General

Tunisia: Ciò che “il popolo vuole”

Fausto Giudice 17/09/2019
“Ah-chaab yourid isqât al-nizâm”: il popolo vuole/richiede/ha bisogno della caduta del regime.

Tradotto da Alba Canelli
Questo slogan, nato durante un conflitto tra tifosi di calcio a poche settimane dello scoppio della rivoluzione tunisina del 17 dicembre 2010, è diventato negli anni, lo slogan più diffuso nel mondo arabo, utilizzato in tutti i modi – la Fratellanza Musulmana giordana che sostituisce isqât con islah, la riforma, i laicisti libanesi aggiungendo ta’ifi (confessionale) -, compresi quelli commerciali e pubblicitari. Kaïs Saïed, invece, ha preso solo le prime due parole – il popolo vuole – come slogan della campagna elettorale che lo ha visto arrivare in testa al primo turno, davanti a Nabil Karoui, lasciando così al popolo stesso il compito di dire nel dettaglio ciò che vuole. Una strategia intelligente e vincente.
La sorpresa causata dai risultati del primo turno delle elezioni presidenziali tunisine del 15 settembre è stata tutt’altro che divina. I modernisti dei bei quartieri non hanno avuto alcun problema a denunciare Saïed come “salafita”, gli islamisti non hanno avuto alcun problema a far credere di sostenere Saïed (cosa che l’interessato ha fermamente negato), avendo scelto lo sceicco Mourou come candidato ufficiale con le sole istruzioni di perdere, questo primo turno è pieno di lezioni:
1 – « Che vadano via tutti! »
Mettendo in prima fila due uomini che non appartengono al karakuz – il teatro di marionette della politica di partito – pochi elettori (solo il 45% dei 7 milioni di elettori, dei quali un milione di nuovi elettori, hanno votato) hanno espresso il loro radicale rifiuto del regime di amici e mascalzoni che ha sostituito, riciclando gran parte dei suoi attori e comparse, il regime caduto nel 2011. Stufi di partitocrati, mafiosi, imbroglioni, combinazionisti, che siano in giacca e cravatta o col turbante.
2 – La fine dei partiti
Kaïs Saïed ha guadagnato la sua prima vittoria senza l’appoggio di un partito, senza soldi, senza una campagna mediatica, ma solo con i suoi mezzi personali, e il passaparola ha fatto il resto. L’immagine che proiettava era quella di essere il più onesto, serio e autentico dei 26 candidati, insomma, quello che meglio poteva sentire questi “figli del popolo”, i 20-30 anni istruiti delle classi popolari disagiate, urbana e rurale, bloccati nella loro traiettoria per diventare capofamiglia, precari e non avendo altra scelta che provare l’avventura della migrazione verso i centri del potere mondiale. Per questi elettori, le loro mamme, le loro famiglie, la “bulitica”, quello dei partiti, non è altro che una presa in giro che essi vomitano. Ha detto chiaramente: “L’era dei partiti, ovunque nel mondo, è finita. I giovani si organizzano al di fuori delle strutture tradizionali. E’ quello che faremo”. (Intervista con Jeune Afrique, 26/10/2018).
3 – Democrazia diretta
Il cuore del programma, molto conciso, di Saïed è niente meno che rivoluzionario. Vuole abolire il parlamento così com’è oggi e sostituirlo con un’assemblea di assemblee che ricordano gli zapatisti del Chiapas o i Gilet gialli. Lo formula in questo modo:
“Prima di tutto, una totale riorganizzazione politico-amministrativa della piramide del potere. È necessario invertire la tendenza e passare da locale a regionale, per sintetizzare aspettative e volontà diverse. I consigli locali, i cui membri, sponsorizzati dagli elettori, saranno eletti a suffragio universale dopo uno scrutinio uninominale a due turni. Si riuniranno in ciascuna delegazione per individuare i programmi di sviluppo locale. Il loro mandato, basato sulla rappresentatività, sarà revocabile. I progetti saranno presentati al Consiglio regionale, che proverrà dai consigli locali, cui partecipano anche i direttori regionali delle amministrazioni centrali. Il piano di sviluppo regionale sintetizzerà così i vari progetti elaborati a livello locale, con un approccio ergonomico alla loro attuazione. Ogni consiglio regionale avrà un suo rappresentante nell’Assemblea, e un’alternanza di membri nei consigli regionali permetterà l’autocontrollo per proteggere dalla corruzione e dagli abusi. “(Intervista a Jeune Afrique già citata).
4 – No alle derive identitarie
Saïed è stato attaccato come “salafita” per le sue cosiddette posizioni conservatrici: si è opposto all’uguaglianza nell’eredità per le donne, alla depenalizzazione dell’omosessualità e all’abolizione definitiva della pena di morte. Possiamo certamente essere travolti da queste posizioni, ma bisogna capire che tali questioni rimangono ultra marginali per la società tunisina, che si trova alle prese con altri problemi più gravi, a cominciare dall’aumento del costo della vita (grazie Banca Mondiale!), la quasi scomparsa delle opportunità di lavoro retribuito per i giovani, laureati o meno, e lo sconvolgente deterioramento dell’ambiente di vita, in particolare la crisi causata dalla carenza di acqua ed elettricità, oltre al cambiamento climatico che porta con se l’alternaza infernale di siccità e inondazioni. Parlando in un arabo letterario moderno, fluido e padroneggiato, il giurista constituzionale Saïed non fa concessioni alla politica identitaria, che è diventata il cavallo di battaglia di tutti i neoliberali per conquistare o preservare i loro mercati politico-commerciali. Insomma, dà l’immagine di una “forza tranquilla” che non incita all’odio contro nessuno, distinguendosi così dai tanti scalmanati in gara per questo primo turno.
5 – Mastro Lindo contro Messer Sozzone
Il secondo turno elettorale si svolgerà in ottobre, dopo le elezioni parlamentari del 6, probabilmente il 13 o il 20, e vedrà “Robocoop”, come lo hanno soprannominato i suoi studenti, confrontarsi con l’altro “uomo nuovo” e “strano soldato”, il Berlusconi italiano, Nabil Karoui, attualmente imprigionato per sospetto di evasione fiscale e riciclaggio di denaro sporco, che deve la sua popolarità all’essere il padrone di un canale televisivo prezzolato, Nessma TV, e di fare la carità ai poveri. A questo si aggiunge l’aura conferitagli dal suo status di “unico prigioniero politico” della Tunisia. Karoui evoca molto Berlusconi e i suoi emulatori “populisti” europei, tutti neoliberali mascherati da “anti-sistema”, allorchè sono i prodotti e gli attori più riusciti di questo sistema. Il vantaggio che avrà su Saïed sarà tattico: avrà un gruppo parlamentare composto dai candidati eletti del suo partito (Qalb Tounes, Cuore della Tunisia), mentre Saïed, fino a nuovo ordine, non avrà una base parlamentare, trovandosi così “solo contro tutti”. Chi, tra il cowboy solitario e il giannizzero dissidente, vincerà? Le scommesse sono aperte.