipendenza dell’Algeria vennero uccisi e i loro corpi furono gettati nella Senna dalla polizia francese – sotto la guida di Maurice Papon, il quale aveva partecipato in precedenza alla deportazione di centinaia di ebrei durante la seconda guerra mondiale.
Si è dovuto aspettare fino alla fine degli anni 90 perché tali eventi e tali morti di anche solo una piccola parte degli uccisi venissero riconosciuti dallo stato francese, e fino al 2001 perché una targa commemorativa venisse posta sulla scena del crimine.
Il fatto che entrambi gli eventi siano avvenuti nello stesso periodo è indicativo. La resistenza dello stato francese nel commemorare e riconoscere la violenza e l’abuso coloniale diretti contro gli algerini, sia in patria che all’estero, gioca un ruolo importante nel mascherare la violenza diretta contro i musulmani oggi in Francia.
Il trattamento delle donne musulmane da parte dello stato nel presente fa eco agli assalti verso le donne algerine durante il colonialismo. La violenza della polizia contro i giovani uomini musulmani nelle strade francesi oggi fa eco alla violenza della polizia contro i lavoratori migranti dell’epoca.
La segregazione sociale delle popolazioni musulmane nelle cité – periferie a basso reddito – del paese oggi, fa eco alla ghettizzazione nei bassifondi francesi durante il periodo coloniale.
Odio contemporaneo
Per lo stato è impossibile riconoscere il passato, perché non è mai finito. Il riconoscimento dovrebbe portare alla giustizia e al cambiamento. Quindi, per esempio, l’anniversario del massacro del 1961 avrebbe dovuto vedere sia lo stato che le istituzioni pubbliche usare tale commemorazione contro l’odio contemporaneo.
Invece, è stato sostituito dal ripetersi del razzismo che ha segnato l’intero progetto coloniale francese, in Algeria e negli altri continenti.
La reazione di Odoul, il mix di rabbia e di presunto diritto che ha scagliato nella stanza contro Fatima, ha riassunto esattamente a che punto il paese si trova nella liberazione dei soggetti ex colonizzati. La Francia non ha accettato, né crede che le persone di colore meritino la libertà.
Il continuo bisogno di segregazione e soggiogazione ha radici profonde, ed è ancora concentrato, a decenni di distanza dalla liberazione dell’Algeria, sul controllo delle donne musulmane, sui loro corpi e sul loro posto nella società.
L’umiliazione di Fatima in quel momento, così come quella del figlio che era talmente turbato dalla scena da cercare rifugio tra le braccia della madre senza comunque avere un impatto sul politico fascista, è stata difficile da guardare.
Ma camminate per le strade di Parigi – una presunta capitale vivacemente multiculturale – sfoggiando un hijab, entrate in una banca o in un supermercato, e arriverete a capire molto velocemente che quell’incidente non è un’eccezione.
Sei giorni dopo l’assalto verbale a Fatima all’assemblea regionale, il giornale francese Libération ha rilevato che c’erano già stati 85 dibattiti televisivi sul hijab sui canali di notizie francesi, l’incredibile numero di 286 ospiti invitati a parlare dell’argomento, e nessuno di loro era una donna che indossava un velo.
In quei dibattiti, la questione di quello che le donne musulmane abbiano il permesso di indossare, quali diritti dovrebbero essere loro portati via se si rifiutano di acconsentire, e che ruolo lo stato francese dovrebbe giocare nella loro esclusione erano tutti carta bianca. Un giornalista è arrivato infatti al punto di paragonare l’hijab a un’uniforme delle SS.
Stagione aperta
Quello che è impressionante è che questa stagione aperta delle donne musulmane e del loro diritto di partecipare alla vita pubblica in Francia non è appannaggio dell’estrema destra. La visione di Odoul, infatti, è stata normalizzata dalle argomentazioni femministe liberali seriali in difesa della rimozione del velo forzata dallo stato sin dai primi anni 2000.
Ora, proprio come è accaduto negli ultimi due decenni, questi attacchi, queste leggi esclusorie, la violenza dello stato, vengono ripetutamente difesi come un atto di liberazione delle donne musulmane oppresse, che le salvano da mariti e padri barbari.
Similmente a come gli Stati Uniti promisero di liberare le donne afgane bombardandole, e il colonialismo promette di liberare i suoi sudditi sfruttandoli fino alla morte, l’intellighenzia francese promette di liberare le donne musulmane escludendole dalla vita pubblica, dal dibattito pubblico e dal lavoro.
La verità è che nessuno dei partiti interessati che ostentano la difesa delle donne musulmane e del secolarismo, ritengono le donne che indossano l’hijab degne di entrare in uno spazio politico o intellettuale in cui possano portare avanti le loro richieste. L’ultimo round di dibattiti televisivi l’ha dimostrato ancora una volta.
La resistenza
Mentre Fatima cerca giustizia attraverso vie legali, la sua esperienza continuerà a perseguitare tutti coloro che sono colpiti da questo particolare evento, e più largamente, le donne e le ragazze musulmane a cui viene ricordato che i loro corpi sono campi di battaglia su cui lo stato francese continua a fare la guerra alle persone di colore.
Le proteste, l’indignazione dei social media e la solidarietà internazionale sono strumenti importanti che smantellano l’isolamento provato da coloro che ne sono colpiti, mentre erodono la sicurezza e il discorso monolitico dell’islamofobia francese. Se il controllo francese della società algerina era fondato sul controllo delle sue donne, esso riuscì principalmente a portare le donne algerine in prima linea nella resistenza contro il suo dominio.
Guardando Fatima affrontare in silenzio e con coraggio il deputato che urla, mentre tutti gli altri nell’assemblea si muovono a disagio, sembra di vedere quello stesso processo ripetersi.
Lei da sola ha rappresentato la resistenza in quella stanza, e la futura fine del loro regime.