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ISRAELE. Netanyahu sull’orlo del fallimento, elezioni anticipate in vista

Michele Giorgio 28 maggio 2019
Il leader della destra nonostante la schiacciante vittoria elettorale del 9 aprile non pare in grado di formare una nuova maggioranza. E un clamoroso ritorno alle urne è una possibilità concreta.

Nessuno ma proprio nessuno il 10 aprile avrebbe potuto immaginare una situazione di questo tipo dopo l’ampia vittoria elettorale ottenuta, il giorno prima, dal partito Likud e dal resto destra più oltranzista. E invece a poche ore dallo scadere del limite temporale fissato dalla legge israeliana per la formazione del nuovo governo, Benyamin Netanyahu potrebbe essere costretto a gettare la spugna e a rinunciare a diventare il primo ministro più longevo della storia di Israele. Alla Knesset è già stata approvata in prima lettura la mozione presentata dal Likud per dissolvere il Parlamento e andare di nuovo alle urne.
Rivalità personali, differenze ideologiche e politiche all’interno della destra, sono alla base di questo possibile, clamoroso fallimento che forse sarà evitato solo all’ultimo istante con un compromesso a scapito del premier incaricato. Sulla strada di Netanyahu si è posto ancora una volta uno dei suoi avversari più temibili nella destra, una vera e propria spina nel fianco. L’ex ministro della difesa Avigdor Lieberman, leader del partito Yisrael Beitenu, nazionalista ma laico, non intende cedere sul programma del nuovo esecutivo alle richieste dei partiti nazionalisti religiosi e dei partiti haredi (religiosi ultraortodossi). Rigettando gli ultimi appelli all’unità della destra, Lieberman ieri ha fatto sapere che non farà un passo indietro e di essere pronto ad andare a nuove elezioni . «Non saremo partner in un governo dalla halacha (la legge religiosa ebraica, ndr) – ha tuonato il leader di Yisrael Beitenu – Siamo stati chiari sul fatto che non abbiamo intenzione di compromettere i nostri valori, non è una vendetta ma una questione di principio». Senza i cinque seggi di Lieberman, Netanyahu – peraltro alle prese con seri problemi giudiziari – ha solo 60 deputati su 120: una metà che non fa maggioranza e che può dar vita solo a un debole governo di minoranza.
La ragione principale dello scontro si trascina da anni. Si tratta della riforma della leva obbligatoria, promossa da Lieberman, che vuole obbligare anche i giovani haredi, i religiosi ultraortodossi, a prestare il servizio militare. Fino a poco tempo fa gli studenti haredi per motivi religiosi erano esenti. Poi su pressione di Yisrael Beitenu e del partito centrista laico Yesh Atid sono state introdotte delle quote, tra le proteste di quei leader della comunità ultraortodosse che respingono con rabbia quella che ritengono una pratica volta unicamente ad integrare nel sistema sionista statale le nuove generazioni haredi. Ora Lieberman per entrare nella maggioranza vuole un’applicazione totale della leva obbligatoria, senza alcuno sconto, cosa che fa imbestialire i partiti haredi e ultranazionisti religiosi – Shas, Giudaismo unito nella Torah e l’Unione dei partiti di destra – che invece insistono affinché i giovani religiosi siano in gran parte esentati e si continui con il sistema delle quote.
Sulla riva del fiume, in attesa che passi il cadavere di Netanyahu, c’è il principale partito di opposizione, Blu e Bianco, dell’ex capo di stato maggiore Benny Gantz che è tornato alla carica con la proposta della formazione di un governo di unità nazionale. Però senza il premier in carica che, peraltro, nei prossimi mesi potrebbe essere definitivamente rinviato a giudizio per corruzione. Di fronte all’impasse, il capo di Stato Rueven Rivlin potrebbe affidare ad un altro leader politico. Ed è proprio questo a cui punta Gantz convinto di poter mettere insieme una maggioranza. Le elezioni non piacciono a Blu e Bianco e al resto dell’opposizione a cui occorre tempo per assorbire la sconfitta distruttiva subita il 9 aprile e per mettere in piedi una credibile alternativa al Likud e Netanyahu. I sondaggi parlano chiaro. L’ultimo, pubblicato dal giornale Maariv, indica una ulteriore avanzata della destra nel caso si andasse alle urne nei prossimi mesi.