ALGERIA. L’hirak algerino a Marsiglia
Maurizio Coppola 28 maggio 2019 |
REPORTAGE. La città francese, che conta più di 250.000 abitanti di provenienza algerina, da sempre funge da ponte tra le due sponde del Mediterraneo. Il movimento sociale algerino esploso a febbraio di quest’anno ha suscitato nuovi sogni e nuove speranze, sia in Algeria sia nella diaspora algerina.
Mentre nelle maggiori città algerine è appena terminata la quattordicesima settimana di protesta contro l’intero sistema politico e contro l’intromissione nella transizione democratica del Paese dell’esercito guidato dal capo di Stato maggiore Gaid Salah, gli algerini all’estero diventano sempre più una componente essenziale del movimento sociale.
In Algeria, la repressione della polizia e dell’esercito – che al momento detiene di fatto il potere nel Paese– sta aumentando: volti conosciuti dell’opposizione vengono processati al tribunale militare, gli arresti di normali cittadini durante le manifestazioni diventano più frequenti. Ciononostante, e malgrado il caldo e il mese di Ramadan, la determinazione del movimento non diminuisce e le ultime settimane hanno confermato una larga partecipazione alle proteste. E proprio in questi giorni i manifestanti sono riusciti a strappare un’altra vittoria importante: nessun personaggio politico ha presentato la propria candidatura alle elezioni previste il 4 luglio prossimo, così che il consiglio costituzionale sarà obbligato ad annullare le elezioni.
Un viaggio agli inizi di maggio ci ha permesso di andare alla scoperta dell’hirak algerino a Marsiglia. Durante le riunioni pubbliche e le manifestazioni settimanali a sostegno delle mobilitazioni algerine, le diverse associazioni e organizzazioni politiche, gli intellettuali e le singole persone della diaspora si sono incontrati per dibattere su come uscire dalla attuale crisi politica, sociale ed economica.
Storicamente la diaspora algerina ha giocato un ruolo fondamentale nella lotta contro il colonialismo francese. Il primo partito politico algerino indipendente, la Étoile nord-africaine, fu fondato, su iniziativa di Ahmad Messali Hadj, da lavoratori migranti algerini nel 1926 a Parigi. Poi, sempre a Parigi nel 1955, quindi all’inizio della guerra di liberazione (1954-1962), la Federazione francese del Fronte di liberazione nazionale FLN fu fondata sempre a Parigi e influenzò l’opinione pubblica, gli intellettuali e l’intero ambiente politico francese organizzando dall’esilio operazioni militari in Algeria.
Anche nella storia più recente dell’Algeria la diaspora ha avuto un ruolo importante. Alle elezioni presidenziali del 1995, nel pieno della guerra civile del decennio nero, gli algerini di Francia votarono in massa per il candidato Liamine Zeroual. Said Belguidoum, professore di sociologia e urbanistica presso le Università di Algeri e di Aix-Marseille, durante la manifestazione di solidarietà al movimento algerino, spiega il perché: “Per gli algerini all’estero, le elezioni si svolsero nei consolati prima ancora che avessero luogo in Algeria. Gli algerini formarono file immense davanti ai consolati per votare a favore della pace in Algeria e contro il terrore islamista del FIS (Front Islamique du Salut). Ciò ebbe una forte influenza sul voto nella stessa Algeria”.
Tornando al movimento attuale, Belguidoum sottolinea l’importanza della manifestazione parigina che ha preceduto le grandi manifestazioni del 22 febbraio, data che segna l’inizio dell’hirak. Ad inizio febbraio, sui social girava un appello lanciato dalle organizzazioni politiche della diaspora per scendere in piazza il 17 febbraio contro il quinto mandato dell’allora presidente in carica Abdelaziz Bouteflika: “Nel giro di pochi giorni, migliaia di persone su Facebook hanno confermato la loro partecipazione all’incontro di Place de la République. Il 17 febbraio, giorno della manifestazione, circa 6.000 algerini si sono riuniti a Parigi. Le immagini sono circolate sui social fino ad arrivare ad Algeri.”
Anche a Marsiglia i collettivi algerini si sono organizzati fin dai primi giorni di protesta. Durante un incontro con Yahia Hadji del collettivo per un’alternativa democratica e sociale in Algeria (Cadsa) fondato durante il e in opposizione al quarto mandato di Bouteflika, l’attivista ci ha spiegato che la sua organizzazione è subito diventata organizzatrice della solidarietà a Marsiglia. “Le manifestazioni del venerdì sono diventate un rituale in Algeria, qui noi manifestiamo la domenica. Ora stiamo creando un coordinamento di associazioni progressiste e organizzando assemblee consultive in Francia e in tutta Europa con il nome Libérons l’Algérie.” Hadji si reca regolarmente in Algeria per partecipare direttamente alle proteste. In Algeria il movimento spera in un importante sostegno da parte della diaspora.
“I compagni lì ripetono continuamente: se domani si avviasse un processo costituente realmente democratico, ciò non potrebbe avvenire senza la partecipazione della diaspora algerina”. Viste le crescenti contraddizioni tra le rivendicazioni del movimento sociale e la reazione dell’apparato di potere, per la diaspora algerina a Marsiglia l’obiettivo immediato dell’hirak è un’assemblea costituente che organizzi una reale transizione democratica e alla quale partecipano tutte le forze politiche e sociali che riconoscono tre principi fondamentali: l’indipendenza della magistratura, l’uguaglianza tra donne e uomini e il principio di giustizia sociale.
L’8 maggio su tutti i canali francesi – e non solo – passavano le immagini delle commemorazioni della fine della Seconda Guerra mondiale e la vittoria degli alleati sulla Germania nazista nel 1945. In Francia la commemorazione funge ancora da momento di costruzione dell’identità nazionale. “Molti francesi sono morti per la pace in Europa”, è stata così commentata sul canale France 24 la visita a Parigi del presidente Emmanuel Macron alla statua del generale De Gaule.
Ma alla Porte d’Aix di Marsiglia circa 200 persone si sono riunite per un’altra commemorazione dell’8 maggio. Mentre l’Europa fu liberata dal nazifascismo, l’Algeria – così come molti altri paesi africani – era ancora sotto il dominio coloniale. La fine della seconda guerra mondiale avrebbe dovuto essere anche la loro liberazione. Tra il 1942 e il 1945, più di 135.000 soldati algerini combatterono come legionari stranieri al fianco degli alleati contro i soldati tedeschi. Al comizio è intervenuto il militante Aziz Bensadek del Fronte unito delle immigrazioni e dei quartieri popolari: “Agli algerini era stata promessa l’indipendenza in cambio della partecipazione alla guerra al fianco dei francesi.”
Ma le cose andarono diversamente: quando l’8 maggio gli algerini scesero in piazza per festeggiare la fine della guerra e l’auspicata indipendenza dell’Algeria, i soldati francesi spararono perché i manifestanti sventolavano le bandiere algerine. Risultato: un massacro di oltre 30.000 morti in venti giorni soprattutto nelle città dell’Algeria orientale Setif, Guelma e Kherrata. Lo Stato francese ancora oggi parla di 1.000 morti, tacendo sul vero e proprio massacro del popolo algerino da parte della forza coloniale. Ma l’8 maggio 1945 fu una svolta in Algeria, spiega Bensadek: “Dopo la mancata indipendenza, il popolo algerino capì che la via pacifica dell’integrazione non poteva portare alla loro liberazione. Nel maggio 1945 nacque la prospettiva della lotta armata.”
Se la maggior parte dei partecipanti alle manifestazioni in solidarietà con il movimento algerino è composta da persone adulte che mantengono un legame politico con la guerra di liberazione e con l’Algeria post-coloniale, non sono pochi i giovani algerini di seconda o terza generazione che scendono in strada a Marsiglia. Nati durante il decennio nero della guerra civile e emigrati da piccoli insieme alle famiglie, hanno conosciuto politicamente solo il Bouteflikismo. Ma oggi, più che mai, si trovano in mezzo alle contraddizioni dell’emigrazione-immigrazione.
Gli algerini arrivati a Marsiglia come lavoratori tra gli anni Cinquanta e Settanta del ‘900 subirono, secondo la definizione del sociologo algerino Abdelmalek Sayad (1933-1998), una doppia assenza. Le illusioni dell’emigrazione si sono trasformate in vere e proprie sofferenze nell’immigrazione. Molti algerini vivono ancora oggi le contraddizioni sociali radicate nell’esistenza migrante: assenti nel loro paese di origine e quindi assenti dalle loro famiglie e dai loro villaggi, sentono un profondo senso di colpa; ma allo stesso tempo sono anche assenti nel loro paese di arrivo, la Francia, emarginati e trattati come mera forza lavoro a basso costo.
Sebbene in modo diverso, anche i più giovani algerini vivono queste contraddizioni sociali. Sabrina Chebbi, documentarista di 31 anni, è una di loro. Arrivata a 4 anni in Francia con i suoi genitori agli inizi della guerra civile nel 1991, con l’hirak scopre un’opportunità per costruire un ponte tra le due sponde del Mediterraneo: “Sento sempre più spesso il desiderio e l’urgenza di avvicinarmi alla mia cultura. Da piccola ne sono stata tagliata fuori anche con la lingua. Ma grazie alla rivoluzione mi sto riavvicinando ad un intero mondo.”Chebbi è attiva nel movimento anticoloniale di Marsiglia, per lei una forma di solidarietà con il movimento in Algeria: “Sono totalmente solidale perché so che la nostra situazione da migranti dipende dalla posizione dell’Algeria. Finché l’Africa sarà in ginocchio, finché l’Algeria sarà governata dalla Francia, qui non saremo visti come uguali e continueranno ad umiliarci.”
In Algeria quindi, un vecchio mondo sta morendo nonostante la resistenza dell’esercito, ma un nuovo mondo sta vivendo la sua primavera: “In tempi rivoluzionari i processi di apprendimento collettivo e la maturità politica del popolo accelerano. Da questo punto di vista siamo nel bel mezzo di una rivoluzione”, dice Hadji. I ponti che costruiscono i migranti algerini in Francia servono anche a far passare i sogni e le speranze di un cambiamento radicale che stanno maturando in Algeria.