Il Novecento è stato un secolo di ‘genocidi e stermini di massa’. Che continuano ancora oggi
Carlo Troilo 8 Aprile 2019 |
Aprendo la conferenza stampa di presentazione del libro di Maria Immacolata Macioti Genocidi e stermini di massa, la storica Anna Maria Isastia ha detto che in questo momento in Libia ci sono da 40 a 70 campi di concentramento dove 400mila persone sono sottoposte a violenze, torture e stupri.
Come a dire fin da subito che gli orrori del “secolo breve” continuano purtroppo anche nel secolo che stiamo vivendo.
Il libro della Macioti è un esauriente compendio dei massacriverificatisi nel Novecento in ogni parte del mondo. Naturalmente, un notevole spazio è dedicato alla Shoah, sulla quale sappiamo tutti quanto basta. Molta attenzione è data anche al genocidio degli armeni, di cui si parla molto meno e che pure ha avuto dimensioni (un milione e mezzo di vittime) e caratteristiche di ferocia impressionanti. La masseria delle allodole, un commovente libro di Antonia Arslan, spiega l’inganno con cui i Pascià mandarono a morte torme di innocenti: dicevano loro che dovevano raggiungere dei confortevoli campi di raccolta e li facevano partire, con qualche indumento e pochissimo cibo, verso tundre ghiacciate in cui non vi era alcun rifugio ma solo la morte per gelo e fame. Nel libro della Macioti è ben messa in evidenza la complicità della Germania, alleata dei turchi nella Grande Guerra. E anche i tentativi della Chiesa di lenire le sofferenze degli armeni. Un genocidio ancora negato – o minimizzato – dal governo di Erdogan.
Un altro capitolo drammatico riguarda gli eccidi verificatisi nel 1994 nel Ruanda a causa del conflitto etnico fra i Tutsi e gli Hutu, che provocò almeno 800mila vittime, quasi tutte della minoranza etnica dei Tutsi. Ciò che più impressiona, in questo capitolo, è il ruolo attivo della Chiesa Cattolica negli eccidi, cui parteciparono preti e suore, secondo i racconti documentati e sconvolgenti del libro di Vania Lucia Gaito Il genocidio del Ruanda. Il ruolo della Chiesa Cattolica: preti e suore che cospargono di benzina e poi incendiano edifici e chiese pieni di fuggiaschi di parte Tutsi.
Mia madre era nata (da genitori italiani) in Argentina e spesso veniva a trovarci a Roma qualcuno dei nostri numerosi cugini. Per questo fin da allora sapevamo abbastanza delle atrocità commesse negli anni della dittatura di Jorge Videla (1976-1981). I nostri parenti ci raccontavano delle notti in cui la polizia segreta irrompeva nelle case: si sentivano porte sfondate, urla e pianti, e il giorno dopo un’altra famiglia era sparita per sempre. In realtà, i particolari delle torture e dei “voli della morte” si conobbero solo dopo la fine della dittatura, anche grazie ai film di Franco Bechis (Garage Olimpo) e di Franco Capitani (La memoria e il perdono). E la Macioti ricorda il ruolo straordinario delle madri di Plaza de Mayo, che consentirono di identificare molti dei 30-40 mila desaparecidos. Anche nel caso dell’Argentina la Chiesa Cattolica non mosse un dito contro la dittatura (nemmeno – per quanto se ne sa – il futuro Papa Bergoglio, che pure aveva il ruolo importante di capo dei Gesuiti nel Paese).
Dall’Argentina al Cile. Anche di Augusto Pinochet e della sua feroce repressione di ogni opposizione (si stimano 60mila sequestri e 40mila vittime) sappiamo abbastanza, ma certo non tutto. E’ una vicenda che resta sempre di attualità, come dimostrano il film Santiago, Italia – in cui Nanni Moretti racconta il ruolo coraggioso dell’ambasciata italiana, che ha ospitato e poi portato in salvo centinaia di oppositori del regime – e il tenero libro di Roberto Ampuero L’ultimo tango di Salvatori Allende. Anche nel caso del Cile, la Chiesa (sempre favorevole alla dittatura del Generale) ha commesso un grave errore, consentendo, nel dicembre del 2006, che nella Cattedrale di Santiago venissero celebrati funerali solenni per il boia Pinochet: proprio negli stessi giorni in cui il cardinale Camillo Ruini negava i funerali religiosi a “un povero Cristo” come Piergiorgio Welby, malgrado la richiesta della moglie Mina e dei familiari, tutti credenti.
Resta solo lo spazio – dinanzi alle fitte 400 pagine del libro e alle sue tante storie, che si leggono d’un fiato – per accennare a due vicende italiane. La prima – gloriosa – è quella degli Imi (internati militari italiani): i 600mila soldati e ufficiali che dopo l’8 settembre finirono nei campi di concentramento tedeschi, rifiutarono l’offerta di combattere con la Wehrmacht e preferirono soffrire anni di penosa carcerazione. La seconda – vergognosa – è quella dei campi di concentramento allestiti dai fascisti in diverse zone d’Italia (il più grande, fra i 30 o 40, quello di Fossoli) e destinati agli slavi, agli stranieri sospetti ma soprattutto agli ebrei. I carcerieri fascisti e poi repubblichini li tenevano “in custodia” fin quando le SS li prelevavano per portarli nei campi di sterminio in diversi paesi d’Europa. Una storia che meriterebbe di essere approfondita e resa nota, soprattutto in una fase politica in cui si tende se non a “riabilitare” il fascismo almeno a ridurre ai “soli” 1.259 ebrei del ghetto di Roma le vittime delle nostre leggi razziali.
Chiudo con una citazione di Matteo Salvini ripresa dalla Macioti all’inizio del libro. Nel 2015 Salvini, oggi nostro ministro degli Interni, ha accusato il presidente della Cei di “genocidio contro gli italiani” perché si era adoperato a favore dell’accoglienza degli immigrati. Ci aspettano tempi cupi.